Meditazioni sulla economia politica/XXII
Questo testo è completo. |
◄ | XXI | XXIII | ► |
Ma questa popolazione è egli meglio che sia diradata sopra un vasto paese, ovvero fitta e ristretta a uno spazio più angusto? Rispondo che se una popolazione sarà troppo diffusa e diradata sopra una gran superficie, il commercio interno sarà il minimo possibile, perchè quanto maggiore sarà la distanza da villaggio a villaggio, e da città a città, tanto più sarà difficile la comunicazione dei contratti; conseguentemente non vi sarà circolazione, e non si farà commercio se non ne’ casi passaggieri, ne’ quali vi sia differenza di prezzo da luogo a luogo assai sensibile; e ridotti così gli uomini distanti e isolati, l’industria non potrà animarsi, e l’annua riproduzione si limiterà poco più che a soddisfare ai bisogni di prima necessità. Se per lo contrario la popolazione farà ristretta sopra uno spazio di terra troppo angusto, la circolazione sarà rapidissima, e la riproduzione annua sarà somma; ma non bastando la terra a somministrare una riproduzione annua di derrate corrispondente all’annuo consumo, dovrà questo popolo rivolgere la sua industria principalmente sulle manifatture, il valor delle quali dipendendo dalla opinione degli uomini, arbitraria, e variabile colle circostanze, sarà sempre più incerto, e precario del valore delle derrate del suolo, che servono d’alimento alla vita. Questa popolazione adunque condensata, avrà una somma riproduzione annua, ma di ricchezze meno sicure a fronte di bisogni fisici e naturali. Spinta da sommi bisogni a somma attività una popolazione, posta in tali circostanze, può abbracciare e condurre a fine le intraprese le più ardite; ma se un momento si rallenta la sua industria e la rapida circolazione; se le leggi, e i costumi cessano di governarla, muterà aspetto velocemente ogni cosa, e resteranno quei soli abitanti, la consumazione de’ quali corrisponda alla produzione annua del suolo.
Tra questi due estremi deve trovarsi uno Stato per essere in prosperità, cioè non occupare tanta terra che allontani gli uomini dai comunicarsi facilmente e non restringersi in guisa di dover cercar l’alimento al di fuori.
Le Città sono in una provincia quel che le piazze di mercato sono in una Città. Sono il punto di riunione, ove i venditori, e i compratori s’incontrano. La capitale poi è alle Città quello che esse sono alla Provincia.
Si può domandare se l’utile della nazione esiga che nella Città, e singolarmente nella capitale si ammucchi in gran massa la popolazione, ovvero se convenga anzi procurare che ciò non succeda, e cresca a preferenza la popolazione della campagna.
La mortalità è maggiore nelle Città che nelle campagne, perchè nelle Città più popolate v’è più intemperanza e l’aria è meno salubre. A ciò si aggiugne la riflessione assai naturale ed è che il contadino evidentemente contribuisce all’annua riproduzione assai più di quel che non faccia una parte degli abitanti della Città. Pare adunque che sia più utile l’accrescimento de’ Coltivatori a preferenza dei Cittadini.
Ma riflettasi al principio detto poc’anzi, cioè, che quanto più gli uomini son condensati, tanto maggior fermento riceve l’industria da una rapidissima circolazione. Le Città, e singolarmente le grandi, e molto popolate, sono il centro di riunione da cui escono le spinte all’industria della campagna, la quale nelle terre non può riscuotersi da se medesima, perchè pochi sono i bisogni, e poca la circolazione fra gli uomini. Una gran massa di uomini ammucchiata deve diffondere nella sfera delle terre che l’attorniano l’attività per ritraerne le proprie consumazioni. I comodi della vita nelle popolose città impiegano un gran numero d’artefici; si raffinano le arti, si riducono a perfezione le più difficili manifatture. Che se la popolazione medesima si distribuisse per la campagna, e nessuna città molto popolata vi fosse, non v’ha dubbio che la circolazione, e l’industria sarebbero minori, e conseguentemente minore l’annua riproduzione. Ognuno sa che maggiori spese si fanno nella città, di quelle che si facciano vivendo nella campagna, e sa ognuno, e lo prova, che vivendo nelle città più grandi maggior numero di compre dovrà fare che non nelle città piccole. Dunque la popolazione medesima diradata avrà minore circolazione assai, condensata, ne avrà assai maggiore, e la riproduzione annua crescendo col numero delle compre, cioè coll’accrescersi della circolazione, la riproduzione annua, dico, sarà maggiore quanto più vi saranno in uno Stato città popolatissime.
Certamente esser vi debbe una proporzione in ogni Stato fra i Cittadini e il popolo della campagna. In uno Stato militare, e che abbia da temere o invasione dei nemici, o che mediti conquiste si dovrà render più difficile la vita nella Città, che nella campagna, per moltiplicare a preferenza i coltivatori, essendo essi gli uomini meglio educati per le armate, ed essendo più difficile all’invasore l’impadronirsi e conservare la dominazione sopra di un popolo quanto egli è più diradato. Un milione d’uomini ammassato in una Città è assoggettato tosto che l’inimico posseda alcune batterie che la dominino, lo stesso numero diradato nè si conquista, nè si custodisce sì agevolmente. I Parti, gli Sciti, gli Arabi, i Tartari, la Storia tutta ne fanno fede. Ma in una nazione che abbia poco a temere d’essere invasa, e che non aspiri a conquiste non sarà di nocumento l’aver molto popolo nelle città, essendo che queste portano in conseguenza una coltivazione delle terre sempre proporzionata alla consumazione, tosto che lo Stato le abbia naturalmente fecondabili.
Un filo d’erba la più comune, mietuto sul prato è un pezzo di materia inerte finchè resta isolato, ovvero raccolto in piccole masse; ma se si ammucchii un voluminoso acervo di quest’erbe recise vedrassi nascere la fermentazione, schiudersi un calore, propagarsi un moto in tutta la massa, la quale giungerà ad accendersi, ad avvampare illuminando l’orizzonte. Ogni grappolo di vite qualora sia da se, o con pochi altri simili, si scioglie in una materia fecciosa, ma compressi in gran copia in un recipiente, l’urto vicendevole delle infinite volatili particelle, agita la massa tutta, e in lei ovunque propaga l’effervescenza, e ne stilla un liquore che spande nell’atmosfera fragranti aromi riscuotenti, e nelle vene di chi ne gusta, vita, e gioventù. Tale è la pittura dell’uman genere, l’uomo isolato, è timido, selvaggio, e inetto; diradato ch’ei sia o unito a pochi, poco o nulla sa fare; ma una unione di moltissimi uomini ammucchiati, condensati, e ristretti in piccolo spazio si anima, e fermenta, e perfeziona, e spande tutto all’intorno l’attività, la riproduzione, e la vita.