Matematica allegra/7a
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Il ragazzo prodigioso
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E i risultati non tardarono a mostrarsi: fra i 15 e i 16 anni scrisse un’opera sulle «Coniche» che suscitò discussioni negli alti ambienti scientifici, e che interessò in modo particolare il famoso matematico, fisico e filosofo Renato Descartes, detto Cartesio, che lo introdusse - con quell’altissimo titolo - nella Accademia delle Scienze Francesi. Vi ho già detto che aveva sedici anni, poco più, poco meno! (Così, detto fra parentesi, ché nessuno ci senta: - Se lo pigliassimo un po’ per esempio, questo caro Biagio!). Si dice che una famosissima e popolare frase, nota in Italia come in Francia, nascesse proprio in quei giorni a Parigi. Alcuni scienziati (di quelli invidiosi che quel ragazzo sedicenne giungesse là dove essi non erano riusciti ad arrivare, pare lo attendessero all’entrata dell’Accademia, e gli cantassero in coro, come per dargli un affettuoso consiglio: «Adagio, Biagio! Adagio Biagio!» e pare anche che nella loro rabbia gelosa, dicessero: «Chi troppo in alto sal...» con quel che segue. Ma i proverbi e i consigli (specie quelli troppo interessati) vanno bene per tutti, fuorché per i genii. Non è destino dei genii, quello di cadere... «precipitevolissimevolmente».
Biagio Pascal continuò, a salire, com’era scritto nel suo destino.
Il padre comprese finalmente la grandezza dell’ingegno del figlio, e ne dimostrava ammirazione e orgoglio.
Tutta Parigi intellettuale parlava del giovanissimo studioso che a vent’anni era già considerato una illustrazione della Francia. Purtroppo lo Stato burocrate non rispetta i funzionari neanche se sono padri di figli eccezionali, e un brutto giorno il signor Pascal fu inviato nuovamente in provincia. È vero che aveva avuto la promozione a Intendente, ma egli avrebbe preferito rinunciare ad essa, e ritornare nella capitale: non si poteva dire di no agli ordini del Re, e perciò egli si avviò mestamente a Rouen. Quivi la noia provinciale non fece presa su di lui, perché egli non aveva addirittura il tempo per annoiarsi: passava giorno e notte in ufficio, a discutere sulle cifre, sulle tasse, sul valore delle cose e delle case, a comprare e ad ordinare quanto era necessario per le truppe della guarnigione, e a fare quelle altre cento e cento cose che facevano parte dei suoi obblighi. Il figlio, che si divideva fra Parigi e Rouen, fra la Accademia e i suoi studi, provava una vera sofferenza a vedere il padre alle prese con le centinaia e centinaia di numeri da moltiplicare e da sommare. Gli venne in mente l’idea di costruire una macchina che alleviasse il padre, e quanti come lui sempre alle prese coi numeri, della fatica di calcolare. Nacque così la prima macchina calcolatrice che da lui prese il nome di Pascalette, e che fu il frutto di un intenso e intelligentissimo lavorìo meccanico unito con una geniale concezione: aveva poco più di vent’anni!
Nel 1647, dopo aver avuto una ampia relazione sugli studi del Torricelli dei quali già vi ho fatto cenno, prese amore ai problemi della Fisica che riguardavano la pressione atmosferica, e arrivò a interessanti precisazioni al riguardo, specialmente per la variazione di pressione che si constatava nel salire a quota maggiore.