Memorie inutili/Parte prima/Capitolo I

Capitolo I

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CAPITOLO I

Mia stirpe e mia nascita.

Si può satireggiare e ridere da’ sciocchi indiscreti anche sull’origine d’una famiglia, e però dono a’ derisori di questa spezie una breve ma vera notizia della mia stirpe e della mia nascita, perché possano regolare i loro dileggi.

Lo stipite del tronco nostro comincia nel secolo 1300 da un certo Pezòlo de’ Gozzi. Un albero legittimo, involto ne’ ragnateli, nella polvere, con qualche tarlo, non appeso alle pareti in una bella cornice, ma non mai opposto né contraddetto e corso a’ tribunali nelle ragioni delle cause civili, afferma queste veritá.

Non mi sono mai raccomandato a qualche genealogista per trovare un’origine piú lontana, perché non sono spagnolo.

De’ monumenti storici vogliono che la nostra famiglia derivi dalla famiglia de’ Gozze, che sussiste ancora in Raugia; la quale fu una di quelle famiglie fondatrici di quella antichissima repubblica.

Nelle storie di Bergamo si legge che l’accennato Pezòlo de’ Gozzi fu uomo possente nella terra di Alzano, e ch’è lodato dalla serenissima repubblica di Venezia per aver egli esposte le sostanze e la persona contro le armi milanesi, per conservare quella terra sotto a questo invitto e clemente dominio.

Gli uffizi d’inviati e di podesterie, sostenuti da’ discendenti da codesto Pezòlo de’ Gozzi per la cittá di Bergamo, provano [p. 26 modifica]che furono del Consiglio di quella cittá, e due privilegi del secolo 1500 accertano che due tralci separati di questa famiglia ottennero d’essere considerati originari veneti cittadini.

Si edificarono delle abitazioni per i lor vivi e per i lor morti, come si vede nella contrada e nella chiesa di San Cassiano in Venezia.

Uno di que’ rami ebbe l’onore nel secolo 1600 d’essere aggregato alle famiglie patrizie, indi si estinse.

Il ramo da cui discendo io, rimase nel cetto della veneta originaria cittadinanza, a cui certamente non fece mai disonore alcuno.

Nessuno dei miei ascendenti cercò d’avere di quegli impieghi decorosi e fertili, a’ quali può aspirare la veneta cittadinanza. Gli animi de’ Gozzi furono per lo piú pacifici e moderati. Forse si contentarono del loro stato, e forse furono alieni dalle tumultuose concorrenze. Se ne avessero chiesti, ottenuti ed esercitati, son certissimo che, spogli d’ogni superbia e lontani da un millantare inopportuno, sarebbero stati fedeli al principe loro.

Dugent’anni circa saranno, il padre dell’avolo mio comperò intorno a seicento campi di terreno con delle fabbriche, nel Friuli, cinque miglia lontani da Pordenone. Molti di questi campi sono praterie e sono feudali. Ogni discendenza de’ posseditori di queste praterie ha l’obbligo di rinnovellare l’investitura feudale, e questa rinnovazione costa parecchi ducati.

I ministri della Camera de’ feudi d’Udine sono vigilantissimi. Se una discendenza, mancato il padre, tarda a recare que’ parecchi ducati, a rinnovellare la investitura e a giurare fedeltá, sequestrano i fieni di quelle praterie fedelmente.

Ciò avvenne a me dopo la morte di mio padre, per la negligenza di alcuni mesi; trascuratezza che cagionò la pena di molte lire piú del consueto nella spesa di questa rispettabile investitura.

Da una tale pergamena averá forse origine il titolo di conte, che corre negli atti pubblici e nelle soprascritte delle lettere. Chi non volesse concedermi questo titolo, non m’offende, e m’offenderebbe moltissimo se non mi concedesse il fieno di quelle feudali praterie. [p. 27 modifica]

Ho detto qualche cosa della mia stirpe, perché nessuno possa dire, malignamente sprezzante, di non sapere di qual paese io mi sia. Parlerò ora della mia nascita.

Mio padre fu Jacopo Antonio Gozzi, uomo di mente penetrantissima, d’un sentimento d’onore assai delicato, d’un temperamento suscettibile, risoluto e da temere in alcuni momenti.

Egli rimase figlio maschio unico del di lui padre Gasparo in etá puerile, sotto la tutela della di lui madre contessa Emilia Grompo, nobile di Padova.

Il di lui patrimonio era sufficiente a fargli fare un’ottima comparsa nella societá, ma volle farla troppo sublime.

Figlio maschio unico, allevato da una tenera madre, che lo appagava in tutti i desidèri suoi, apprese principalmente a seguire le sue inclinazioni, che pendevano alle cavalleresche grandezze, a possedere un gran numero di cavalli e di cani, alle caccie ed a splendidi conviti, senza riflettere alle conseguenze d’un matrimonio da lui incontrato nella sua fresca etá inconsideratamente, e per seguire una delle sue inclinazioni.

Mia madre fu Angiola Tiepolo, d’una famiglia patrizia veneta che si estinse nel di lei fratello Almorò Cesare, il quale morí benemerito senatore, circa l’anno 1749.

Averò forse annoiato con una troppo lunga digressione sulla mia stirpe e sulla mia nascita. I satirici non troveranno in queste niente che possa risvegliare dell’ambizione e niente che possa movere la lor penna alla derisione.

I gradi degli uomini furono da me sempre contemplati come figliuoli dell’accidente, ma necessari per il bell’ordine della subordinazione che regge i popoli; e quanto alla nascita mia, non guardo da dove vengo, ma guardo laddove vado. Un viaggio intrapreso di mala condotta nelle azioni, contrario a ciò che richiede una nascita civile, potrebbe rattristare i miei onorati parenti defunti, e potrebbe coprire di una maschera di rossore me medesimo e tutti i miei posteri.

Il mio nome è Carlo, e fui il sesto parto della mia madre, non so se mi deva dire uscito alla luce o alle tenebre di questo mondo. [p. 28 modifica]

Scrivo l’ultimo giorno d’aprile, nell’anno 1780. L’etá mia oltrepassa i cinquant’anni e non arriva a’ sessanta.

Non disturbo il sacrestano perché mi faccia vedere la fede del mio battesimo, essendo certissimo d’essere battezzato, di non avere la stolida albagia di passare per damerino, come si potè per il passato e si può nel presente rilevare dal mio vestito e dall’acconciatura de’ miei capelli, ma soprattutto perché non fo conto alcuno sull’etá degli uomini. In tutte le etá si muore, ed ho veduto essere uomini de’ ragazzi, ed essere degli uomini maturi e de’ vecchi, petulanti e ridicoli fanciulletti.