Memorie inutili/Parte prima/Capitolo XXIII

Capitolo XXIII

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CAPITOLO XXIII

Disseminazioni, transazioni, divisioni legali e quiete cercata invano.

Un passo indispensabile, sforzato dalla altrui direzione, divenne un delitto in apparenza e una specie d’immaginario vantaggio e trionfo in quelli che s’erano invaghiti di rovinarci co’ litigi forensi. Sperarono di farsi un’utile strada coll’odiositá a peso di noi tre fratelli e di vincere delle cause, o piuttosto di poter cantare per lo meno: — È morto Sansone, ma morirono i Filistei secolui. — Le dissensioni domestiche accecano a questo segno.

Fu tosto disseminato per tutta la cittá che tre fratelli Gozzi disumanati e barbari s’erano posti in un violente possesso d’un intero patrimonio della famiglia, piantando il quarto fratello con cinque figliuoli, tre sorelle, la moglie e la madre, dama veneta rispettabile, nelle lagrime e nella indigenza la piú crudele.

I fanti de’ magistrati seppero ritrovarmi e fulminarmi colle citazioni in un picciolo tugurio ch’io aveva preso in affitto a Santa Caterina, dove le case sono rinvilite per la lontananza, e dove alloggiava col fratello Almorò, affogando nel fumo che mandava la cucina, con poche mobilie e una fante vecchia befana, appellata Jacopa, che ci serviva.

Democrito e la mia innocenza mi dicevano tuttavia: — Non fuggire, accogli colle risa le tue vicende, non crepare e resisti.

Io non mi sono mai degnato, per istinto, di girare affaccendato giustificandomi colla lingua, anzi ho sempre considerato un tale uffizio ciarliere piú adoperato da’ rei che dagli innocenti. Il conoscere gli uomini non mi scosse giammai da questo parere.

Una indolenza da me scientemente conservata sopra a delle false disseminazioni può aver lasciate per avventura, anzi di [p. 148 modifica]conseguenza, alcune false impressioni svantaggiose contro di me, e l’indole mia, che piccica del satirico, può forse averle alimentate e ribadite.

Se le Memorie della mia vita cancelleranno alcune di coteste false impressioni, averò l’obbligo alla mia storica veridica penna ingenua, e non mai ad una penna seccatrice apologetica sopra alle censure che mi si facessero dietro alle spalle dalle altrui lingue.

Nelle sopradette amare circostanze fui avvertito che la moglie di mio fratello, sempre progettante poetica e sempre vaga di maneggi e d’amministrare, aveva sedotto il povero mio fratello, facendogli credere e vedere mentalmente delle montagne d’utilitá a firmare la scrittura della condotta del teatro di Sant’Angelo in Venezia, e non so quante scritture di stipendio ad una truppa di comici, che dovevano agire ad una rovina, ma ch’ella conteggiava per un opulente vantaggio, facendosi impresaria, direttrice e sovrastante e seguace alla truppa ne’ teatri di Venezia e di terraferma.

Avrei non voluto avere questa notizia. Benché ella desse un’idea delle anteriori direzioni tenute e mi servisse di giustificazione, non ebbi alcun sentimento allegro, e compiansi il fratello e gl’innocenti suoi figli. Tentai, senz’essere nominato, di far dissuadere quella femmina rovente sopra una tale impresa. Ributtò ogni persuasione tentata, certissima di guadagnar de’ tesori da far mordere le dita d’invidia a’ di lei cognati.

Non era piú tempo di ritardare quelle divisioni che sino a quel punto aveva tenute lontane.

Oltre il desiderio che aveva di far noto al mondo il mio dissenso in questo proposito indecoroso e rovinoso, scorgendo per buon consiglio tenuto che la intrapresa avrebbe per qualche via potuto involgere le sostanze di tutti, senza delle divisioni di fraterna legali, intimai civilmente al fratello Gasparo la separazione del patrimonio, cosí consigliato.

Discesi a de’ trattati ed a cercare d’accomodarmi co’ miei parenti. S’interposero delle persone, e fu estesa e firmata una carta preliminare di divisione e di accordi, col comune consentimento [p. 149 modifica]e colla speranza di troncare molte teste ad un’idra che soffiava veleno da tante parti.

Insistendo la madre e le sorelle (che poi si pentirono) di voler vivere unite alla famiglia del fratello Gasparo, quella ebbe da noi la conferma del pagamento della sua dote presso che al dieci per cento, e queste ebbero una somma annuale vitalizia, accordata a misura delle estenuate forze che rimanevano, con un patto d’accrescimento d’una somma determinata e d’anno fissato, estinti che fossero i debiti assunti da pagarsi, per i quali fu destinata un’antiparte che fu poscia a mio peso.

De’ beni del Friuli due agrimensori periti fecero quattro parti eguali. I beni di Venezia, della Bergamasca e della Vicentina furono divisi a rendita con un’altra scrittura firmata.

Mio fratello Gasparo ebbe desiderio d’avere nel suo partimento l’abitazione di sopra, ricuperata per la mancanza del padre, e condiscendemmo nella scrittura suddetta; e nella scrittura medesima cesse a noi tre fratelli l’albergo di sotto, che abitava, ma colla scrittura. Ognuno conobbe il suo patrimonio, cosí volendo il fratello Francesco per farsi diligente formica sul suo retaggio a piacere. Per tal modo tre fratelli che sembravano uniti, non rimasero uniti che coll’animo, e il patrimonio se ne andò in quarti. A me, oltre la mia porzione, rimase il peso di estinguere i debiti coll’antiparte, per dover rendere conto al fine d’ogn’anno dell’operato. Le pretese della cognata non furono considerate in quelle convenzioni, ma si vedrá che ho poi dovuto considerarle allor quando le sperate comiche miniere d’oro non furono che miniere di rovine sulle spalle dell’infelice indolente fratello.

Dopo tutti questi stabilimenti, col consenso de’ miei fratelli Francesco ed Almorò, prevedendo de’ casi mesti, mi sono espresso colla madre e colle sorelle, che in qualunque tempo e in qualunque evento averebbero trovato in noi tre fratelli un accoglimento filiale e fraterno.

Ognuno crederá che con tutti questi pensieri io non trovassi tempo da occupare ne’ miei studi geniali, e ognuno s’inganna. Non passava giorno ch’io non cercassi in quelli l’unico mio [p. 150 modifica]sollievo. Uscirono dal mio calamaio delle infinite superfluitá letterarie continuamente, per lo piú facete e contrarie agli afflittivi pensieri che doveva avere. Anche queste mi cagionarono delle strane vicende.

De’ racconti niente malenconici conterranno gli eventi cagionati dal genio mio letterario e da quello di voler conoscere l’umanitá, e porrá in chiarezza che per quanto si studi il mondo non si giugne giammai a ben conoscerlo, né a farsi un argine che difenda da tutte le stravaganze degli umani cervelli.