Messer Niccolò Franco, a Gioan-Antonio Guidone, impressore
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MESSER NICCOLÒ FRANCO,
a
GIOAN-ANTONIO GUIDONE,
impressore.
Tuttochè le tristizie di Pietro Aretino siano infinite, finite che le avrete d’imprimere, soggiungereteci la Priapea volgare, perchè i commentarj latini fatti sopra quella di Virgilio, usciran fuori in compagnia delle cose latine. Dico questo acciocchè per ora non aspettiate d’accoppiarci le rime, ch’io pur ora compongo in morte del ribaldaccio, benchè sia vivo, sendo di mio proposito riservarle per le seconde saette ch’abbiano a trafiggergli talmente l’ignoranza dell’anima, sì che l’infame, viste prima le infamie della sua vita, veggia ultimamente le essequie della sua morte, e, conosciutosi molto più vituperoso morto che vivo, abbia egli stesso cagione di biasimare i corrivi Principi, che infino ad ora gli abbiano sostenuta la vita, e si rivolga a dannare l’ingiusta Giustizia, che per disagio d’un capestro o d’un fuoco, l’abbia lasciato vivere infino a tanto che vivo sia visto sotterrare dalla virtù di colui, la quale egli con la malignità avea pensato porre sotterra. Circa l’impressione delle mie satire, e de’ dugento sonetti del mio Pasquino, sostatevi qualchè poco, poichè il meglio è che con le rime in morte in un volume, vegnate a spedire il tutto. E sono tutto vostro. Di Torino. Di Giugno. Del mdxli.