Nicarete ovvero La festa degli Alòi/Atto unico/Scena terza
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SCENA III.
PROTOMACO e CARIONE.
(entrano discorrendo)
Carione.
Vedi: Adone quando morì, gli abitanti giù dell’inferno gli chiesero quali fossero le cose più belle da lui lasciate qua sopra. Lui rispose: il sole, la luna, i cocomeri e le mele. Io ci avrei aggiunto: e mia moglie che mi fa le corna! E tu hai avuto torto di ripudiare la tua. Io non sono stato mai così felice, come dal giorno che Sostrata, mia moglie, si è decisa a farmi le fusa torte. Prima avevo l’inferno in casa; tutti i giorni una lite. Adesso è l’isola dei beati. Quando rincaso, mia moglie ha per me ogni premura: mi prepara i piattini più delicati, mi colma di baci e di tenerezze. Dove andrei a star meglio? Supponi l’avessi mandata via, ora mi troverei a desiderarla; sarei più infelice di Tantalo. È quello che dimostro nell’arringa che improvviserò domani al tribunale, nella causa per la moglie di Nicida. La sto mandando a memoria: sentirai che arringa! (declamando) Savia legge, o uomini Ateniesi, fu quella di Solone nostro, che al marito che accusa la moglie di adulterio, se non l’ha uccisa sul fatto, sia dato ripudiarla; ma se ripudiata, lo ripiglia il desiderio e si lascia coglier con lei, sia notato con la pena d’infamia! Così i mariti ci pensin su prima due volte, se lor meglio non torni chiudere un occhio... o anche due... (ripete, con solennità comica, riscaldandosi nella declamazione) o anche due!...