Lo spóso protennente

Giuseppe Gioachino Belli

1833 Indice:Sonetti romaneschi II.djvu sonetti letteratura Lo spóso protennente Intestazione 17 aprile 2025 75% Da definire

La lègge La mojje martrattata
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1833

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LO SPÓSO PROTENNENTE.[1]

     Vedessi[2] er zor Cajella[3] spirlongone,[4]
Er zor Palamidone[5] stennardino,[6]
Come stava a smiccià[7] cco’ ll’occhialino
Er babbio[8] e ’r fiocco de le mi’ padrone?

     Vedessi cuanno fesce er bell’inchino,
E cco le granfie[9] de gatto mammone
Se cacciò er fongo[10] fòr der coccialone,[11]
Che jje sce venne appresso er perucchino?

     Che zzeppi tiragrosi[12] eh? ma cche zzanne!
Che zzoccoli![13] che stinchi! che llenterne![14]
Nun pare una tartana a Rripa granne?[15]

     La padroncina mia nu lo pò sscerne,[16]
E ssi[17] lo spósa, pover’omo a ccanne!
Rivedemo la storia de Lioferne.[18]

Roma, 15 gennaio 1833.

Note

  1. Lo sposo (o chiuse) pretendente.
  2. Vedesti.
  3. Di aspetto goffo, e di modi e vestimenti antiquati.
  4. Lungone, altaccio.
  5. Uomaccione maltagliato.
  6. Lungo e sottile, come stendardino che precede le compagnie di confratelli che convogliano un morto.
  7. Osservare.
  8. Viso.
  9. Artigli.
  10. Cappello.
  11. Testa.
  12. Mani secche, chiragrose. [Zeppo, e nell’Umbria zeppolo, propriamente qualunque pezzetto di legno sottile e rotondo, non cuneiforme come è d’ordinario la zeppa. Una bacchetta, per esempio, rotta in tanti pezzi, forza tanti zeppi.]
  13. Piedi.
  14. Occhi.
  15. Porto maggiore del Tevere.
  16. [Scernere]: soffrire.
  17. Se.
  18. Oloferne.