Mentre di più color per te nascea
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L
AL SIGNOR
CRISTOFORO BRONZINO
Che fornisca il ritratto della signora
Francesca Caccini.
Mentre di più color per te nascea
Il viso desïato,
Sempre ti vidi a lato
Con le sorelle sue star Pasitèa:
5Nè mai tratto pennel, nè mai fu tinta
Sulle tele distesa,
Che non fossa contesa
La vera sembianza, e la dipinta;
lo tenea di stupor le labbra mute,
10Veggendo in uom mortal tanta virtute.
Or, dicea poi fra me, s’unqua è fornita,
Immagine felice!
È pure or mi si dice,
Che di fornirla è la tua man pentita;
15Forse il vigor del tuo sublime ingegno
Sprezza volgare gloria;
E l’antica memoria.
Del buon Pigmalïon ti move a sdegno;
Nè puoi soffrir che al tuo valor si neghi
20Quel che già di colui si diede a i preghi.
Bronzin, per adescar l’uman pensiero
Cantan l’Aonie Dive;
E se parla e se scrive,
In gran parte Parnaso è menzognero;
25Ma se vuoi dar credenza a ciascun detto,
Che su Pindo s’ascolta,
Non far ch’oggi sia tolta
Alle mie voci, anzi le serba in petto;
E fa che sian tua scola i sensi loro,
30Che consiglio d’amico è bel tesoro.
Ippolito di Teseo altera prole
Fu stella di beltate,
Ma pur di castitate
Agli occhi della Grecia apparve un Sole,
35Fedra fiera madrigna a quei bei rai
Colse tanto di foco
Che in prima a poco a poco
Perdea la vita, e si struggeva in guai:
Poi disciogliendo alla vergogna il freno
40Mostrò le fiamme che ascondeva in seno.
Formò suoi preghi, e d’amoroso mele
Ben cosparse gli accenti:
Varco aperse a i lamenti,
Trasse lunghi sospir, fece querele;
45Ma quale a tempestar d’onda marina
Mantiensi alpestre scoglio,
O qual sprezzar l’orgoglio
Suol d’Aquilon pianta robusta alpina,
Tale Ippolito il cor saldo mantenne,
50E l’amante nemica alfin divenne,
Femmina disprezzata avvampa d’ira,
D’ira che altrui funesta.
Men reo per la foresta
Rugge leon che i figli orbo sospira.
55Adunque Fedra, ove il gioir dispera,
Prende atroce consiglio;
D’incesto accusa il figlio
Appresso il padre, inesorabil, fiera;
Ed ci credendo, ah miserabil sorte!
60E lo bestemmia, e lo condanna a morte.
Atene contristò pena infinita
Per gli atti acerbi e crudi;
Ma raffinò suoi studi
Tanto Esculapio, che tornollo in vita,
65E sen pentì. Giove sì mal sofferse
Quel gran sapere umano,
Che con armata mano
Nel profondo del Tartaro il sommerse,
E chiaro dimostrò, che mortal gente,
70Non stando a’ segni suoi, fassi dolente.