Mastro Titta, il boia di Roma/Capitolo XCIV

Capitolo novantaquattresimo - La Denunzia - La Confessione - Conseguenze

../Capitolo XCIII ../Capitolo XCV IncludiIntestazione 19 settembre 2008 75% romanzi

Capitolo novantaquattresimo - La Denunzia - La Confessione - Conseguenze
Capitolo XCIII Capitolo XCV

Le nozze ebbero luogo con grande pompa. Luigi Finocchi pareva avesse deposta tutta la sua selvatichezza ed aveva usate alla sua promessa delle finezze squisite.

È un fenomeno che si verifica spesso: il sole dell’amore rischiara le menti più ottenebrate e suscita negli animi apparentemente più insensibili e rozzi, sentimenti di delicatezza incomparabili. Giggi amava già passionatamente Geltrude e nessun sacrificio gli sarebbe sembrato troppo grave per esserne corrisposto. Ma la trovava troppo al di sopra di lui. Le si sentiva inferiore talmente, che disperava di giungere alla sua altezza e avrebbe salutato con piacere qualunque fatto, per quanto doloroso, che avesse diminuita la ipotetica distanza che li separava.

Il Finocchi aveva voluto, con delicato pensiero, che le feste nuziali avessero luogo in casa della Montini, benché sopperisse del proprio alle spese. Terminato il ballo, che aveva seguito la sontuosa cena, gli invitati se ne andarono. E gli sposi si avviarono alle loro abitazioni, accompagnati fin sulla soglia dalla madre di Tuta e da altri parenti. Accomiatatisi si trovarono finalmente soli. Il momento psicologico si avvicinava: Giggi condusse la sua diletta fino alla porta della camera da letto, che aveva fatto allestire con ricchezza e buon gusto, e si ritirò un momento, per lasciarle compire in libertà la toletta notturna.

In quel mentre un famiglio gli recò una lettera dicendogli:

- Sor padrone, hanno portato questo foglio fin da stamattina, dicendo di consegnarvelo subito. Ma io non ho voluto disturbarvi.

- Hai fatto bene.

Il famiglio se ne andò, e Finocchi si pose in tasca la lettera, rimandandone la lettura all’indomani. Ma poi per ammazzare il tempo e vincere l’impazienza, la tirò fuori, e guardò la soprascritta: Signor Luigi Finocchi, Corneto. Urgentissima.
Uomo d’affari anzitutto, quell’urgentissima colpì il destinatario, l’aperse, la lesse, impallidì e dovete appoggiarsi ad un mobile per non cadere.

Entrò nella camera nuziale, dopo aver fatto uno sforzo disperato per vincere la emozione e porse la lettera alla sposa dicendole:

- Leggi.

Avvolta in un bianco e sottile accappatoio, che le scendeva in fitte pieghe lungo la persona, superbamente bella, disegnandone le forme dense ed aggraziate ad un tempo, colle carni rosee e palpitanti delle rotonde spalle, dal seno eretto e dalle magnifiche braccia sotto le trasparenze del diafano tessuto, Geltrude era divina a vedersi ed avrebbe tentato anche un santo. Ma Luigi Finocchi aveva la testa in fiamme, una vampa sanguigna gli saliva agli occhi e non scorgeva che un immane quadro rosso innanzi a sé.

Geltrude lesse la lettera, tranquillamente, serenamente, come se si trattasse di cose che non la riguardassero e quando ebbe finito pronunziò una sola parola, ma con tale accento di supremo disprezzo, che scosse tutte le fibre del suo sposo:

- Vigliacco!

- Dunque è vero? - chiese Finocchi con una inflessione di voce che pareva un rantolo.

- Sì - rispose con accento fermo, pieno di muta disperazione Geltrude.

- Ebbene? - domandolle ansante il marito.

- Vi ho ingannato, sono indegna di voi, cacciatemi; siete nel vostro diritto.

- Perché ingannarmi? - disse con accento straziante Luigi.

- Per salvare il mio onore; porto nelle viscere il frutto della mia colpa, se è colpa per una fanciulla inconsapevole l’essersi lasciata sedurre da un vile.

Quella confessione schietta, piena di rammarico e di rassegnazione, colpì profondamente il disgraziato e fu come un refrigerio per lui. Riprese la calma, e considerò la situazione freddamente.

Era stato ingannato; ma lo scopo se non giustificava, scusava l’inganno. Quella fanciulla era caduta sotto le arti di un malfattore: era una vittima più da compiangersi che da condannarsi. Poteva egli d’altronde supporre che tanto tesoro di leggiadria, fosse creato per lui, rozzo, villano, ineducato? Aveva desiderato che la distanza che lo separava da Geltrude fosse dimezzata: ecco il fatto che lo assecondava. Se la fanciulla non amava il suo seduttore, egli l’avrebbe perdonata, le avrebbe conservato tutto il suo amore, tutta la sua adorazione. Era stata sincera fino a quel momento, perché avrebbe cessato d’esserlo? Guardò negli occhi di Geltrude e gli apparve come una visione angelica, celeste. La sua mente non era mai arrivata a concepire tanta beltà. Le prese una mano candida e un fremito gli agitò tutte le fibre.

- Geltrude! - le disse con tale accento di tenerezza che pareva una contraddizione col suo fisico - l’ami quell’uomo?

- L’odio, lo detesto, vorrei immergergli un pugnale nel cuore colle mie mani.

Così favellando la fanciulla mandava lampi dai corruscanti occhi neri, le sue labbra rosse erano agitate da un tremito, la sua fronte aveva formata una piega profonda, le martellavano le vene gonfie delle tempia, nella sua voce c’era tutta l’impronta della verità.

- È noto il tuo errore ad altrui?

- A mia madre sola.

- È egli di Corneto?

- No, è un viaggiatore di commercio, che capita qui due o tre volte al mese e non si trattiene mai più di quarant’otto ore.

- Quando verrà?

- Dev’esser qui... poiché v’ha scritto: è di suo pugno questa lettera infame, che vi ha rivelato la mia colpa.

- Se l’uccidessi?...

- Ti adorerei come un Dio! esclamò Geltrude, con uno slancio di passione, cingendogli il collo colle braccia ignude che uscivano dalle ampie maniche della vestaglia.

Luigi a quel contatto si sentì inebbriato fino al delirio, strinse la bellissima donna poderosamente al petto e rovesciandole indietro la testa, le diede un lungo bacio sulla bocca.

Quelle quattro labbra ardevano come braci.

Poi repentinamente si svincolò dalla stretta, che Geltrude gli aveva corrisposto, dicendo risolutamente:

- No: prima la vendetta.

- Voglio assistervi.

- Assisterai.