Nicarete ovvero La festa degli Alòi/Dedica
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ALLA GENTILISSIMA SIGNORA
EMMA GARZES
- Gentilissima Comarina,
Ella trasse per la prima, di questa mia Nicarete, innanzi ancora che venisse al mondo, i lieti auspicj: ora la bimba, come di giusto, viene a Lei a dirle grazie nel nome del papà.
S’intende che anche a Nicarete hanno trovato a ridire quello che alla Sposa di Menecle: che cioè di greco essa non ha fuorchè i nomi e le invocazioni agli Dei, e che la commedia poteva correre lo stesso se i miei personaggi li avessi vestiti in cravatta e marsina. Resta a vedere se le leggi moderne avrebbero consentito la situazione istessa. E che colpa ne ho io se certi critici si sono foggiati in testa un mondo imaginario dell’antichità a modo loro, tutto diverso dal nostro, e la vita intima greca invece di studiarla nelle fonti, la conoscono dai compendj per le scuole? Se a qualcheduno di costoro, che con tanto sussiego vi parlano del così detto color locale, ammanniste sulla scena, a loro insaputa, qualche pagina testuale di Menandro o d’altri comici della Commedia nuova, o delle aringhe civili di Demostene e degli altri forensi, o dei dialoghi lucianeschi o delle epistole alcifronee, c’è da scommettere un contro cento, ch’essi accuserebbero Luciano ed Alcifrone e Demostene e Menandro di anacronismo e di offesa al colore locale, e di aver cucinato in salsa greca persone e fatti della odierna società.
Per convincere questi signori che il menage antico dei nostri nonni di Atene, quel di Tucrito compreso (il cui nome e quello di Nicarete e del primo marito suo ricorrono nell’aringa demostenica contro Eubulide), differiva dal nostro assai meno di quel che essi si imaginino, avrei dovuto lardellare anche Nicarete di note e noticine ad ogni riga... a che pro? Mi basta la fatica spesa intorno alla Sposa di Menecle: e alle note che accompagnano quella, e all’altro mio scritto sulle Pene degli adulterj in Atene1 rimando i curiosi che ne avessero voglia.
A lei, signora Emma, questo supplizio lo risparmio: perchè io sono feroce meno assai del mio maestro e collega Ruggero Bonghi, e il mio animo mite inorridisce a quella sua efferatissima alzata di ingegno, dello infliggere a signore belle, gentili e di complessione delicata, in lettere dedicatorie coi testi greci annessi, la ermeneutica dei dialoghi di Platone.
Mi saluti Franz, il mio Tucrito ideale, e mi abbia
suo dev. aff. |
Note
- ↑ Mie opere complete, vol. VI.