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FAZIO DEGLI UBERTI

La sua durezza; ed io pur la desidero;
E piangon gli occhi che poco la videro.
40     Il mar profondo non fromba non litica,
Cessa dall’ondeggiar forte e malivolo,
E diventa benivolo,
Sì che li marinai lieti pileggiano.
Eolo s’acqueta e sua asprezza mitiga.
45E quei c’hanno d’amore il cor più schivolo,
Per l’amoroso sivolo
Degli augelletti ch’al verde vagheggiano,
Contr’ a te non aspreggiano,
E per lo dolce tempo si confortano
50Nè più durezza portano.
Ma pur costei non s’addolce, nè scorgere
La posso a te nè per servirla svolgere.
     Omai saper t’ho fatto il gran pericolo,
Amor, da cui nè so nè posso fuggere,
55E veggomi distruggere
Per lei la vita senza ’l tuo rimedio.
Soperchio è il mio dolor, signor, ch’i’ cigolo,
Bench’io m’accheto e non ardisco muggere;
Sentomi il sangue suggere
60Da’ suoi begli occhi, onde alla morte espedio.
Ma se da cotal tedio
Mi fai da lei, com’io disìo, dissolvere,
Fin che di me fia polvere,
Con fedeltà proclamerò tua gloria
65E vivo e morto avrò di lei memoria.


(Pubblicata dal Trucchi (Serventese, ecc.)



VI


     Nella tua prima età pargola e pura
Ch’eri qual novelletta primavera,
Cara mia luce e vera,
Con gli occhi tuoi mi apristi lo ’ntelletto;
5E se allor ti mostrasti schiva e dura,


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