Non sì veloci su le lubrich'onde
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al padre maestro
COSTANTINO TESTI
MIO FRATELLO
Che fallaci sono le speranze della Corte.
Non sì veloci su le lubrich’onde,
Cui lungo verno indura,
Striscian gli abitator de l’Orsa algente,
Come Fortuna allor ch’è più ridente
5Da noi s’invola e fura,
E volgendone il tergo il volto asconde;
Coglie allora, che porge e sì vicine
A i doni ha le rapine,
Che beato e infelice in un sol punto
10Tu perdi il ben quando a gran pena è giunto.
E pur il mondo ambizïoso avaro
Vuol che costei sia Diva,
E le sparge gli altar d’arabi fumi,
Come che possa infra i celesti Numi
15Star Deità nociva,
Che ’l dolce di quaggiù volga in amaro.
Saggio chi men le crede, e con tal legge
I suoi desir corregge,
Ch’a i vari giri de l’instabil rota
20Sempre ha stabile il cor, l’anima immota.
Tu che vivi costà fra pompe e fasti,
Ove l’ostro ove l’oro
Vermiglio splende e pallido riluce,
Non t’invaghir de la superba luce;
25Sarai maggior di loro
S’a le grandezze lor col cor sovrasti.
Schianta dal sen, prima che cresca, il seme
Del desio e de la speme,
Nè venticel che lusinghier t’inviti
30Gonfi le vele tue lunge da i liti.
La speranza omicida è de’ mortali,
Che fin al ciel n’estolle
Perchè maggior sia ’l precipizio e ’l danno.
Oh! con che dolce e dilettoso inganno
35L’alma fastosa e folle
Pascendo ognor si va de’ propri mali:
Mille pensieri ordisce e mille voglie,
Mille ne tronca e scioglie;
Parla e scherza con l’ombre, erra e delira
40Tormentata dal ben che più desira,
A lusingar le sonnacchiose menti
Suol da le porte eburne
De’ sogni uscir la favolosa schiera,
E l’immagin del ben che più si spera
45Far con ombre notturne
Che vivamente al cor si rappresenti.
Il duce avvezzo a sanguinosa pugna
Sognando il ferro impugna;
Preme il nemico a la vittoria intento,
50E di vane ferite impiaga il vento.
Il cacciator tutto anelante e lasso
Per solitario lido
Di fuggitiva cerva incalza l’orme,
Stilla sudor dal crine, e se ben dorme
55Pur rauco innalza il grido,
E del veltro fedele affretta il passo.
Vede l’avaro in chiusa parte ascoso
Tesoro luminoso,
E mentre par che ’l prenda e che lo stringa
60Di prezïosa froda il cor lusinga.
L’amante a la sua Dea con mille preghi
Narra i lunghi martiri,
Che narrarle vegliando il dì non osa;
Questa par che l’ascolti, e che pietosa
65A’ suoi caldi sospiri
L’anima adamantina inchini e pieghi;
Ond’avido in quel punto apr’ei le braccia,
E l’ombre fredde abbraccia,
Donando in vece de l’amato Nume
70Vedovi baci a l’insensate piume.
Ma non sì tosto il Sol di raggi adorno
De la gelida notte
Sgombra l’atra caligine dal polo,
Che de’ fantasmi il vaneggiante stuolo
75A le Cimmerie grotte
Onde prima partì sen fa ritorno.
Tal sogliono i pensier de l’alma insana
Svanir per l’aria vana,
Che le speranze fuggitive e incerte
80Sogni son di chi dorme a ciglia aperte.
Frate, godrai quaggiù vita serena,
Se non t’ingombra il petto
Di grandezze e d’onor cura mordace;
E forse quel ch’or più t’alletta e piace,
85E par dolce in aspetto,
Posseduto saría cagion di pena.
L’alma nel desïar, qual talpa è cieca;
Talor più duol le reca
Quel che più brama, e spesso avvien che dove
90Vita aver si credea morte ritrove.
Son castighi del Ciel anco gli onori.
A chi perdìo non sono
Le fortune di Mida e i casi noti?
Con sordide preghiere, e avari voli
95Dagli Dei chiese in dono
L’ambizioso re pompe e tesori;
Chiese di trasformar in auree masse
Tutto ciò che ci toccasse,
Nè contento d’aver tesori appresso
100Di sè stesso tesor fece a sè stesso.
Toccò ruvido sasso, oro divenne;
Toccò rosa vermiglia,
Folgoreggiò su la nativa spina:
Ma con la doglia ògni piacer confina,
105Il cibo, oh maraviglia!
Morso più s’indurò, più si ritenne,
E congelarsi in biondo ghiaccio i vini
A le labbra vicini.
Bestemmiò l’oro, e de l’insania avvisto
110Si maledì del suo dannoso acquisto.