Memorie inutili/Parte prima/Capitolo III
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CAPITOLO III
Circostanze d’allora della mia famiglia, e mia risoluzione
d’allontanarmi da quella.
Il numero della fratellanza nostra in quel tempo era stato diminuito dalla morte, ma con parsimonia. Eravamo ridotti quattro maschi e cinque femmine. Un maschio ed una femmina si erano accordati di troncare il loro corso d’affanni in etá fresca, e morirono.
Le spese non proporzionate colle rendite e con una numerosa prole da non poter piú appagare con un confortino o un bamboccio, e qualche litigio passivo, che scemò d’alcune campagne il patrimonio, incominciarono a far nascere de’ pensieri alquanto oscuretti, indi ridussero in pochi anni la famiglia in angustia.
Mio fratello Gasparo s’era giá ammogliato per una geniale astrazione poetica. Anche la poesia ha de’ pericoli.
Quest’uomo veramente particolare per la sommersione che fece di tutto se medesimo sui libri e nelle indefesse applicazioni letterarie, non meno che nell’essere uno di que’ filosofi che si possono chiamare persone indolenti in tutto ciò che non sente di letteratura, apprese da Francesco Petrarca ad innamorarsi.
Una giovane, che aveva però due lustri piú di lui, ch’era di nome Luigia, di cognome Bergalli, e tra le pastorelle d’Arcadia Irminda Partenide, poetessa di fantasia, come si può vedere dall’opere sue a stampa, fu la Laura del mio fratello, il quale, per non essere canonico come il Petrarca, se l’ha sposata petrarchescamente, ma legalmente.
Questa femmina di fervida e volante immaginazione, e perciò abilissima a’ poetici rapimenti, volle per i stimoli d’un buon animo, misti con quelli dell’ambizione e della presunzione che aveva della sua attivitá, inoltrarsi a regolare le cose domestiche disordinate; ma i suoi progetti e gli ordini suoi non poterono uscire da’ ratti romanzeschi e pindarici.
Innamoratasi d’un dominio ideale e divenuta sovrana d’un regno tisico, col desiderio di far tutti felici, con verace disinteresse, altro non fece che tessere delle maggiori infelicitá a tutti gli altri, non meno che a se medesima.
Il di lei marito, perpetuamente curvo e perduto sui libri, averebbe certo perduta ogni quiete, se avesse voluto opporsele. Convien conoscere nel fondo loro i caratteri, i temperamenti e le circostanze, per essere giusti nel condannare e nell’assolvere.
Non è cosa da buoni filosofi l’asserire che degli influssi maligni di qualche stella cagionino i disturbi delle famiglie.
La nostra famiglia era composta d’un padre, d’una madre, di quattro fratelli e di cinque sorelle, tutti di buon cuore, tutti onorati e tutti amici; e con tutto ciò ella fu lo specchio della infelicitá in ogni tempo e in tutti gli individui che la formarono.
Chi cercasse le cause naturali di questa afflittiva veritá, le troverebbe; ma per lo piú torna il conto ad accomunarsi col volgo e a dire che una stella maligna ha sempre perseguitata la famiglia nostra, per non fare de’ cattivi uffizi e per non rendersi odiosi coll’investigare.
Alle confusioni e alle amarezze nelle quali gemevamo in quel tempo, s’aggiunsero de’ parti de’ nuovi coniugati, di maggior peso all’economia; ma la sciagura piú acerba e di cui sento ancora nel cuore la ferita, fu un fiero colpo d’apoplesia, che percosse l’amato mio padre.
Egli visse dappoi infermo sett’anni circa dal punto d’un cosí crudele avvenimento, muto e paralitico, ma colla mente lucidissima; facoltá che rendeva all’animo suo oltremodo sensibile e piú amaro il peso della sua miserabile circostanza.
Il pianto di cinque sorelle, la nascita de’ novelli nipoti, la casa popolata di femminette, di sensali, di ebrei ministri del regno tisico, il vortice delle irregolaritá domestiche, il favellare contro alle quali era delitto d’ammutinamento, fecero risolvere il mio fratello Francesco secondogenito d’allontanarsi.
Egli passò nel Levante col provveditore generale di mare, S. E. cavaliere Antonio Loredano, di memoria felice.
Aveva io in quella stagione circa a tredici anni.
Le notizie che scrisse di sé da Corfú mio fratello Francesco, e sulle clementi forme colle quali era trattato dal provveditore generale e sul grado d’alfiere che aveva ottenuto, mi fecero suscitare la brama di allontanare anche me da un ammasso di disordini, ch’io conosceva e nel loro peso e nelle loro conseguenze, con la sciagura di scorgermi un ragazzo soggetto ed inutile a suggerire degli argini.
Raccomandato dal zio materno Almorò Cesare Tiepolo a S. E. Girolamo Quirini eletto provveditore generale nella Dalmazia e nell’Albania, col mio picciolo equipaggio, al quale non mi scordai d’accoppiare la cassetta dei miei libri e il mio chitarrino, in etá di sedici in diciassett’anni, salutati i parenti, passai come venturiere in quelle provincie, a conoscere l’indole de’ militari e di que’ popoli.