Notizie storiche delle maioliche di Castelli e dei pittori che le illustrarono/Capitolo VIII/Grue Liborio

Capitolo VIII - Grue Liborio

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GRUE LIBORIO.

Ultimo figlio di Carlantonio Grue ed Orsola Virgili, fu Liborio, nato il dì 13 novembre del 1702. Educato ne’ primi suoi anni allo studio delle lettere, si volse in seguito con tutto il suo ingegno a dipingere sulla maiolica, onorata professione di sua famiglia. Sotto la disciplina del padre e de’ fratelli, ch’erano saliti in grande estimazione in quell’arte, sì innanzi procedette, che si vide di buon’ora entrar con essi in nobile emulazione, e crescer gloria col suo pennello al luogo nativo.

[p. 90 modifica]Entrato ne’ trenta anni, si congiunse in matrimonio con Caterina Massimi, e dopo non molto tempo si trasferì in Teramo. Quivi continuò ad attendere al tranquillo esercizio della sua arte, e venuto al declinare dell’età, passò della presente vita dopo il 1776.

Egli attese principalmente alla pittura storica: si distinguono i suoi dipinti in particolar modo per la somma delicatezza e bellezza delle donne; onde a ragione scrisse il Bonghi, che questo artista aveva il tipo del bello muliebre nella sua fantasia1. Usava ornare di fregi d’oro le sue pitture, ed apporvi il proprio nome. Tra le sue opere bellissimo si tiene un quadretto di un palmo di altezza, rappresentante la più sublime opera della creazione, la parola; nel cui rovescio si legge il nome del pittore scritto così:

liborius grue p.

Questa bellissima dipintura è posseduta dal Bonghi, che l’ha descritta nel seguente modo:

«In un vaghissimo giardino, le cui verdi piante s’indorano ai raggi del primo sole, vedesi la divina figura del Dio Creatore, che la possente destra protende verso il giovane Adamo; e per un atto della sua volontà conferiscegli il dono più prezioso che potesse fargli, quello che lo costituirà signore delle cose create, la parola, sublime attributo dell’uman genere; la parola mirifico magistero che suscita e che disvela il pensiero, e traduce in suoni i sentimenti dell’animo: la parola che sola mancava a far completa la divina [p. 91 modifica]opera, e che sola sopravvive alla distruzione delle cose create.

In questa dipintura è semplice e piano, e quasi volgare il concetto. Ma è sommamente da pregiare quel che di sopraumano seppe porre l’artista nel volto del Dio Creatore, e la spontanea espressione del sentimento di maraviglia, di gioia e di gratitudine, che giunse a figurare nella faccia di Adamo. Oh! e quale altro uso farà primamente questi di un cotanto dono, se non per magnificar la potenza e render grazie alla beneficenza del suo Creatore! È questo il pensiero, che è impossibile di non leggere nel volto del primo uomo, cui fu largita la parola, e che l’artista Castellano pervenne felicemente a significare nel suo lavoro.

Del qual lavoro m’è avviso, ch’io non debba pretermettere un pregio nuovo affatto pei tempi del Grue, e propriamente singolare, vo’ dire della doratura giudiziosamente usata per dar luce più splendida alle parti chiare e tocche dal sole del suo dipinto. Imperocchè quell’aurea fusione fa qui l’uffizio che propriamente le si conviene, colorando in dorate tinte quei lati soltanto degli obbietti messi nel quadro, che son tocchi dai raggi solari. Non come nelle dipinture dei primordi del medio evo, nelle quali le figure risaltavano sopra fondo dorato, rimanendone osse quasi oppresse e rabbuiate; nè come in molti lavori dell’arte ceramica forestiera, che hanno bordi e cornici e fregi in oro, sacrificando al non grato luccicar del metallo la verità, la espressione e l’effetto.

[p. 92 modifica]In questo bel dipinto del Grue vedesi la doratura adoperata per dar risalto ai tronchi ed alle foglie degli alberi rivolti al sol nascente; sicchè lo effetto che ne proviene al lumeggiare costituisce quasi una tinta novella, a produrre la quale non sarebbero state bastevoli, non dirò già quelle trovate dall’arte ceramica, nemmeno quelle della tavolozza. Il palmistro sopra tutto che qui elevasi tra le altre piante dell’Eden, e par che domini la composizione, è tanto giudiziosamente filettato in oro, che occhio non si stancherebbe mai di riguardarlo2

Note

  1. Opera citata, pag. 27.
  2. Opera citata, pag. 25.