Mastro Titta, il boia di Roma/Capitolo XL
Questo testo è completo. |
◄ | Capitolo XXXIX | Capitolo XLI | ► |
Intanto in una grotta sotterranea accadeva una scena terribile. Vincenzo Bellini, vi si trovava dentro solo colla sua ganza, una formosissima velletrana, dagli occhi incandescenti, dalle forme piene e tondeggianti, la quale porgeva il seno ad un poppante. I compagni erano usciti fin dal giorno innanzi e non dovevano essere di ritorno che a notte inoltrata.
La bocca della grotta era chiusa e dissimulata da un’enorme pietra coperta di vellutello, sulla quale i malandrini ammucchiavano sterpi e foglie morte. Ma per un fenomeno acustico del quale non sarebbe agevole dare la spiegazione, all’interno del cavo si udiva perfettamente ciò che si diceva e faceva al di fuori e perfino il rumore dei passi. Il capobrigante s’era subito accorto del passaggio dei soldati e non se ne era dato il menomo pensiero dapprima; ma udendoli fermarsi, incominciò a preoccuparsene, e la preoccupazione diventò spavento quando udì le parole della guida, che aveva scoperto le ossa.
- Maledetta! bestemmiò con voce soffocata, perché hai buttato là quelle ossa? Si direbbe che hai voluto perderci.
Intanto si sentiva rovistare intorno all’apertura della grotta e un colpo di calcio di fucile, fu pure battuto sulla pietra, ma il rumore fu attutito dal vellutello (musco). Ma le ansie del Bellini diventarono anco più atroci, quando il bimbo della sua druda, incominciò a piangere ed a vagire.
- Azzitta quel pupo! disse con urlo feroce.
Ma per quanto facesse la povera madre non c’era modo di farlo tacere. Piangeva, piangeva, e strillava sempre più acutamente.
- Azzitta quel pupo, ripetè il Bellini, se no lo ammazzo.
La povera donna si provò a coprirlo col proprio petto, immettendogli il capezzolo nella boccuccia.. E fu peggio. Mezzo soffocato il bambino rovesciò indietro la testa e proruppe in un vagito straziante. Fu allora che la guida della pattuglia lo avvertì. Udendo le sue parole il malandrino si lanciò come una belva sull’infelice creatura, ed afferratolo pei piedi, gli fracassò il cranio battendolo sul suolo. Orribile a dirsi! un pezzo di cervello spruzzò il volto della madre. Un lampo d’odio terribile, brillò negli occhi della velletrana, ma non disse verbo. In quel mentre la pattuglia, delusa nelle sue ricerche si allontanava. Il giorno appresso, la ganza di Vincenzo Bellini usciva dalla grotta per recarsi a Velletri a far delle provviste. Non appena giunta in città, si diresse all’ufficio del bargello, denunziò la banda e porse tutte le indicazioni necessarie per prenderla.
La sera stessa Vincenzo Bellini e i suoi quattro compagni venivano catturati, dopo aver tentato invano di resistere, ferendo due dei più arditi birri che avevano voluto penetrare nella grotta, dopo aver rimosso l’enorme pietra che ne otturava l’apertura. Non parve sazia ancora di vendetta e d’odio la velletrana. Volle assistere al supplizio del suo amante; ma dopo aver veduto quello de’ suoi compagni, quando venne la volta del Bellini, fu presa da tale impeto di dolore che il cuore le si spaccò.