Nel tempo che s'infiora e copre d'erba

Fazio degli Uberti

XIV secolo Indice:Le Rime di Cino da Pistoia.djvu Letteratura Nel tempo che s'infiora e copre d'erba Intestazione 1 settembre 2021 100% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Rime scelte di poeti del secolo XIV/Fazio degli Uberti


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     Nel tempo che s’infiora e copre d’erba
La terra sì che mostra tutto verde,
Vidi una donna andar per una landa,
La qual cogli occhi vaghi in essa serba
Amore e guarda sì che mai no ’l perde.5
Luceva intorno a sè da ogni banda:
Per farsi una ghirlanda
Poneasi a sedere in su la sponda,
Dove batteva l’onda
D’un fiumicello, e co’ biondi capelli10
Legando i fior quai le parean più belli.
     D’alberi chiusa dentro ad un bel rezzo,
Su la rivera d’un corrente fiume,
Legava insieme l’un con l’altro fiore.
E’ raggi suoi passavan per lo mezzo15
De’ rami e delle foglie, con quel lume
Che si vedea nel suo gentil valore.
Quivi con lei Amore
Vedeva star con tanta leggiadrìa,
Che fra me dir sentìa20
— Questa è la donna che fu in ciel creata;
Ed ora è qui come cosa incarnata. —
     Volgeva ad or ad or per la campagna
Gli occhi soavi che parean due stelle
Ver quella parte d’onde era venuta.25
E poco stando, vidi una compagna
Venir di donne e di gaie donzelle,

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Che tanta gioia mai non fu veduta.
Ciascuna lei saluta;
Ed essa all’ombra per più bella festa30
Poneasi in su la testa
La ghirlandetta che sì ben le stava,
Che l’una all’altra a dito la mostrava.
     In poco stante, a guisa d’una spera,
Dinanzi all’altre lei vid’io venire,35
Pavoneggiando per le verdi piagge:
E come il sol in su ’l far della sera
L’aere fa d’oro fin spesso apparire,
Così per gli occhi suoi le vedea ragge.
E tal’or per le fagge40
Dov’io nascoso m’era si volgea:
Quel ch’io di lei credea
E con quanti sospiri e pensier fui
Dicalo Amor, ch’io no ’l so dire altrui.
     Canzon, figliuola mia, tu te ne andrai45
Colà dove tu sai
Ch’onesta leggiadrìa sempre si trova,
Sì come Amor fa prova,
E par sì come su la spina rosa:
Così tutta vezzosa,50
Se puoi, per modo ch’altri non ti vegga,
Entrale in mano, e fa’ ch’ella ti legga.


(Dalle Rime di diversi antichi autori toscani, Giunti 1527; dov’è attribuita ad incerto. Si restituisce ora a Fazio per autorità di più codici e per identità di forma.)