Memorie inutili/Parte seconda/Capitolo X

Capitolo X

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CAPITOLO X

Mio trionfo che non merita d’essere considerato.

Avvenne per caso che il veneto patrizio Francesco Gritti, eccellente, vivace e felice penna de’ nostri giorni, aveva tradotta dall’idioma francese per suo diporto la tragedia di Pirone, il Gustavo Wasa.

Quel cavaliere si persuase alle mie persuasioni di far passare in dono per le mie mani quella tragedia alla compagnia del Sacchi, onde fosse rappresentata, disponendo la parte di Adelaide per la Ricci.

Pullularono nuove turbolenze sulla disposizione delle parti di quella tragedia e nuove difficoltá sull’esporre al pubblico una cosí bell’opera, e opera donata da un cavaliere. Trattandosi di cosa non mia e trattandosi di un cavaliere al dono del quale era io stato il mediatore, parvemi di dover alzare la voce e pretendere contro al mio naturale, per modo che fu stabilito di esporre in sulla scena il Gustavo Wasa.

La Ricci, a cui fui assiduo ond’ella ben apprendesse la parte che le era assegnata, e che la apprese con facilitá, non aveva altro pensiero che quello d’un vestiario tragico svezzese decente per ben comparire in quella parte. Se le negava dalla compagnia rigidamente ogni sussidio, adducendo che l’obbligo di ben vestirsi in tutte le rappresentazioni di qualunque nazione era di lei e a peso del suo miserabile stipendio di cinquecentoventi ducati.

Le altre sue compagne, che avevano minor parte nella tragedia ch’ella non aveva, allegre della di lei povertá e impossibilitá di comparire decentemente, affidavano nella propria abilitá non solo, ma nella lor borsa ben fornita, e si affaticavano e spendevano smoderatamente nell’apparecchiarsi un vestiario alla svezzese orrevolissimo, per sopraffare con lo splendore e la magnificenza la meschinitá della Ricci nella comparsa. [p. 294 modifica]

Mi sono divertito moltissimo sopra alla loro mal fondata lusinga. La tragedia del Gustavo fu posta in iscena con molta decenza. La Ricci comparve la sera in sul teatro improvvisamente e inaspettatamente piú leggiadramente vestita delle altre sue compagne, non senza sorpresa e non senza bollore della comica detrazione. Ella sostenne la sua parte con molto valore. L’opera ebbe un evento felice. Fu replicata parecchie sere con acclamazione, perché piacque; ed avvenne per questo che la Ricci, la quale aveva recitato con bravura eguale nelle due tragedie Il conte d’Essex e il Fajel, incominciò solo dal Gustavo a riscuotere que’ pubblici applausi che anche prima se le convenivano. Bisogna conoscer le cause per ben conoscere gli effetti.

Vidi la giovane alquanto rasserenata, e proccurai di vederla rasserenata appieno, proteggendo i miei pronostici che incominciavano ad avverarsi.

Scorgeva trascorrere i giorni senza che si accennasse nemmeno di dare al pubblico il mio dramma della Principessa filosofa. Averei dovuto offendermi di quella ingiuriosa taciturnitá, ma io m’era proposto con fermezza d’animo di non incollerire giammai col ceto comico.

La Ricci si lagnava meco della indolenza de’ suoi compagni sul punto del non esporre quel dramma, ed io rideva. Per conto mio, non ebbi giammai la sete dell’amor proprio ambizioso e puerile di vedere le mie favate esposte in sul teatro. Sperava però un compiuto risorgimento della giovane da me soccorsa nella parte della «Principessa filosofa», e sapeva che delle sciocche sotterranee malizie comiche tenevano inoperoso il mio dramma.

Mi proposi di vincere le difficoltá con un’arte flemmatica. Incominciai a spargere con alcuno de’ comici che, ad onta del mio istinto poco curioso, non poteva scacciare dalla fantasia una curiositá fanciullesca di vedere qual effetto facesse in sul teatro una composizione d’aspetto tanto nuovo, poetico e bizzarro com’era il mio dramma della Principessa filosofa; che veramente aveva in esso pochissima fede, e che compativa moltissimo la compagnia del Sacchi se non s’arrischiava ad esporlo; ma che il tarlo della mia stolta curiositá m’era tanto molesto [p. 295 modifica]che, se quel dramma fosse creduto pericoloso, dannoso o inutile a porlo in iscena alla compagnia del Sacchi, aveva risolto di appagare la mia curiositá donandolo alla compagnia del teatro in Sant’Angelo, in cui era la signora Manzoni, capacissima di sostenere la parte della «Filosofa».

Sono necessari anche de’ strattagemmi per vincere la malignitá e la indolenza de’ nostri comici, contrarie a’ loro vantaggi medesimi.

Le mie espressioni passarono tosto d’orecchia in orecchia e cagionarono una fretta mirabile di esporre l’opera mia. Bastava destare il sospetto ch’io volessi darla al teatro in Sant’Angelo, dov’era il Derbes disertato e una truppa giudicata rivale, perché fosse immediatamente, a costo d’una disgrazia, rappresentata. Il Sacchi, furioso di temperamento e violente, volle il mio dramma in iscena in pochi giorni, gridando, sbaragliando e atterrando tutti gli ostacoli.

L’opera mia fu esposta al pubblico a dí otto del febbraio, l’anno 1772. La Ricci, da me ammaestrata, sostenne la parte della «Principessa filosofa», parte d’un peso estremo, con una bravura sorprendente. Gli applausi fioccarono, e con diciotto recite di repliche successive d’un concorso indicibile quella valente giovine stabilí nella universale opinione d’essere un’attrice inarrivabile nella bravura.

Piacque dappoi e fu bene accolta e applaudita in tutte le rappresentazioni nelle quali si espose.

La veritá ch’io narro del buon avvenimento di quell’opera non vuol dire che il mio dramma sia buono; vuol dire che piacque. E quanto al vantaggio che fece alla Ricci (vantaggio ch’ella doveva godere anche prima di rappresentare la Principessa filosofa), non farò che replicare quell’altra veritá; «convien conoscere con fondamento le cause, per conoscere la ragione degli effetti».

Quella mia vittoria, ma piú vittoria della Ricci, la rese necessaria alla comica societá, che si dirige co’ movimenti del pubblico. Fu però guardata sempre con un occulto rigore da alcune delle sue compagne. Non confessarono giammai la di lei bravura, e lodarono per politica la parte della «Filosofa» da me composta soltanto.