Memorie storiche della città e marchesato di Ceva/Capo XLVII - Orfanotrofio.

Capo XLVII - Orfanotrofio.

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Capo XLVI - Separazione dell’Ospedale dall’Arciconfraternita di S. Maria. Capo XLVIII - Altre opere di beneficenza.
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CAPO XLVII.


Orfanotrofio.


Il signor cavaliere Francesco Amedeo Derossi, in cui si estinse una delle famiglie patrizie di Ceva, con suo testamento delli 17 dicembre 1779 rogato Carrara, e monsignor Giuseppe Tommaso Derossi, Vescovo d’Alessandria suo fratello, furono i benemeriti fondatori di quest’opera cotanto vantaggiosa ai poveri di Ceva.

Si stabilì dai due egregi fondatori che quest’orfanotrofio si erigesse dalla congregazione di carità, sulle norme di quello eretto in Mondovì dal celebre monsignor Michele Casati Vescovo di quella diocesi, e vi fossero ricoverati i poveri specialmente orfani dell’uno e dell’altro sesso colla precedenza a quelli della città; quindi a quelli delle vicine terre poi anche a quelli del Marchesato di Ceva.

Alla morte dei due benemeriti fondatori di quest’opera non essendosi ancor in Ceva stabilita la congregazione di Carità prescritta dal R. Editto 19 maggio 1717, il ministro degl’interni conte Corte di Bonvicino con lettera delli 10 novembre 1786, suggerì al Sindaco di questa città di devenire prontamente alla deputazione degli amministratori, e dei direttori del nuovo ospizio di Carità, secondo la pia disposizione dei predetti signori fratelli Derossi. Il Civico consiglio con ordinato 20 novembre 1786, nominò per primi amministratori del medesimo «oltre il signor Arciprete, Giudice e Sindaci ufficiali nati e perpetui, il signore Marchese [p. 246 modifica]Francesco Cosma Damiano Pallavicini, marchese Alessandro Ceva di Nuceto, Conte Domenico Sauli, avvocato Giovanni Battista Greborio, signor Protomedico Pietro Antonio Morretti, signor Abate Alessandro Rovelli, e Notaio Giovanni Tommaso Garrone.»

L’amministrazione così stabilita si occupò dell’apertura dell’orfanotrofio si servì per qualche tempo d’una casa al borgo sottano per ricoverarvi le povere figlie, ammesse per le prime a godere del pio stabilimento. Dopo la soppressione delle case religiose si traslocarono nel convento dei padri Cappuccini e quindi nel 1816 nella casa del fu signor avv. Greborio in Valgelata, dove trovansi attualmente. Questa casa caduta in proprietà dell’ospedale degl’infermi, fatto erede dal suddetto avvocato Greborio, fu cambiata con quella di casa Derossi posta avanti al duomo, poco adattata per un ritiro di figlie.

Sul principio del 1854, fu per ordine superiore presentato al R. ministero un progetto di regolamento pel buon andamento di questo orfanotrofio. Essendosi osservato dagli uffiziali del ministero che questo pio stabilimento secondo le tavole di fondazione doveva essere amministrato dalla Congregazione di carità ai tempi di detta fondazione non ancora stabilita in Ceva, niun riguardo avuto alle disposizioni date dal ministro Corte nel 1786, nè ai giusti ed appoggiati richiami dell’amministrazione contenuti nell’ordinato 19 maggio 1854, venne questa soppressa col seguente R. biglietto.

«Vittorio Emmanuele II, Re di Sardegna, di Cipro e di Gerusalemme, ecc., ecc., ecc.

Sulla proposta del ministro di Grazia e Giustizia incaricato della reggenza del Ministero dell’interno.

V. i testamenti del 12 dicembre 1778, dell’Amedeo Francesco Derossi, e 6 luglio 1779 del fu Vescovo Giuseppe Tommaso Derossi:

[p. 247 modifica]V. l’art. 37 del R. Editto 24 dicembre 1836.

Avuto il parere del Consiglio di Stato.

Abbiamo decretato e decretiamo quanto segue:

Art. 1°

L’Amministrazione dell’ospizio di Carità di Ceva, fondato dall’Amedeo Francesco Derossi, sarà riassunto dalla Congregazione di Carità locale.

Art. 2°

La detta Congregazione dovrà compilare nel termine di tre mesi un regolamento in armonia colle tavole di fondazione, e colle leggi vigenti sugli stabilimenti di beneficenza.

Lo stesso Ministro è incaricato dell’esecuzione del presente decreto.

Torino addì 1° maggio 1854.»

Firmato. - Vittorio Emmanuele — U. Rattazzi.


Affinchè non venisse interpretata sinistramente questa regia disposizione emanò un dispaccio ministeriale in data 5 giugno 1854, il di cui primo articolo è così concepito:

«Nel promuovere da S. M. il decreto con cui l’amministrazione dell’Ospizio di Ceva veniva affidata alla Congregazione locale di Carità, il ministro non ebbe punto di mira di recare offesa e sfregio qualsiasi alla delicatezza e decoro della cessata amministrazione, non intese di censurare i cessanti amministratori, circa l’operato dei quali non pervenne veruna attendibile lagnanza, ma fu solo suo proposito di richiamare l’amministrazione alla forma voluta dalle leggi, e dagli stessi fondatori.»

Dopo varie ragioni addotte in difesa dell’emanato decreto questa lettera termina così:

«Piaccia al signor Intendente generale porgere in questo senso il ben dovuto appagamento ai cessanti [p. 248 modifica]amministratori, onde volonterosamente concorrano al pieno eseguimento del R. decreto 1° maggio e sappiano di godere presso il governo quella estimazione che i benemeriti amministratori ottengono dalla pia e gratuita gestione.»

Il Segretario Generale
Firmato A. di Monale.


Cosi cessò di esistere un’amministrazione che per sessant’ott’anni fu riconosciuta legale dal Governo, e col senno e coll’opera dei più cospicui cittadini che sempre ne fecero parte, si promosse in ogni modo il miglioramento di questo pio stabilimento.

Si propose e si approvò un nuovo regolamento sulle basi di quelli stabiliti per le congregazioni di carità, restando però la contabilità separata da quella della Congregazione.

Dopo i fratelli Derossi ed il signor Carlo Antonio Chiavelli patrizio Cevese, e comandante della cittadella di Mondovì di cui si parlò nell’art. Ospedale venne in soccorso di quest’opera l’egregio benefattore della patria D. Pio Bocca, il quale con suo testamento 21 settembre 1841, rogato Cervini, legò alla medesima la somma di lire quindici mila, coll’obbligo di corrispondere ogni anno lire duecento cinquanta ad una delle figlie dell’Ospizio, che abbandonerebbe il pio stabilimento, o per contrarre matrimonio, o per aver terminato il tempo fissato dal Regolamento, e lire 33 caduna a tre povere figlie di questa città in occasione di loro matrimonio.

Un altro insigne benefattore l’ebbe quest’orfanotrofio nella persona del signor Leopoldo Nobile fu Carlo Andrea nativo di Crusinallo provincia di Pallanza, morto in questa città addì 20 gennaio 1853.

Abbandonata la patria all’epoca della rivoluzione di Francia esercitò egli qui in Ceva per qualche tempo il mestiere di calzolaio, ma d’ingegno svegliato qual egli era non potè limitarsi a sì ristretta ed umile industria, si appigliò all’agricoltura per mezzo di affittamenti, e quindi d’acquisti di beni rurali.

[p. 249 modifica]Nel 1802, nel dì 22 novembre contrasse matrimonio colla Cevese Elisabetta Franco fu Domenico, donna molto esperta nell’economia domestica e che ebbe non piccola parte nell’incremento della fortuna del marito, il quale lasciò morendo un patrimonio di circa sessantamila franchi. Non avendo prole istituì erede universale dei suoi averi con testamento in data 8 gennaio 1853, rogato Rovea, quest’ospizio di Carità per ambi i sessi lasciandone usufruttuaria vita naturale durante la ben meritevole sua consorte Elisabetta Franco.