Nella tua prima età pargola e pura
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Nella tua prima età pargola e pura
Ch’eri qual novelletta primavera,
Cara mia luce e vera,
Con gli occhi tuoi mi apristi lo ’ntelletto;
5E se allor ti mostrasti schiva e dura,
Come tu sai, meraviglia non era
Perchè d’amor la spera
Non riscaldava ancora il tuo bel petto.
E con molto sospetto
10Chiamai più soli il tuo piacere acerbo;
Ma pur qui non so dir siccome strugge
Bramar beltà che fugge,
Se non che io consumava ogni osso e nerbo.
Così t’amai nella tua puerizia;
15E se allor t’era in ugge,
Sempre attendea, per ben soffrir, letizia.
Moltiplicava a dì a dì amore
In me, siccome in te facea beltate,
Ch’ogn’or più delicate
20Mostravi, a innamorar, le tue fattezze.
E tanto fu così vago il mio cuore,
Che tu venisti in la seconda etate;
E, come alber l’estate,
Mostrasti più virtute e più bellezze.
25Qui provai le dolcezze
Che è amare chi a ragione intenda;
Qui fu pietà soccorso del mio pianto;
Qui facesti ben tanto
Ch’i’ non so mai come il merito renda.
30Certo io non dico ch’i’ fossi sì oltre
Ch’io mi possa dar vanto
Ch’io ti vedessi mai sotto la coltre.
Ott’anni fu, che non mi parve un’ora,
Tanto mi piacque il tempo che diviso
35Col tuo vezzoso riso
Ogni spirito mio facea contento.
Ed altrettanti ne son iti ancora
Ch’i’ mi trovo lontan dal tuo bel viso,
E tanto son conquiso
40Che ciascun dì mi paion più di cento.
Lasso!, se or tormento
Poichè non posso tua beltà vedere,
Certo non è da maraviglia farsi;
Però che mai non arsi
45Com’io ardeva del tuo bel piacere,
E quanto amor mi combatte e martìra
Sì nel mio pianto parsi,
Che qualunque mi guarda ne sospira.
Or se dubbiassi e mi volessi dire
50Che è che non sia morto in tanti stridi,
E poi come mi fidi
D’aver portato fede a que’ begli occhi;
I’ ti rispondo che tal’or venire
Mi par vedere Amore e che te guidi
55Gentil quanto ti vidi
Quando prima provai gli ardenti stocchi.
E par neve che fiocchi
Del tuo bel viso l’amorosa manna
Colla qual cibi gli spiriti miei;
60Sicchè tu se’ colei
Che campi me che morte non mi danna:
E poi mia fede è tal che, s’io volessi,
Partir non mi potrei
Da te nè far ch’un’altra mi piacessi.
65 Così com’egli è vero ciò ch’io scrivo,
Sì disbrami io di te veder la voglia
In prima che ti toglia
La tua terza stagion le verdi fronde;
Bench’io pur pensi che, come l’ulivo
70O ver l’abete al fin non perde foglia,
Così mai non si spoglia
Da te beltà per tempo che secondi;
Ch’i capei crespi e biondi
Gli occhi e la bocca ed ogni beltà tua
75Non fece Iddio perchè venisser meno,
Ma per mostrare a pieno
A noi l’esempio della gloria sua.
O luce mia a cui mi raccomando,
Per merito sì pieno,
80Sia grazïosa a questa ch’io ti mando.
Canzon, non è bisogna ch’io ti dica
Dove tu dèi andar: ch’il sai com’io.
Sol ti prego per Dio
Che del tornar, quanto tu puoi, t’affretti;
85Chè tu sai ben che sopra ogni fatica
All’uom c’ha stato bisognoso e rio,
Come vedi ch’è il mio,
È l’aspettare e viver con sospetti.
Poi t’ammonisco che non ti diletti,
90Come hanno fatto le sorelle tue,
Delle bellezze sue,
Tanto che del tornar tu fossi niente;
Chè degno è quel servente
Di mille morti, che ’l suo cammin tarda
95Al gran bisogno, come fece il corbo.
Or va’, figliuola, e guarda
Al tuo dover ed al mio grave morbo.
(Pubblicata dal Trucchi (Serventese, ecc.); da noi corretta sul cod. ricc. 1091.)