Musa, che 'n vario stile
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VIII
A PAN
Musa, che ’n vario stile
giá narrasti sovente
del cor la fiamma ardente,
or accorda la lira
a novo metro, e a maggior gloria aspira.
Cantate meco, o ninfe,
il terror de le belve,
il nume de le selve,
ch’i venti dietro lassa
col piè caprigno e i folgori trapassa.
Or di mortelle e d’edre
coroniamo le chiome,
pria che si canti il nome
de’ cui sublimi onori
han Menalo e Liceo gli echi sonori.
Pan, venerabil padre
de le ninfe montane,
che per l’erte piú strane
ad arricchir di prede
godi seco di trar veloce il piede;
tu serbi i lieti paschi
e le fontane algenti
agli ovili, agli armenti,
che di terrene manne
ricche pur fan le povere capanne;
morbo maligno o suono
di malefiche note
o lupo mai non puote
nuocer a quella greggia
ch’una volta de te sola si veggia.
Oh felici quei boschi
che, quando tu talora
con armonia sonora
chiami l’amato nome,
ombra ti fan con le frondose chiome!
A le tue rime, ai versi
i canori augelletti
son vinti e i zefiretti,
e ’l cristallino rio
raddolcisce al tuo canto il mormorio.
Han men dolci gli accenti
i cigni d’Ippocrene
e con men grate avene
Filomena infelice
le sue sciagure altrui cantando dice.
La dea di Cinto, quella
che nel cielo s’adorna
d’inargentate corna
e negli azzurri calli
degli eterni zaffir guida i suoi balli;
vinta di grazia e d’arte,
di scorno arder si vede,
e confusa ti cede
quando in leggiadri modi
con l’amadriadi tue danzar tu godi.
Qualor, dal sonno oppresso,
godi affannato e stanco
di riposar il fianco,
letto ti porge il prato
ed ombraggio la selva amico e grato.
Aure fresche e soavi
movono i venticelli,
e con canzon gli augelli,
le piú dolci che sanno,
la tua quïete lusingando vanno.
I piú bei fiori a gara,
candidi e porporini,
ne’ piú vaghi giardini
colgon le ninfe, e poi
ti consacra ciascuna i doni suoi.
Questo, di rozza musa
inno selvaggio, anch’io
ti sacro, agreste dio:
tu non prender a sdegno
povero don di mal sonoro legno.