Meditazioni sulla economia politica/I
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che non conoscono il denaro
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MEDITAZIONI
SULLA
ECONOMIA POLITICA
§. I.
Quanto più le nazioni diventano colte, ossia quanto più s’accresce il numero delle idee e dei bisogni presso gli uomini, tanto maggiormente si vede introdurre il commercio fra nazione e nazione. Il bisogno, cioè la sensazione del dolore, è il pungolo col quale la natura scuote l’uomo, e lo desta da quell’indolente stato di vegetazione, in cui senza questo giacerebbe. Paradosso poco consolante si è questo che sempre il dolore preceda il piacere, e che per necessità ogni nazione debba essere prima infelice per diventare colta dappoi: Ma noi Europei è già stato bastantemente pagato questo fatal tributo dai nostri antenati, e possiam consolarci coi progressi che andiam facendo nella coltura, e goderne i beni, e moltiplicarli, quanto lo possono essere; il che sarà sempre l’opera d’un illuminato Legislatore. L’eccesso dei bisogni sopra il potere è la misura della infelicità dell’uomo (come esposi nel secondo discorso) e lo è non meno della infelicità d’uno stato. I selvaggi sono poco infelici perchè hanno pochissimi bisogni; ma le nazioni che ne hanno acquistati in gran numero coll’incivilirsi, debbono di necessità cercare l’accrescimento della potenza per accostarsi alla felicità. Non è ora mio scopo l’indicare i mezzi de’ quali può un legislatore utilmente far uso per rendere i desiderj degli uomini più conspiranti ad un solo fine, nel che consiste la massima azione d’un popolo verso la felicità; dirò soltanto per quali mezzi l’Economia Politica ben diretta accrescerà la potenza d’uno stato.
Il Commercio nasce adunque dal bisogno e dalla abbondanza: bisogno per le merci che si cercano, il che suppone un superfluo da cedere in contraccambio. Siccome nelle nazioni selvagge i bisogni sono minimi; così anche l’abbondanza, ossia il superfluo sarà il minimo: essendo che la nazione selvaggia si procurerà dal proprio fondo le derrate necessarie alla vita, e sia essa pastorale; o cacciatrice, o agricola, non estenderà la sua industria al di là dell’annua consumazione.
Ma appena una nazione dallo stato della vita selvaggia comincerà a scostarsi, conoscendo nuovi bisogni e comodi della vita, allora sarà forzata ad accrescere proporzionatamente la sua industria, e moltiplicare l’annua riproduzione de’ suoi prodotti; cosicchè oltre il consumo ella ne abbia tanto di superfluo, quanto corrisponde alla straniera derrata che dovrà ricercare dai vicini. Ed ecco come a misura che si moltiplicano i bisogni d’una nazione, naturalmente tendano a crescere l’annuo prodotto del suolo e l’industria nazionale.
Ma come fra queste società che cominciano a conoscere i bisogni artefatti potrà farsi il conguaglio fra il valore della merce che ricevono con quella che cedono in cambio? Il valore è una parola che indica la stima che fanno gli uomini d’una cosa; ma ogni uomo avendo le sue opinioni e i suoi bisogni isolati in una società ancor rozza, sarà variabilissima la idea del valore, la quale non si rende universale se non introdotta che sia la corrispondenza fra società e società, ed incessantemente mantenuta. Questa fluttuante misura deve essere stata il primo ostacolo che naturalmente si frappose alla dilatazione del Commercio.
Come sperare che una nazione finitima voglia cedere parte de’ suoi prodotti, se ventura non porta che ivi reciprocamente vi sia bisogno del nostro superfluo? Si priverà ella di porzione del suo, per ricevere l’eccedente nostro, col pericolo di vederlo perire, e corrompersi prima che sia venuta l’occasione di usarne? Questo è il secondo ostacolo che naturalmente pur deve aver impedito che si dilatasse la reciproca corrispondenza fra nazione e nazione al primo uscire dallo stato selvaggio.