Mastro Titta, il boia di Roma/Capitolo XLIX
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Sull’imbrunire del giorno stabilito Agostino dopo aver preparato tutto l’occorrente per una gustosa cenetta fredda nel salotto ed aver preso gli ordini di don Asdrubale per l’indomani, lasciava il prete solo in casa ad aspettare la bella orzarola, la quale aveva posto a condizione, che nessuno l’avesse a vedere né nell’entrata; né all’uscita, né durante la sua fermata.
La giornata era stata calda ed afosa, ma al dopo pranzo s’era levata una fresca brezza che ingalluzziva il bravo ecclesiastico, e gli metteva la foia nelle vene. Egli passeggiava impazientemente per l’appartamento: or fermandosi a guardare il buffet preparato dal solerte cameriere, con eleganza e profusione di ghiottonerie, poi entrando nella camera da letto, che doveva essere il teatro delle mutue confidenze. E ogni tratto tirava fuori la ripetizione d’oro per consultarla; gli pareva che le sfere fossero troppo pigre a compiere i loro giri. La sua ansia si faceva di minuto in minuto maggiore.
Dopo aver guardato un’altra volta l’oriuolo, vedendo che mancava ancora un’ora a quella fissata pel convegno, pensò di schiacciare un sonnellino se gli veniva fatto, e abbassato il lucignolo della lampada a sospensione del salotto, sormontato da un globo di cristallo opaco e da un moderalume di carta di seta della China color di rosa, traforato, si sdraiò in un ampia poltrona e volgendo la mente alle imminenti delizie che gli erano promesse si addormentò. Il tintinnio argentino del campanello dolcemente suonato lo svegliò di soprassalto. Balzò in piedi, accorse alla porta e l’aprì. Una superba figura di donna, avvolta in un ampio scialle, e col grande cappello coperto da un fitto velo, che le nascondeva pure il volto e si annodava intorno al collo, guizzò per entro l’anticamera, porgendogli la mano guantata. Don Asdrubale vi posò un bacio, col piglio disinvolto di un abatino della reggenza e le disse:
- Attendi un momento: chiudo la porta perché nessuno venga a disturbarci: anche le imposte delle finestre sono ermeticamente serrate al di fuori e nessuno potrà supporre che qui ci sia gente.
L’orzarola si inchinò lievemente in segno d’assenso, come avrebbe potuto farlo una gran dama.
- Capperi! - pensò il prete, mentre eseguiva ciò che aveva detto - sembra una signora di qualità. Fortunatamente Agostino ha fatto le cose per bene... e il sacchetto dei due mila scudi è pronto.
Quindi afferratale colla destra una mano e passatole il braccio manco intorno alla vita la condusse nel salotto, attraversando prima una camera buia.
- Ma tu vorrai sbarazzarti di questi impicci - le disse poi - tentando di toglierle lo scialle e di sollevarle il velo - andiamo nella mia stanza da letto.
La donna accennò del capo assentendo. E così, dal salotto, scarsamente illuminato, passarono nella camera, anche più buia, perché il lucignolo della veilleuse pareva vicino a spegnersi. Dopo aver dato alla sua formosa visitatrice un forte abbraccio, don Asdrubale si volse per ravvivare la fiamma della veilleuse deposta sul tavolino da notte. Ma mentre si chinava sovr’esso un terribile colpo di pugnale menatogli dall’incognita, gli trapassava il collo. Il povero prete cadde bocconi, immerso nel sangue, senza poter proferire una parola.
L’incognita si piegò sopra di lui, lo rivoltò e con un secondo colpo, gli spaccò il cuore. Accertatosi che non dava più segno di vita l’omicida si diede a frugargli nei taschini del panciotto e gli tolse una chiavetta, colla quale aprì un mobile che si trovava a piedi del letto, chiamato dai francesi secrétaire. I suoi occhi fiammeggiarono nel buio, sotto il velo, trovando il sacchetto dal quale aperse la borsa, sciogliendo la funicella, e vedendoci i due mila scudi in tanti napoleoni d’oro, nuovi di zecca. Prese il sacchetto, frugò negli altri cassetti del mobile e ne trasse altri rotoli di monete d’oro e d’argento e ne fece un involto in una pezzuola, annodandone solidamente i capi. Con questo bel furto, serrò di nuovo il secrétaire e ripose nel taschino del prete ucciso, la chiave, avendo cura di non macchiarsi di sangue.
Ritornato nel salotto, alzò il lucignolo della lampada poi si tolse il cappello e lo scialle e lo posò sulla poltrona, dove don Asdrubale aveva schiacciato l’ultimo sonnellino: allora sotto le muliebri mentite spoglie, apparve Agostino Del Vescovo, il fido cameriere del povero prete, che aveva finto di ottenergli il favore dell’orzarola, per meglio depredarlo. Agostino si assise tranquillamente a tavola e mangiò d’ottimo appetito le ghiottonerie preparate, avendo cura di sporcare i piatti e le posate dei due posti, per far credere che alla cena avessero partecipato in due, il prete e la supposta amante.
Dopo aver ben mangiato e bevuto l’assassino tornò nella camera da letto e la scompigliò in modo da far credere che avesse servito per una lotta genetica, vi sparse delle forcinelle, una giarrettiera, ed altri piccoli ninnoli donneschi; quindi, se ne andò pian piano chiudendo la porta dietro di sé e asportando l’involto del denaro rubato, senza che anima viva lo vedesse. Di lento passo scese da San Pietro in Vincoli alla Suburra, e aperta la porticina d’una di quelle case equivoche v’entrò e scomparve.