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che l’infame, viste prima le infamie della sua vita, veggia ultimamente le essequie della sua morte, e, conosciutosi molto più vituperoso morto che vivo, abbia egli stesso cagione di biasimare i corrivi Principi, che infino ad ora gli abbiano sostenuta la vita, e si rivolga a dannare l’ingiusta Giustizia, che per disagio d’un capestro o d’un fuoco, l’abbia lasciato vivere infino a tanto che vivo sia visto sotterrare dalla virtù di colui, la quale egli con la malignità avea pensato porre sotterra. Circa l’impressione delle mie satire, e de’ dugento sonetti del mio Pasquino, sostatevi qualchè poco, poichè il meglio è che con le rime in morte in un volume, vegnate a spedire il tutto. E sono tutto vostro. Di Torino. Di Giugno. Del mdxli.