Memorie sulla dimora del sig. Cagliostro in Roveredo/XVI

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XV
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XVI.


Cagliostro poi andò di nuovo di là dall’Adige dai Principali di quel paese, ed avendo dato consiglio a molti sopra le loro infermità (poichè si erano colà portati per non violare la [p. 47 modifica]legge di Cesare) si congedò da loro, e ritornato nella città, raccolte in fretta le cose sue, dopo due giorni andò a Trento con sua moglie, undici giorni avanti le calende di Novembre, come computarono i Romani, appunto 46 giorni dopo il suo arrivo. Era poi il quarto giorno della settimana verso le ore nove. Ed essendo montato in carrozza s’accostò a lui quel servo, che egli avea cacciato fuori di casa, per augurargli ogni prosperità: ed egli frapposta la mano, ne lo impedì dicendo: levamiti d’innanzi pessimo servo. Rivolto poi a quelli, che a caso erano presenti, disse loro: dite ai Roveredani, che perdonino a un loro servitore, se ad essi meno del dovere soddisfece: poichè certamente la buona volontà di lui fu sollecita, ed il suo cuore senza finzione avanti di loro. E continuando egli a parlare, risuonò la trombetta, ed i cavalli trasportarono il cocchio fuori della loro vista. Era poi Cagliostro di un aspetto oltremodo amabile, e di una statura non molto alta, di testa grande, e grasso assai. Ed essendo così pingue si moveva nondimeno agilmente, e si rotava intorno. Il suo colore era vivo, i capelli della sua testa bruni, e gli occhi incavati, e vivaci. E parlando egli con [p. 48 modifica]grata pronuncia, e con gesto impetuoso li alzava al Cielo, e rassomigliava ad uno, che trae l’inspirazione dall’alto. Il suo vestire era pulito, senza lusso, e la sua conversazione piena di ogni giocondità. E dopo la sua partenza insorse un certo Poeta, e lo descrisse come uno, che ammaestrasse nei principj i Confratelli della Libertà, giusta l’opinione del popolo. Si era poi sparsa la fama, che egli fosse onorato con distinzioni esimie da quelli di Trento. Gli uomini poi prudenti, ed assennati di Roveredo, conferendo tra loro sulle cose, che erano accadute; e facendone un esame, dicevano per ultimo: grandi ambiguità, e contraddizioni molte; costui è veramente un enigma, di cui non è lecito a giudicare, fino a tanto che il fine non lo avrà manifestato.



IL FINE.