Novelle (Bandello)/Seconda parte/Novella XV

Seconda parte
Novella XV

../Novella XIV ../Novella XVI IncludiIntestazione 30 luglio 2010 75% novelle

Seconda parte - Novella XIV Seconda parte - Novella XVI

Alessandro duca di Firenze fa che Pietro sposa una mugnaia


che aveva rapita e le fa far molto ricca dote.


Alessandro de’ Medici, il quale, come sapete, è stato il primo che col favor de la Chiesa sotto titolo di duca ha occupato il dominio de la nostra republica fiorentina, ha molte parti in sé che al popolo lo rendono grato; ma tra tutte non mi pare che nessuna ce ne sia che meriti esser agguagliata a la giustizia, de la quale egli mostra esser tanto amatore che nulla piú. E tra molte sue azioni lodevoli che circa questo ha fatte, io ne voglio ora dir una, che certamente è di quelle che merita esser commendata, e tanto piú di lode se gli può dare quanto che egli è molto giovine ed assai dedito ai piaceri venerei. Onde in ciò che io ora son per narrarvi ha dimostrato esser pieno di prudenza, che di rado suol esser unita con la giovinezza, perciò che ordinariamente dove non è grande esperienza non può esser quella prudenza, ché il lungo uso de le cose rende i vecchi prudenti e fa l’azioni umane degne di lode. Ora dicovi che il duca Alessandro tien bella ed onorata corte di gentiluomini assai, cosí stranieri come di Toscana, e tra gli altri v’era un giovine cittadino di Firenze suo favorito, il cui nome per ora sará Pietro. Questi un dí essendo in contado ad un suo podere non molto lungi da Firenze, vide una giovanetta figliuola d’un mugnaio, che era molto bella e gentile, che gli piacque pur assai. Ed il molino del padre di lei era vicino al podere dove Pietro aveva una bella ed agiata stanza. Egli veduta che ebbe la giovane, cominciò seco stesso ad imaginarsi come farebbe a divenir di quella possessore e coglierne quel frutto che tanto da tutte le donne si ricerca. Onde avendo avuto licenza dal duca di star in villa otto o dieci dí, cominciò a far la ruota del pavone a torno a costei, e con tutti quei modi che sapeva i megliori s’affaticava di renderla pieghevole ai suoi piaceri. Ma ella punto di lui non si curava, e tanto mostrava aggradir l’amor che Pietro le portava quanto i cani si dilettano de le busse. E perché il piú de le volte avviene che quanto piú un amante si vede interdetta la cosa amata egli piú se n’accende e piú desidera venir a la conclusione, e molte volte ciò che da scherzo si faceva si fa poi da dovero, l’amante tanto si sentí accender de l’amore de la detta mugnaiuola che ad altro non poteva rivolger l’animo, di modo che desperando di conseguir l’intento suo e non potendo molto lungamente restar in villa, piú sentiva crescer l’appetito e l’ardente voglia di goder la cosa amata. Onde provati tutti quei modi che gli parvero a proposito di facilitar l’impresa, come sono l’ambasciate, i doni, le larghe promesse e talora le minaccie ed altre simili arti che dagli amanti s’usano e che le ruffiane sanno ottimamente fare, poi che s’accorse che pestava acqua in mortaio e che effetto alcuno non riusciva, avendo assai pensato sopra la durezza de la fanciulla e sentendosi indarno affaticare ed ogni ora mancar la speranza, dopo varii pensieri che assai combattuto lo avevano, deliberò, avvenissene ciò che si volesse, rapir la giovane e quello che con amore ottener non poteva, goderlo con la forza. Fatta questa deliberazione, mandò a chiamar dui giovini amici suoi, che avevano i lor poderi a lui vicini e a caso si ritrovavano fuori. A questi dui communicò egli il suo pensiero e gli pregò che di consiglio ed aiuto lo volessero soccorrete. Eglino che giovini e di poca levatura erano, consigliarono Pietro che la rapisse, e s’offersero esser con lui a questa impresa. Onde per non dar indugio a la cosa, parendo lor un’ora mill’anni d’aver rubata la mugnaiuola, come la notte cominciò ad imbrunire, tutti tre con i famigli loro, prese l’armi, se n’andarono al molino dove ella col padre era, e a mal grado di lui che fece quanto seppe e puoté per salvezza de la figliuola, quella violentemente rapirono, minacciando al padre che direbbero e che farebbero. E ben che la giovane piangesse e gridasse e ad alta voce mercé chiedesse, quella menarono via. Pietro quella notte, con poco piacer de la giovane che tuttavia con singhiozzi e lagrime mostrava la sua mala contentezza, colse il fiore de la verginitá di lei, e tutta notte con quella si trastullò, sforzandosi di farsela amica e tenerla qualche tempo a posta sua. Il mugnaio poi che si vide per forza rubata la figliuola e che egli da sé non era bastante a ricuperarla, deliberò il dí seguente di buon matino presentarsi al duca e gridargli mercé. E cosí a l’aprir de la porta entrò ne la cittá e di fatto se n’andò al palazzo del duca, e quivi tanto stette che il duca si levò ed uscí di camera. Il povero uomo, come vide il duca, con le lagrime su gli occhi se gli gittò a’ piedi e cominciò a chiedergli giustizia. Alora il duca fermatosi: – Leva su, gli disse, – e dimmi che cosa c’è e ciò che vuoi. – E a fine che altri non sentissero di quanto il mugnaio si querelasse, lo trasse da parte e volle che a bassa voce il tutto gli narrasse. Ubidí il buon uomo e distintamente ogni cosa gli disse, e gli nomò i dui compagni che erano di brigata con Pietro, i quali il duca ottimamente conosceva. Udita cosí fatta novella, il duca disse al mugnaio: – Vedi, buon uomo: guarda che tu non mi dica bugia, perciò che io te ne darei un agro castigo. Ma stando la cosa de la maniera che tu detto m’hai, io provederò a’ fatti tuoi assai acconciamente. Va, e aspetterammi oggi dopo desinare al tuo molino che io so ben ov’è, e guarda per quanto hai cara la vita di non far motto di questa cosa a persona, e del rimanente lascia la cura a me. – Cosí racconsolato con buone parole il povero mugnaio, lo fece ritornar al molino. Ed avendo desinato, comandò che ciascuno a cavallo montasse, perché voleva andar fuor di Firenze. Cosí il duca con la corte s’inviò verso il molino, e quivi giunto si fece insegnare il palazzo di Pietro, che non era molto lontano, e a quello si condusse. Il che sentendo esso Pietro e i compagni, lo vennero ad incontrar dinanzi a la casa, ov’era una bella piazza con un frascato fatto di nuovo. Quivi il duca da cavallo smontato, disse a Pietro: – Io me n’andava qui presso a caccia, e veduto questo tuo bel palagio e domandato di chi fosse, intendendo che egli è tuo e che è molto agiato e bello, con bellissime fontane e giardini, m’è venuta voglia di vederlo. – Pietro che si credette il fatto star cosí, umilmente lo ringraziò di tanta umanitá, scusandosi che non era tanto bello esso luogo quanto forse gli era stato detto. Cominciarono tutti a salir le scale ed entrarono in belle ed accomodate stanze. Il duca entrava per tutto, e lodando or una camera ed or un’altra, si pervenne ad un verone che aveva la veduta sovra un bellissimo giardino. In capo del verone era una cameretta il cui uscio era fermato. Il duca disse che il luogo fosse aperto. Pietro che, sentito il venir del duca, ivi dentro aveva chiusa la giovane, rispose: – Signore, cotesto è un luogo molto mal ad ordine, e certo io non saperei ove por la mano su la chiave, ed il castaldo non è in casa, ché io l’ho mandato a Firenze per alcune bisogne. – Il duca che quasi tutti i luoghi di casa aveva visto, presago che la mugnaia vi fosse dentro: – Orsú, – disse, – aprasi questo luogo o con chiave o senza. – Pietro alora accostatosi a l’orecchia del duca, ridendo gli fece intendere che quivi aveva una garzona con cui era dormito la notte. – Cotesto mi piace, – rispose il duca; – ma veggiamo com’è bella. – Aperto l’uscio, il duca fece uscir la giovane, la quale tutta vergognosa e lagrimante se gli gettò a’ piedi. Volle intender il duca chi fosse e come era stata quivi condutta. La giovane con lagrime e singhiozzi narrò il tutto, il che Pietro non seppe negare. Il duca alora con un viso di matrigna a Pietro ed ai suoi compagni disse: – Io non so chi mi tenga che a tutti tre or ora non faccia mozzar il capo. Ma io vi perdono tanta sceleratezza quanta avete commessa, con questo che tu, Pietro, adesso sposi per tua legitima moglie questa giovane e le facci duo mila ducati di dote, e che voi altri dui participevoli del delitto gli facciate mille ducati per uno di dote. E non ci sia altra parola. Ora, Pietro, io te la do come mia sorella carnale, di maniera che ogni volta che io intenderò che tu la tratti male, io ne farò quella dimostrazione che d’una mia propria sorella farei. – Onde alora fece che Pietro la sposò e che l’obligo dei quattro mila ducati da tutti tre fu fatto. E cosí a Firenze tornò, ove generalmente da tutti questo suo giudicio fu con infinite lodi commendato.


A l’illustre e valoroso signore


il signor conte Annibale Gonzaga di Nuvolara


il Bandello


Narrò non è molto il capitan Vicenzo Strozzi di qual modo il duca Alessandro de’ Medici si governasse con un giovine suo cortegiano, che aveva involata una figliuola per forza ad un mugnaio e seco la notte amorosamente s’era giaciuto; e fu da tutti il duca sommamente commendato. Era di brigata con quelli che a la narrazione si trovarono presenti il luogotenente del vostro colonnello, il capitan Tomaso Ronco da Modena, uomo ne l’arme molto essercitato e prode de la persona e di gentilissimi costumi quanto dir si possa dotato. Egli poi che vide a le lodi donate al duca Alessandro esser dato fine, disse: – Signori miei, chi volesse raccontar tutte l’operazioni che il duca di Firenze Alessandro de’ Medici in cose di giustizia ha fatto, averebbe nel vero troppo piú da fare che forse non si pensa, perciò che sono infinite; ed egli, ove bisogna usar giustizia, usar diligenza grandissima, non si lascia trasportar da passione alcuna, né guarda in viso a chi si sia. E certo la giustizia è una vertú necessaria a tutti i prencipi, ma molto piú ad un prencipe nuovo, il qual voglia ben regger una cittá che sia stata lungo tempo libera, come è stata la cittá di Firenze. E tanto piú deve il duca affaticarsi in far che la giustizia sia osservata, quanto che deve attender a stabilire questo suo nuovo prencipato e far che il popolo di Firenze l’ami. Il che facilmente consegue chi fa giustizia, perciò che a la fine i grandi e piccioli amano e cercano di conservar il lor prencipe giusto. Ora per non voler tenervi piú in ascoltar questi ragionari, io vi vo’ contare un’azione fatta dal detto duca, la quale merita a giudizio mio esser lodata. – E cosí il capitan Tomaso narrò una novelletta molto bella, la quale in segno de la mia servitú e de l’amore che sempre m’avete dimostrato ho voluto che sotto il valoroso vostro nome sia letta. Voi questo picciol dono degnarete accettare, il quale doppiamente vi deverá esser caro, sí perché la novella è narrata dal vostro luogotenente ed altresí perciò che da me è stata scritta. Feliciti Iddio ogni vostro pensiero.