Lo spazzino ar caffè

Giuseppe Gioachino Belli

1837 Indice:Sonetti romaneschi V.djvu sonetti letteratura Lo spazzino ar caffè Intestazione 25 marzo 2024 75% Da definire

Lo staggnaro a mmercato Li moccoletti der 37
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1837

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LO SPAZZINO[1] AR CAFFÈ.

     Averò ddetto un sproposito grosso:
Ne dichi[2] adesso un antro[3] puro[4] lei.
Diammine! ôh mmanco poi fùssimo ebbrei:
Pe’ sti prezzi che cqui,[5] ppropio nun posso.

     Eppuro è avolio![6] Pijji questa d’osso,
Caro siggnore, e jje la do ppe’ ssei.
Via, me creschi un papetto,[7]... nun zaprei...
Ciaggiónti[8] du’ carlini[9]... un giulio... un grosso...

     Rifretti[10] che sso’[11] ggeneri de Francia.
Spacchi er male pe’ mmezzo: dia un testone,[12]
E sservirà pe’ ffà la prima mancia.[13]

     Via, nun vojjo ch’arresti[14] disgustato:
Compenzeremo in d’un’antra occasione.
Màa!, nnun lo dica, veh, ccos’ha ppagato.

6 febbraio 1837.

Note

  1. Girovago mercante di minutaglie. [Ma anche non girovago. Merciaio, a Firenze.]
  2. Dica.
  3. Altro.
  4. Pure.
  5. [Per questi prezzi qui. Il che è un pleonasmo, usato frequentemente anche dal popolo di Toscana.]
  6. Avorio.
  7. [Il papetto, ch’era la lira romana e valeva poco più della nostra, si divideva in venti baiocchi, o in due giuli, o in quattro grossi.]
  8. Ci aggiunti, per “ci aggiunga.„
  9. [Un carlino valeva sette baiocchi e mezzo.]
  10. Rifletta.
  11. Sono.
  12. [Moneta d’argento del valore in trenta baiocchi.]
  13. [Il primo affare, il primo piccolo guadagno.]
  14. Che resti.