Medaglia in onore di Giuseppe da Porto
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MEDAGLIA
in onore di
GIUSEPPE DA PORTO
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Giuseppe Porto, o meglio Da Porto, usciva da quel patrizio casato vicentino, la cui nobiltà molto antica si onora d’una serie d’uomini illustri nelle scienze, nelle lettere e nelle armi. Tra i più insigni, vissuti nel secolo XVI, voglionsi segnalare: Leonardo, il cui nome va raccomandato ancora a un rarissimo scritto sui pesi, sulle misure e sulle monete degli antichi romani; Luigi, l’autore delle Lettere storiche e della Giulietta e Romeo; e Ippolito, il fortunato guerriero agli stipendi di Carlo V, ch’ebbe la destrezza di far prigioniero, nel 1547, Gianfederico, duca di Sassonia. Di parecchî individui della famiglia parla con copia di particolari il Marzari, storico vicentino del secolo XVI: ma del conte Giuseppe, a cui fu pure contemporaneo, non fa nemmeno parola1. Eppure il conte Giuseppe fu de’ cittadini più attivi, che promovessero nel secolo XVI lo splendor di Vicenza.
Dell’anno della nascita di lui nessuno ha lasciato notizia alcuna. L’iscrizione, incisa sulla pietra sepolcrale della Chiesa, oggidì sconsecrata, di San Biagio, recava soltanto l’anno della morte, avvenuta l’8 novembre del 15802. Ma questo millesimo basta a sfatare il giudizio del conte Giovanni Da Schio, che fissava le prove della rara operosità dell’egregio patrizio all’ultimo ventennio del secolo XVI3. È chiaro che il valente erudito confondeva insieme più individui d’identico nome, appartenenti allo stesso casato, moltiplicatosi già al tempo di cui si parla, in parecchie famiglie. Il nume del conte Giuseppe, figlio di Girolamo4, associasi, del resto, la prima volta ai ricordi di uno spettacolo, dato nel 1539 entro l’ampio cortile del suo palazzo, residenza oggidì del conte Colleoni, per opera della Compagnia della Calza sur un teatro di legno, architettato dal Serlio5; incontrasi quindi sul frontone del palazzo, eretto da lui in Vicenza su disegno del Palladio nel 15526; appare tra i fondatori dell’Accademia Olimpica, istituita nel 1555 dal fiore dei letterati vicentini7: s’annovera tra i cittadini preposti nel 1565 alla direzione degli apparecchi immaginati dal Palladio, in occasione di publdiche feste8: leggevasi fino al 1834 sur un caminetto murato in una stanza del suo palazzo palladiano nel 1572, ott’anni avanti la morte9. Mecenate d’artisti, il Da Porto fu largo di protezione al Palladio, al Riccio, a Paolo Veronese, al Zelotti e al Vittoria, ch’esercitarono per lui la sesta, lo scalpello e il pennello10.
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Dire in quale anno si coniasse veramente la medaglia, non è cosa, di cui s’abbian le prove. Che il Da Porto morisse nel 1580, non v’ha, come s’è veduto, alcun dubbio. Nè il fatto dello spettacolo, datosi sul teatro, architettato dal Serlio, lascia ugualmente dubitare che nel 1539 fosse già uscito dagli anni dell’adolescenza, per non dire anche della giovinezza. Il che fa ragionevolmente congetturare che la nascita dovesse risalire all’entrare del secolo XVI, o, se vuolsi, all’ultimo scorcio del secolo XV. Questo fatto e le sembianze del busto, che rivelano come ho detto, un uomo nel pieno della virilità, non bastano però a far indovinare in che tempo si coniasse la medaglia.
Ho già detto che il rovescio reca l’aquila imperiale con l’ali aperte, sormontata dalla corona. Di primo tratto parrebbe quasi che quell’emblema dovesse essere lo stemma della famiglia. Nulla di men vero. L’Aquila e il titolo di conte, scolpito nella leggenda del diritto, ricordano invece un fatto non indegno di nota, compiutosi nel 1532. Sanno tutti che l’imperatore Carlo V, tenendo il patto, stretto con Clemente VII il 1530 nella solenne incoronazione a Bologna, moveva il novembre del 1532 da Vienna in Italia. Nel passaggio a traverso il Vicentino intrattenevasi, com’ebbi altra volta ad avvertire, in Sandrigo presso i Sesso e poi in Montecchio Maggiore, ospite dei Gualdo. In quell’occasione conferiva il titolo di conte a parecchie delle patrizie famiglie di Vicenza11. Fu tra queste la famiglia dei Da Porto, il cui diploma è dato da Bologna il 14 dicembre 1532. Tra i privilegi, concessi a ciascun individuo, era quello d’innestare all’arma di famiglia l’aquila bicipite con l’ali aperte12. Tutto fa credere pertanto che la medaglia in onore di Giuseppe da Porto si riferisca così nella leggenda del diritto, come nell’emblema del rovescio, al diploma imperiale.
Io so bene che il privilegio del 1532 fece montare in tanta boria i nuovi Conti da provocare, in capo a quattro anni, due solenni deliberazioni, prese nel Consiglio della Città, l’una il 27 maggio del 1536, l’altra il 17 giugno successivo, per la prima delle quali vietavasi a ciascuno ed a tutti d’assumere il nuovo titolo, e modificavasi per la seconda quel rigore, concedendosene l’uso a quelli, che ne avevano avuto, in precedenza, il privilegio da’ Principi esteri: ma non mi è noto che il conte Giuseppe Da Porto seguisse in questo l’esempio degli agnati Francesco, collaterale della Repubblica di Venezia, e Leonardo, il celebre autore del trattato sulle monete, sui pesi e sulle misure dell’antica Roma, i quali rinunziavano entrambi, nel 1536, per sè e discendenti al privilegio imperiale, e ne avevano lodi dall’austera Signoria di Venezia13. E quand’anche si potesse sospettare che il Conte Giuseppe rinunziasse, come Francesco e Leonardo, al privilegio imperiale, mancherebbe di certo ogni argomento a provare che la medaglia s’improntasse entro lo spazio di quattro anni corsi tra il 1532 e il 1536. Buone ragioni traggono, invece, a congetturare che il conio si lavorasse alcuni anni più tardi.
Della medaglia non fanno cenno alcuno nè gli scrittori di cose vicentine, nè i genealogisti dei Da Porto. La conoscenza è dovuta interamente al caso. Fu scoperta, cioè, durante il ristauro del palazzo del conte Colleoni in uno di quegli anni, che corsero tra il 1850 e il 1860. Del fatto s’han due ricordi, l’uno in una carta di famiglia, che avvolgeva la medaglia, l’altro nei Memorabili del conte Giovanni Da Schio. Ma de’ due non è pieno l’accordo.
La residenza del conte Colleoni, ch’è la stessa del conte Giuseppe Da Porto, si compone di due palazzi, l’uno di stile archiacuto, sorto di certo negli ultimi decenni del secolo XV, l’altro di stile classico, eretto dopo il 1550 su disegno del Palladio. E i due palazzi porgono appunto argomento al disaccordo. Nella carta di famiglia è detto che la scoperta si è fatta nell’atrio del palazzo d’architettura archiacuta14; nello scritto del conte Giovanni Da Schio, che dichiara d’aver veduta e anche moltiplicata la medaglia co’ piombi, si dice che fu dissotterrata nei fondamenti del palazzo palladiano15. E dal sito della scoperta il dott’uomo argomentava l’origine e il possessore dell’edificio, testimoniati d’altra parte non tanto da due scrittori contemporanei, il Palladio16 e il Vasari17, quanto dalla iscrizione, che si può leggere tuttora sul frontone del palazzo18 e dall’altra incisa già sul caminetto e distrutta, come s’è pure avvertito, nel 183419. E l’esempio di tramandare il tempo o, se vuolsi, anche l’anno della costruzione degli edifizii, non dirò medioevali, ma palladiani, per mezzo delle medaglie non doveva esser nuovo. Ciò che s’ebbe a scoprire nel palazzo del Conte Giuseppe da Porto, erasi incontrato, in antecedenza, ne’ palazzi de’ Valmarana, de’ Civenna, ora Trissino, in Vicenza, e de’ Muzani a Rettorgole per il disseppellimento di tre medaglie, l’una con l’effigie d’Isabella Nogarola, vedova di Luigi Valmarana20, la seconda con la leggenda in memoria della famiglia Civenna21, la terza col busto di Claudio Muzani e i relativi millesimi, in cui furono gettati i singoli edificii22. Sicchè non dovrebbe, mi pare, cogliere in fallo chi fissasse la fattura del conio a mezzo circa il secolo XVI, quando si diede mano, come s’è detto, all’edifizio. Sembrano avvalorare siffatta congettura le sembanze del busto, che rappresentano un uomo nel fiore della virilità, quale doveva essere allora il Da Porto, morto, giova ripeterlo, nel 1580.
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Che il conio, anche logoro alquanto com’è, accusi il punzone d’una mano valente, non è, mi pare, nemmeno da mettere in dubbio: tanto è ben condotto il rilievo dell’insieme e il profilo. Ma ciò non basta a determinare chi ne fosse l’artefice. Io non ho certo alcun argomento per crederne autore il Cavino di Padova, il cui fare parrebbe rivelarvisi dal raffronto con un esemplare, che tengo sotto’occhio, d’una medagiia in onore di Giovanni Battaglini, illustrata dall’Armand23, custodito nel Museo Civico di Vicenza; nè so se il Da Porto possa essersi giovato de’ bravi artefici, fiorenti allora in Verona e in Venezia, che pur rappresentavano in medaglie altri Vicentini24. Che se pur si volesse rintracciarne l’autore in Vicenza, dovrebbesi escludere, mi pare, Valerio Belli, già morto a 78 anni nel 1546. Potrebbe, invece, cogliere nel sogno chi fermasse il pensiero su qualcuno degli allievi, usciti dalla scuola di lui, Lodovico Chiericati cioè, Arcivescovo d’Antivari e Primate della Serbia, o su quel Giorgio Capobianco, orefice insigne, che fece stupire con le sue invenzioni maravigliose lo stesso Cardano; e chi si risovvenisse che in Vicenza cercavano allora ricovero e lavoro artefici d’altre città, quali il Forni e il padre di Camillo Mariani25.
- Vicenza, Giugno 1892.
Bernardo Morsolin. |
Note
- ↑ Marzari, Historia di Vicenza, Lib. II. Vicenza, 1590.
- ↑ Barbarano, Historia Ecclesiastica di Vicenza, Lib. V, pag. 139. Vicenza 1761. — Faccioli, Musaeum Lapidarium, Pars I, pag. 205, n. 30. Vicentiae, 1776.
- ↑ Da Schio, Memorabili, Msc. nella Biblioteca Comunale in Vicenza.
- ↑ Magrini, Memorie su Andrea Palladio, pag. 294. Padova, 1845.
- ↑ Beccanuvoli, Tutte le donne vicentine: vedove, maritate e donzelle. 1539. — Magrini, op. cit., pag. 15 e pag. x, nota 22.
- ↑ Magrini, op. cit., pag. 295.
- ↑ Magrini, Il Teatro Olimpico. Padova, 1847.
- ↑ Da Schio, op. cit. — Magrini, Memorie intorno Andrea Palladio, pag. 70.
- ↑ Da Schio, op. cit. — Tornieri, Descrizione delle architetture, pitture e sculture di Vicenza, P. II. Vicenza, 1779.
- ↑ Tornieri, op. cit., pag. 86. — Da Schio, op. cit. — Magrini, op. cit., pag. 330.
- ↑ B. Morsolin, Un episodio della vita di Carlo V, Venezia, 1884, (Archivio Veneto, Serie II, Tom. XXVII, p. II).
- ↑ “Concedimus et impartimur, ut dimidiam aquilam bicipitem coloris nigri alis expansis in aureo, seu croceo campo supra haereditaria et gentilitia arma et insignia vestra deferre et gestare possitis et valeatis. Dat. Bononiae die xiv mensis decembris, anno Dũi 1532 v. Tomasini, Genealogie Vicentine, Msc. in B. C.
- ↑ Ius Municipale Vicentinum, pag. 354 e segg. Vicentiae. 1705.
- ↑ Ecco le parole testuali: “Questa medaglia venne trovata nel ristauro dell’atrio gotico”.
- ↑ “Ristaurandosi le fondamenta (del palazzo palladiano) fa trovata una medaglia, che ricordava l’origine e il proprietario del loco. Io la vidi e moltiplicai co’ piombi”. Da Schio, op. cit. Msc. in B. C. Dei piombi fatti fare dal conte Da Schio ne conserva un esemplare anche il Museo Civico di Vicenza.
- ↑ Palladio, I quattro libri dell'Architettura. Venezia, 1769.
- ↑ Vasari, Opere, Tom. VII, pag. 527. Firenze 1881.
- ↑ Magrini, Op. cit. pag. 75 e xxiv, nota 47.
- ↑ Da Schio, op. cit. e loc. cit.
- ↑ Magrini, op. cit. pag. xxiv, nota 47.
- ↑ Id., op. cit., pag. 11.
- ↑ Id., op. cit., pag. 284.
- ↑ Armand, op. cit., part. I, pag. 278.
- ↑ Id., op. cit., p. I, pag. 126 e seg. e pag. 129 e segg.
- ↑ Marzari, op. cit., Lib. II.