Capitolo 170
Della provincia di Maabar

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Capitolo 170
Della provincia di Maabar
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Quando l’uomo si parte de l’isola di Silla e va ver’ ponente da 60 miglia, truova la grande provincia di Maabar, ch’è chiamata l’India magiore. E questa è la miglior India che sia, ed è de la terra ferma. E sapiate che questa provincia à cinque re che sono fratelli carnali, ed io dirò d’alcun per sé. E sapiate che questa è la piú nobile provincia del mondo e la piú ricca. Sapiate che da questo capo de la provincia regna un di questi re, ch’à nome Senderban re de Var. In questo regno si truova le perle buone e grosse, ed io vi dirò com’elle si pigliano le perle.

Sapiate ch’egli àe in questo mare un golfo ch’è tra l’isole e la terra ferma, e non v’à d’acqua piú di 10 passi o 12, e in tal luogo non piú di due; e in questo golfo si pigliano le perle, e diròvi come. Gli uomini pigliano le navi grandi e piccole e vanno in questo golfo, del mese d’aprile insino in mezzo maggio, in un luogo che si chiama Baccalar. È vanno nel mare 60 miglia, e quini gittano loro ancore, ed entrano in barche piccole e pescano com’io vi diròe. E sono molti mercatanti, e fanno compagnia insieme, e aluogano molt[i] uomini per questi 2 mesi, tanto come la pescheria dura. È mercatanti donano al re de le 10 parti l’una di ciò che pigliano; e ancora ne donano a colui che incanta i pesci, che non facciano male agli uomini che vanno sott’acqua per (trovare) le perle: a costui donano de le 20 parti l’una. E questi sono abrinamani incantatori. E questo incantesimo non vale se no ’l die, sí che di notte neuno non pesca; e costoro (ancora) incantano ogne bestia e ucello. Quando questi uomini alogati vanno sott’acqua, 2 passi o 4 o 6 insino a 12, e’ vi stanno tanto quanto possono, e pigliano cotali pesci che noi chiamiamo areghe: in queste areghe si pigliano le perle grosse e minute d’ogne fatta.

E sapiate che le perle che si truovano in questo mare si spandono per tutto il mondo, e questo re n’à grande tesoro. Or v’ò detto come si truovano le perle; e da mezzo maggio inanzi no vi si ne truova piúe. Ben è vero che, di lungi di qui 300 miglia, si ne truova di settembre insino ad ottobre.

E sí vi dico che tutta questa provincia di Maabar non li fa bisogno sarto, però che vanno tutti ignudi d’ogne tempo, però ch’egli ànno d’ogne tempo temperato, cioè né freddo né caldo; però vanno ignudi, salvo che cuoprono lor natura con un poco di panno. E cosí vae il re come gli altri, salvo che porta altre cose, com’io vi dirò.

È porta a la natura piú bel panno che gli altri, e a collo un collaretto tutto pieno di pietre preziose, sí che quella gorgiera vale bene 2 grandissimi tesori. Ancor li pende da collo una corda di seta sottile che li va giú dinanzi un passo, e in questa corda àe da 104 tra perle grosse e rubini, lo quale cordone è di grande valuta. E diròvi perch’elli porta questo cordone, perché conviene ch’egli dica ogne die 104 orazioni a’ suoi idoli; e cosí vuole lor legge, e cosí fecero gli altri re antichi, e cosí fanno questi. Ancora porta a le braccia bracciali tutti pieni di queste pietre carissime e di perle, e ancora tra le gambe in tre luoghi porta di questi bracciali cosí forniti. Anche vi dico che questo re porta tante pietre adosso che vagliono una buona città: e questo non è maraviglia, se n’à cotante com’io v’ò contato.

E sí vi dico che neuno può trare neuna pietra né perla fuori di suo reame, che pesi da un mezzo saggio in su; e ’l re ancora fa bandire per tutto suo reame che chi à grosse pietre e buone o perle grosse, che le porti a lui, ed elli ne farà dare due cotanti che no li costano. E quest’è usanza del regno, di donare lo doppio; e’ mercatanti e ogn’uomo, quando n’ànno, volentieri le portano al segnore, perché sono ben pagati.

Or sappiate che questo re à bene 500 femine, cioè moglie, ché, come vede una bella femina o donzella, incontanente la vòle per sé, e sí ne fa quello ch’io vi dirò. Incontanente che elli vide una bella moglie al fratello, sí lile tolse e tennela per sua, e ’l fratello, perch’era savio, lo soferse e no volle briga co lui.

Ancora sappiate che questo re àe molti figliuoli che sono grandi baroni, che li vanno atorno sempre quando cavalca. E quando lo re è morto, lo corpo suo s’arde, e tutti questi suoi figliuoli s’ardono, salvo il maggiore che dé retare; e questo fanno per servirlo ne l’altro mondo.

Ancora v’è una cotale usanza, che del tesoro che lascia il re al figliuolo, mai non ne tocca, ché dice ch[e] no vòle mancare quello che li lasciò il suo padre, anzi il vòle acrescere; e catuno sí l’acresce, e l’uno il lascia a l’attro, e perciò è questo re cosí ricco.

Ancora vi dico che in questo reame no vi nasce cavalli, e perciò tutta la rendita loro o la maggiore parte, ogn’anno si cunsuma in cavalli. E diròvi come: i mercatanti di Quisai e de Dufar e d’Eser e de Adan - queste province ànno molti cavalli - e questi mercatanti empiono le navi di questi cavalli, e pòrtali a questi 5 re che sono fratelli, e vendeno l’uno bene 500 saggi d’oro, che vagliono bene piú di 100 marchi d’ariento. E questo re n’accatta bene ogn’anno 2.000 o piú, e li fratelli altretanti: di capo de l’anno tutti sono morti, perché non v’à marescalco veruno, perch’elli no li sanno governare. E questi mercatanti no vi ne menano veruno, perciò che vogliono che tutti questi cavalli muoiano, per guadagnare.

Ancora v’à cotale usanza: quando alcuno omo à fatto malificio veruno che debbia perdere persona, e quello cotale uomo dice che si vòle uccidere elli istesso per amor e per onore di cotale idolo, e ’l re li dice che bene li piace. Alotta li parenti e li amici di questo cotale malefattore lo pígliaro e pongolo in su una caretta, e dannoli bene 12 coltella e portal[o] per tutta la terra, e vanno dicendo: «.Questo cotale prod’uomo si va ad uccidere elli medesimo per amore di cotale idolo». E quando sono al luogo ove si dé fare la giustizia, colui che dé morire piglia uno coltello e grida ad alta boce: «Io muoio per amore di cotale idolo». Com’à detto questo, elli si fiede del coltello per mezzo il braccio, e piglia un altro e dassi ne l’altro (braccio), e poscia de l’altro per lo corpo; e tanto si dà ch’elli s’ucide. Quand’è morto, li parenti l’ardono con grande alegrezza.

Ancora v’à un altro costume, che quando neiuno uomo morto s’arde, la moglie si gitta nel fuoco e arde co lui; e queste femine che fanno questo sono molto lodate da le genti, e molte donne il fanno.

Questa gente adorano l’idole, e la magiore parte il bue, ché dicono ch’è buona cosa; e veruno v’à che mangiasse di carne di bue, né nullo l’ucciderebbe per nulla. Ma e’ v’à una generazione d’uomini, ch’ànno nome gavi, che mangiano i buoi, ma non li usarebbero uccidere; ma se alcuno ne muore di sua morte, sí ’l mangiano bene. E sí vi dico ch’elli ungono tutta la casa del grasso del bue.

Ancora ci à un altro costume, che li re e baronia e tutta altra gente non siede mai se no in terra; e dicono che questo fanno perché sono di terra e a la terra debbono tornare, sí che non la possono troppo inorare.

E questi gavi che mangiano la carne del buoi, sono quelli i cui antichi ucisero santo Tommaso apostolo anticamente; e veruno di questa generazione no potrebbe intrare colà ov’è il corpo di santo Tomaso. Ancora vi dico che 20 uomini no vi ne potrebbero mettere uno, di questa cotale generazione de’ gavi, per la virtú del santo corpo. Qui non à da mangiare altro che riso. Ancora vi dico che se un grande destriere amontass[e] una cavalla, non ne nascerebbe se no uno piccolo ronzino co le gambe torte, che no vale nulla e non si può cavalcare. E questi uomini vanno in bataglie co scudi e co lance, e vanno ignudi, e non sono prod’uomini, anzi sono vili e cattivi. Eglino non uciderebbero alcuna bestia, ma quando vogliono mangiare alcuna carne, sí la fanno ucidere a’ saracini ed ad altra gente che no siano di loro legge. Ancora ànno un’altra usanza, che maschi e femine ogne dí si lavano due volte tutto il corpo, la mattina e la sera; né mai no mangerebbero se questo non avessero fatto, né no berebbero; e chi questo no facesse, è tenuto come sono tra noi i paterini.

Ed in questa provincia sí si fa molto grande giustizia di quelli che fanno mecidio o che imbolino, e d’ogne maleficio. E chi è bevitore di vino non è ricevuto a testimonianza per l’ebrietà; ed ancora chi va per mare dicono ch’è disperato. E sapiate ch’elli no tengono a pecato nulla lussuria.

E v’à sí grande caldo ch’è maraviglia. È vanno ignudi; e no vi piuove se no tre mesi dell’anno, giugno e luglio e agosto; e se no fosse questa acqua che renfresca l’aire, e’ vi sarebbe tanto caldo che veruno vi potrebbe campare.

Quivi àe molti savi uomini di fi[sonomia], cioè di conoscere li costumi de li uomini a la vista. Elli guatano ad agure piú che uomini del mondo e piú ne sanno, ché molte volte tornano adietro di loro viaggio per uno istarnuto [o] per la vista d’uno uccello. A tutti loro fanciulli, quando nascono, sí scrivono lo punto e la pianeta che regna allotta, perciò che v’à molti astrolagi e indivini.

E sappiate che per tutta l’India li uccelli loro sono divisati da’ nostri, salvo la quaglia; li pipistrelli vi sono grandi come astori, e tutti neri come carbone. Elli danno a li cavalli carne cotta co riso e molte altre cose c[otte].

Qui àe molti monasteri d’ idole, ed àvi molte donzelle e fanciulli oferti da li ro padri e madri per alcuna cagione. E ’l segnore del monistero, quando vòle fare alcuno solazzo a li idoli, sí richieggiono questi oferti; ed elli sono tenuti d’andarvi e quivi ballano e trescano e fanno grande festa. Queste sono molte donzelle; e piú volte queste donzelle portano da mangiare a questi idoli, ove sono oferte; e pongono la tavola dina(n)zi a l’idolo e pongovi suso vivande, e lasciavile istare suso una grande pezza, e tuttavia le donzelle cantando e ballando per la casa. Quando ànno fatto questo, dicono che lo spirito de l’idolo à mangiato tutto il sottile de la vivanda, e ripongolo e vànnosine. E questo fanno le pulcelle tanto che si maritano.

Or ci partimo di questo regno, e diròvi d’un altro ch’à nome Multifili.