Novelle (Bandello)/Terza parte/Novella XXXII

Terza parte
Novella XXXII

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Pronto ed arguto detto d’un buffone a la presenza


del duca Galeazzo Sforza contra i frati carmeliti.


L’avere, signori miei, prima udita la gravissima e dotta orazione del nostro dottissimo Antiquario, piena di tante belle istorie ed aspersa di mille passi reconditi, ci aveva di modo elevato l’animo che tutti eravamo restati quasi come fuor di noi, se il nostro ingegnoso poeta messer Lancino Curzio non ci avesse, col raccontare la indiscreta lite dei canonici regolari, alquanto destati, perciò che l’aversi indutto a dire quattro parolette de la loro ambizione e superbia n’ha pur un poco fatto ridere. Egli ci ha dato il digestivo, ed io, non uscendo di proposito, vi darò la medicina. Devete adunque sapere che, regnando Galeazzo Sforza duca di Milano, nacque in questa cittá una grandissima questione di precedenza ne le processioni tra i frati carmeliti e tutti gli altri religiosi, perciò che essi volevano precedere non solamente gli ordini mendicanti, ma anco tutti i monaci. Tutti gli altri allegavano le loro approvate consuetudini, confermate da diversi sommi pontefici. Ma i carmeliti dicevano che per lo passato gli era stato fatto torto grandissimo, e che la semplice umiltá dei loro maggiori era stata di questo cagione, e che questo non deveva pregiudicare a le loro ragioni, essendo eglino i piú antichi di quanti sono al mondo religiosi. Fu dedutta questa controversia al Conseglio secreto del duca, il quale, essendo giovine, volle esser presente ad udirla disputare. Un giorno adunque di festa, nel castello di Milano fece congregare tutti i capi d’ogni sorte di religiosi, e volse che ne la sala verde la cosa si disputasse. Fu dato il carico a l’eccellente messer Gian Andrea Cagnuola, dottor di leggi, come tutti conoscete, dotto e giustissimo, a ciò che egli le parti domandasse e facesse produrre le ragioni loro. Onde al priore dei carmeliti rivolto, domandò lui quanto era che l’ordine suo aveva cominciato. Il carmelita rispose che nel monte Carmelo sotto Elia cominciò. – Dunque eravate voi, – soggiunse il Cagnuola, – nel tempo degli apostoli? – Ben sapete che sí, – disse il priore, – che noi soli eravamo frati in quel tempo, perciò che ancora non era stato Basilio, Benedetto, Domenico, Francesco, né altro capo di religiosi. – E che fede farete voi di questa antiquitá cotanto antica, – disse il Cagnuola, – se vi fosse negata? – Aveva il duca un buffone molto arguto e galante, il quale, sentendo questa chimera che il priore carmelita diceva, saltò in mezzo e disse al Cagnuola: – Domine doctor, il padre dice il vero che al tempo degli apostoli non ci erano altri frati che essi, dei quali san Paolo scrisse quando disse «Periculum in falsis fratribus». Essi sono di quei falsi frati. – Ciascuno a l’arguto motto del buffone cominciò a ridere, e il duca, udita questa piacevola proposta, comandò che piú non se ne parlasse e che si servassero le antiche consuetudini. Il che da tutti fu ammesso, e i carmeliti se n’andarono dal popolo beffati.


Il Bandello a l’illustre e valoroso signore


il signor Roberto Sanseverino


conte di Gaiazzo salute


Vedesi di continovo per lunga isperienza che ne la natura umana ogni etá ha i suoi diporti e piaceri ove s’essercita, e ciò che a l’etá infantile e fanciullesca sta bene a fare e diletta i riguardanti, sarebbe di biasimo ad un giovine che in quello si volesse essercitare. Medesimamente la giovinezza ha i suoi giuochi e passatempi, e il giovine può fare di molte cose, e non meriterá castigo né riprensione, che se un vecchio e attempato far le volesse, sarebbe meritevolmente da tutti beffato. Lo innamorarsi e far il galante con le donne pare che a’ giovini convenga, in tanto che se si vede un giovine che viva senza amare, si dirá che egli non è uomo e che tiene del selvaggio e malinconico. Per lo contrario, quando l’uomo si truova in etá matura, il voler fare l’innamorato troppo se gli disdice, e spesso è cagione che il misero vecchio impazzisca e divenga favola del volgo. Di rado anco avviene che qualche scandalo non ne nasca, perciò che, non avendo il vecchio le debite forze che in amore si ricercano, egli diventa sospettoso e muore mille volte il dí, combattuto dal freddo verme di gelosia, che spesso poi gli fa fare mille errori, come non è guari che ad uno sfortunato vecchio a Monza avvenne, nel tempo che l’illustrissimo signor Giano Maria Fregoso, governator generale de lo essercito veneziano, si fortificò a Cassano su l’Adda. Voi sapete che tutto il dí Cesare Piola veniva in campo, stando ne la sua villa d’Inzago che era assai vicina. Egli un giorno narrò una gran pazzia che in quei dí ad un vecchio innamorato avvenne di fare, che nel vero fu grandissima e può benissimo ammaestrare, chi la saperá, di non cascare in simili errori. Ed avendo io quanto egli disse scritto e al numero de le mie novelle ridutto, essa novella al nome vostro ho dedicata. Non vi spiacerá di leggerla e ricordarvi che dal vostro Bandello è proceduta, la cui famiglia Bandella al nome Sanseverino fu sempre affezionatissima. State sano.