Lo scontro mezzadrile nelle campagne bolognesi
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Da Aa. Vv., Cinquant'anni di storia dell'Unione degli agricoltori della provincia di Bologna, introduzione di Giorgio Cantelli Forti, Bologna, Unione agricoltori della provincia di Bologna, 1998
Articolo di Antonio Saltini Tratto da Rivista I tempi della terra
Dalla Liberazione al 18 aprile: tre anni senza memoria
La seconda guerra mondiale, per l'Italia guerra degli Alleati contro i Tedeschi e guerra civile di Italiani contro Italiani, terminò il 25 aprile 1945. La vita della nuova Repubblica italiana ebbe inizio, con la vittoria democristiana sul Fronte socialcomunista, il 18 aprile 1948. Per la coscienza collettiva le due date sono contigue, separate da un intervallo che la memoria ha annullato. Due date che delimitano un arco di tre anni, cui nella percezione collettiva corrisponde un istante privo di consistenza storica, il vacuo temporale: l'Italia ha dimenticato tre anni della propria storia. Li ha dimenticati per una tacita convenzione, che ha destinato all'oblio la lunga, angosciosa attesa che prendesse forma il destino nazionale, che in un'Europa che si stava dividendo tra paesi schierati sotto lo sventolare protettivo della bandiera americana e paesi schierati all'ombra della bandiera rossa di Stalin era incerto in quale delle due sfere avrebbe preso forma. Un dogma della storiografia dei luoghi comuni asserisce che gli Alleati avevano stabilito, a Yalta, accordi che escludevano che l'Italia potesse diventare un paese comunista: ma gli accordi di Yalta erano segreti, la geografia della bandiera rossa si dilatava fino alla Yugoslavia, che, fino a quando, nel 1948, Tito sarebbe stato condannato, dalla "risoluzione" del Cominform in Romania, come nemico e traditore, costituiva parte integrante del dominio sovietico. Una schiera di storici forniti di tessera del Partito comunista è stata impegnata, per decenni, a dimostrare che il proprio partito, protagonista della Resistenza, sarebbe stato, fino dal 1945, la possente forza motrice della democrazia italiana, del pluralismo e dello stato di diritto, proteso a imporre le regole democratiche contro il partito di De Gasperi, asservito agli Americani, succube della Confindustria, prono al Vaticano. Quarant'anni di pubblicità storica hanno esercitato, come ha dimostrato, ripetutamente, Pietro Scoppola, un'influenza prepotente, permeando l'opinione collettiva tanto profondamente da fare dell'apologia comunista certezza la cui solidità esenterebbe da ogni necessità di prova.
Il lessico marxista definisce democrazia, si deve ribadire, la dittatura del proletariato attraverso il partito unico. Nel gioco dei contrari si è postulato, invece, come assioma che non imponesse prove, che il Partito comunista fosse, nel 1945, partito democratico nel senso che attribuisce all'aggettivo la filosofia liberale, non in quello che gli assegna la dottrina di Karl Marx e dei suoi epigoni: un assunto tanto ardito da obbligare alla dimostrazione più rigorosa. Una dimostrazione forse impossibile, siccome chi postula il carattere liberale dell'antico Partito comunista può allegare, legittimamente, le impegnative affermazioni di Togliatti al vertice di Salerno, dove lo stratega del comunismo italiano proclamò che la scelta democratica doveva considerarsi definitiva e irrevocabile, mentre gli scettici non hanno difficoltà a reperire cento prove per asserire che il solenne proclama non sarebbe stato che espediente tattico: ad esempio le dichiarazioni di Longo al vertice del Cominform, nel 1947, in Polonia, dove il dirigente italiano assicurò ai delegati dei partiti fratelli che il Partito comunista disponeva di un esercito clandestino perfettamente equipaggiato e pronto all'impiego appena scoccasse l'ora della Rivoluzione. O la messe dei rapporti conservati negli archivi della Cia, contenenti ogni dettaglio sul numero di uomini e armi, compresi cannoni e carri armati, pronti per la fatidica "ora x" in ciascuna provincia italiana, un'autentica armata in Emilia.
Un partito democratico, baluardo della dialettica pluralistica sulla stampa e nelle allocuzioni parlamentari, impegnato a mantenere efficiente, in segreto, un apparato militare pronto all'eliminazione dei "nemici del popolo" che si potessero opporre all'instaurazione di una democrazia diversa, quella della "dittatura del proletariato": sono i due volti del Pci che hanno condotto alla coniazione della locuzione "doppiezza togliattiana" e di quella, omologa, del "doppio binario", due espressioni sdegnosamente respinte dalla cultura storica comunista, per trent'anni impegnata a celebrare i fasti di un partito di adamantina coerenza liberale. La condizione di quella celebrazione: l'oblio di tre anni di storia italiana, i tre anni in cui più inequivocabili sono state le prove del perseguimento, da parte del Partito comunista, di una duplice strategia, uno dei cui volti era prassi rivoluzionaria, quindi eversiva delle istituzioni cui lo stesso partito stava contribuendo, con l'attività espressa sul binario legalitario, a dare vita nel confronto dell'Assemblea costituente.
Se la cultura di ispirazione marxista ha operato perché tre anni di vita nazionale si dissolvessero nell'oblio senza storia, a rendere più impenetrabile quell'oblio ha contribuito la storiografia di ispirazione diversa, che alle vicende dell'alba della Repubblica non ha dedicato l'attenzione nessaria perché la coscienza civile conoscesse le origini del consorzio politico di cui esprime l'anima. Ma perché quelle vicende possano riemergere dalla notte in cui sono affondate sono necessarie ricerche di archivio, è necessaria l’analisi e la catalogazione di documenti, un lavoro paziente e oneroso, un impegno che dovrebbe realizzarsi sulle memorie relative a tutte le sfere della vita civile. Tra quelle sfere un caposaldo al quale, nella ricostruzione della storia d'Italia tra il '45 e il '48, dovrebbe assegnarsi un ruolo di speciale rilievo è il confronto agrario.
L'Italia che esce dall'avventura fascista e dalla guerra è una nazione agricola: è impiegata nei campi la maggior parte della forza lavoro, l'agricoltura assicura al reddito nazionale un contributo superiore tanto a quello dell'industria quanto a quello dei servizi. E in quella sfera essenziale della vita, economica e sociale sono compresse, da decenni, tensioni che, contenute da secoli, hanno accumulato forze dirompenti. Il Fascismo ha imposto la pace nelle campagne con una strategia fondata prima sulla violenza quindi su rigidi equilibri di classe, operando per trasformare i braccianti in compartecipanti e affittuari, legandoli alla terra con rapporti che ne consacrino la subordinazione. Ma i lavoratori della terra, nel caleidoscopio delle categorie in cui si ripartiscono, non hanno dimenticato le conquiste realizzate dall'alba del secolo alle lotte del 1920 e 1921, ricordano che quelle lotte avevano assicurato storiche conquiste, e che proprio per questo sono state soffocate con la violenza. Memori delle vittorie, e dell'umiliazione, i lavoratori della terra alimentano, nel cuore, la fiamma del rancore, e l’attesa della rivalsa.
Rancore e desiderio di rivalsa costituiscono l'humus più fecondo per il proselitismo comunista, che si sviluppa, segretamente, durante gli ultimi anni del Regime e si intensifica nel suo crepuscolo, quando, nell'attesa del crollo che appare sempre più prossimo, la rete clandestina dei partiti marxisti sfida ogni rischio per accelerare l'evento e preparare l'instaurazione dell'organizzazione statale che dovrà sorgere sulle rovine dello stato fascista, che, nella fede dei militanti impegnati nel duro lavoro segreto, dovrà essere lo stato socialista.
La precarietà degli equilibri sociali e i frutti della preparazione clandestina concorrono, in una mescolanza composita, a determinare l'esplosione dei primi moti sociali dell'Italia liberata, che sono moti per la terra. Quei moti assumono, alle latitudini diverse della Penisola, due volti incomparabili: è un'autentica insurrezione contadina che divampa, nel Mezzogiorno, per la conquista del latifondo, mentre in Emilia è un'intera categoria, quella mezzadrile, a combattere il confronto più aspro con la borghesia agraria, guidata da un sindacato che dimostra l'efficienza di cui ha insegnato i canoni Vladimir Lenin. Sono due crudi scontri civili, due capitoli della storia italiana ugualmente sconosciuti, salvo agli iniziati di "storia del movimento contadino", una disciplina di studi storici di specifica intonazione ideologica, che ha fallito, peraltro, l'obiettivo di trasfondere nella cultura collettiva la considerazione verso due pagine storiche di cui postula l'epica grandezza. Considerando quella grandezza peculiarità da verificare, di entrambe le vicende è necessario affrontare l'esame secondo il metro della più prosaica obiettività, il solo con cui sia possibile trarre dalla notte senza storia gli eventi che separano la rotta delle armate tedesche dalla convocazione del parlamento che consacra l'affermazione democristiana.
Ambedue le vicende oppongono all'indagine difficoltà molteplici: accomuna, nel corso della storia, i periodi di confusa lotta civile la pluralità delle remore a vergare cronache, a sottoscrivere lettere e documenti che, giungessero nelle mani degli avversari, si tradurrebbero nella condanna dell'autore e dei suoi corrispondenti. Durante una guerra civile la vita è lotta quotidiana, la sopravvivenza giornaliera meta suprema, la preoccupazione della memoria futura una cura superflua. Anche dopo la Liberazione i giornali stentano a trovare carta, che scarseggia anche negli uffici governativi e in quelli sindacali, tanto che accomuna i documenti dell'epoca la redazione sul retro di carta intestata delle organizzazioni fasciste. Ma anche ove la tipografia trovi la carta per l'edizione quotidiana, mancano i corrispondenti, telefono e telegrafo funzionano accidentalmente, la pubblicazione di certe notizie può innescare, infine, ritorsioni.
La ribellione contadina del Mezzogiorno si accende, così, in comuni pressoché privi di collegamento con capoluoghi essi stessi distanti spazi incolmabili dalle autorità centrali, prive, peraltro, di potere: a Enna, Cosenza, l'Aquila, le forze alleate, che detengono il potere sul paese vinto, hanno lasciato presidi insignificanti, le autorità romane, cui i vincitori consentono di usare il titolo di governo in termini pressoché simbolici, incontrano difficoltà ad inviare ordini, sono incapaci, ove quegli ordini non siano eseguiti, di inviare uomini e mezzi per imporne l'ottemperanza. La vertenza mezzadrile si sviluppa, lotta sorda di un sindacato che riconosce i medesimi capi della lotta clandestina, in campagne dove durante il giorno i quattro, cinque uomini della superstite stazione dei Reali Carabinieri circolano guardinghi spianando le armi, dove di notte imperano le organizzazioni militari che hanno combattuto, con eroismo, convincendosi di avere sconfitto la Germania, e che, forti del ruolo vittorioso, reputano che il diritto delle armi attribuisca l'arbitrio sul destino del Paese che ha pagato con la distruzione l'acquiescenza alle illusioni imperiali di un agitatore romagnolo. Su un periodo che ha lasciato tracce tanto volatili negli archivi avrebbe prestato un contributo significativo a fissare gli eventi la raccolta delle testimonianze orali, di cui la congiura dell'oblio non ha favorito la redazione. Tanto è stata intensa la raccolta delle memorie orali sulla guerra partigiana, tanto la convenzione a dimenticare ha impedito che la stessa procedura fosse diretta a identificare ciò che gli stessi uomini, con le stesse armi, abbiano potuto compiere dopo il giorno fatale della Liberazione. Eppure è noto che di quelle armi una parte cospicua non fu consegnata, all'indomani del 25 aprile, come prescrivevano i bandi dei comandi alleati, ed è ugualmente noto che con quelle armi si è sparato e si è ucciso ancora a lungo, nei tre anni in cui l'Italia ricercò faticosamente il proprio volto democratico. Ma attribuire gli assassinii successivi alla Liberazione alle armi della vittoria partigiana pare attentato morale, per evitare il quale la coscienza nazionale ha preferito ignorare.
Delle due grandi agitazioni civili fissando l'attenzione su quella che si accende nel Settentrione, orgogliosamente definita, allora, il "vento del Nord", una delle fonti che si possono supporre, astrattamente, più ricche, è costituita dagli archivi delle organizzazioni degli agricoltori, le controparti del sindacato socialcomunista che dello scontro fu il centro direttivo. Ma non custodisce documenti, ad esempio, l'Associazione degli agricoltori di Modena, che durante lo scontro fu devastata cinque volte, che conserva, tuttavia, un memoriale redatto, in due versioni, dal proprio direttore, Aristodemo Cerea, uno dei protagonisti dello scontro, sulla base di una meticolosa documentazione quotidiana, forse un diario, che l'autore dovette custodire in luogo sicuro fino alla redazione del dattiloscritto, che non porta data, che si può presumere compilato dalla metà alla fine degli anni '50. Custodisce una molteplicità di documenti di straordinario interesse, invece, l'Associazione degli agricoltori di Bologna, la provincia in cui la vertenza fu, forse, più cruda. Raccolte in alcune cartelline chiuse, per quarantasette anni, in una vecchia cassaforte, le carte dell'archivio bolognese comprendono lettere, circolari e rapporti, in originale, più spesso in veline, che propongono il duplice problema dell'origine e dell'autenticità.
Mentre i quesiti sul destino degli originali, e sulla ragione delle copie, appaiono insolubili, inducono a supporre l'attendibilità dei documenti una constatazione e un elemento di prova. La prima: nessuna delle carte custodite nella cassaforte dell'Associazione fu mai utilizzata, neppure per la polemica settimanale sul periodico dell'Associazione, un rilievo che conduce ad escludere che si tratti di artefatti compilati al fine di alimentare lo scontro propagandistico. Il secondo: di una circolare della Federterra, la controparte sindacale, la cassaforte degli agricoltori comprende anche la matrice di ciclostile, conservata nella busta intestata ad una tipografia dal futuro radioso, la prova che l'organizzazione si fosse assicurata intelligenze nel campo opposto, e che potesse disporre, quindi, di materiale originale dalla centrale agraria del Partito comunista, la circostanza che spiega l'origine delle più significative tra le carte dell'archivio bolognese. L'esistenza, nell'archivio dell’Associazione, di documenti del campo avverso suggerisce il quesito ulteriore dell’identità della fonte che li fornisse all'Associazione, o a un ufficio governativo, ad esempio la Prefettura, dalla quale sarebbero stati trasmessi, in copia, all'Associazione. Solo una ricerca tra le carte della Prefettura, non ancora consegnate all'Archivio di Stato, potrebbe, forse, consentire una risposta: i documenti carpiti alla controparte offrono, peraltro, la possibilità, a chi fosse in grado di eseguire la ricerca degli originali negli archivi dell'antico Partito comunista, della verifica, necessaria e sufficiente, dell’ autenticità delle carte della cassaforte bolognese.
La ricerca degli originali delle circolari della Federterra incluse nel dossier, eseguita da chi scrive grazie alla cortesia di Francesco Albanese, incaricato degli archivi della Confederazione italiana agricoltori, ha condotto ad un esito che, proprio perché negativo, conferma in forma inequivocabile l’autenticità dell’archivio bolognese. Tutte le carte dei sindacati aderenti alla Cgil relative agli anni della rifondazione sono state raccolte, infatti, all’archivio provinciale centrale della Confederazione, nel quale il primo documento della Federterra è costituito dagli atti del secondo congresso provinciale, tenuto a Bologna tra l'11 e il 13 marzo 1947. Gli atti del secondo congresso provinciale confermano l’autenticità delle circolari, conservate nel dossier dell’Associazione degli agricoltori, che fissano la data del primo convegno del sindacato uscito dalla clandestinità il 27 giugno 1945, e non menzionano il congresso di rifondazione, che sarà celebrato nel 1946. Il segretario che le sottoscrive, Giorgio Volpi, lo stratega della prassi della minaccia armata, negli atti del primo congresso di cui il sindacato abbia conservato la memoria non è menzionato neppure tra gli ospiti. Chi ha decretato, per cancellare una pagina di storia politicamente improponibile, la distruzione dell’archivio della Federterra tra il primo convegno nella legalità e il congresso del 1946, e tra il primo e il secondo congresso, avrebbe dovuto, a completare l’opera, falsificare il documento mutandone l’ordinale, così da definire primo congresso quello che era, in realtà, il secondo. Il pudore che ha trattenuto dal commettere il falso prova la verità dei documenti sopravvissuti in sede diversa, autorizza il critico più severo ad arguire che l’archivio distrutto attestasse una vicenda sindacale in cui l’arma negoziale scelta dagli strateghi comunisti era l’assassinio.
Il nesso politico
Ove, peraltro, alle carte conservate dall'organizzazione agraria si reputi di dover attribuire anche solo un valore indiziale, nella lacunosità della documentazione, e nella sommarietà delle analisi, sul triennio che separa il 25 aprile '45 dal 18 aprile '48 esse impongono un rilievo che riveste, per la comprensione del periodo, un'importanza ingente, il rilievo della connessione univoca tra vertenza agraria, in quanto elemento di una più complessa azione politica, e attività eversiva dei gruppi armati.
Del nesso qualche memorialista di parte comunista, menziono Mario Lasagni, respinge con sdegno la sola ipotesi, asserendo che gli assasinii che si succedono dopo la Liberazione sarebbero opera di "schegge impazzite" delle forze partigiane, di cui sarebbe infamia attribuire la responsabilità al Partito comunista e al sindacato che ne costituisce la leva nelle campagne. Più obiettivamente altri cronisti, menziono Nazario Sauro Onofri, riconoscono l'evidenza. "I coloni iscritti al PSI e alla DC decisero di proseguire l'agitazione -scrive Onofri rievocando, in Il triangolo rosso, l'opposizione dei proprietari alla richiesta di mutamento delle quote di divisione-. Quelli aderenti al PCI si divisero in due gruppi: uno, il più grosso, optò per il proseguimento della vertenza; l'altro per la lotta armata." Legittimamente, Onofri elenca tutti gli argomenti che, nell'opacità delle fonti, consentono di delimitare gli esiti dell'azione eversiva a un numero sostanzialmente modesto di assassinii.
La connessione dell'attività armata con la lotta politica è stata dimostrata con prove inconfutabili, peraltro, da Giovanni Fantozzi nell'accurata indagine sull'Ordine pubblico a Modena dopo la Liberazione, quella con la lotta agraria risulta di ancora più difficile confutazione di fronte alla serrata logica del memoriale conservato a Modena, che rievoca l'agitazione come opera di una legione di capilega obbedienti alle direttive del sindacato secondo i canoni dell'attivismo leninista, che è azione politica ordinata da un'autentica disciplina militare. Appare di negazione impossibile di fronte ai documenti bolognesi, concordanti e inequivocabili. Salvo, di quei documenti, decretare la falsità, pronunciando una sentenza che dovrebbe coinvolgere l'intero archivio, un'opzione che se supporre l’autenticità impone di superare qualche perplessità, non potrebbe fondarsi su alcun argomento plausibile: chi la pretendesse dovrebbe spiegare quali ragioni diverse dal dogma ideologico imporrebbero di reputare falsi documenti vergati su carta intestata di organismi fascisti, redatti con macchine da scrivere o su matrici ciclostile dell’epoca, suggellati da decine di timbri del C.L.N. e firmate dai relativi dirigenti.
Chiave del complesso di documenti l’imporsi, inequivocabile, del legame tra la rivendicazione condotta dalla Federterra, l'azione dei sindaci comunisti, che con l'autorità del Comitato di Liberazione Nazionale si premurano di esercitare ogni pressione sui proprietari renitenti perché accettino le imposizioni sindacali, la regia di autorità clandestine che recapitano lettere di minaccia ai possidenti ostili e ai mezzadri che infrangano la disciplina di classe, pretendono versamenti a favore di immaginari fondi di ricostruzione, decretano la condanna di chi non abbia sottostato ai propri imperativi, dirigono l'opera delle squadre armate che intervengono, con meticolosa puntualità, dove il confronto sindacale non abbia portato i frutti attesi.
Al nesso tra lotta agraria e azione armata si salda il problema della matrice della vertenza mezzadrile, di cui a Modena e a Reggio Emilia non è possibile individuare le origini, che con eguale verosimiglianza possono attribuirsi a fermenti spontanei o a decisioni sindacali, che le carte di Bologna impongono di ascrivere a ordini politici impartiti, clandestinamente, prima che qualunque sindacato si fosse ricostituito e potesse deliberare, democraticamente, le rivendicazioni da avanzare alla controparte. A chi ne affronti l'analisi in ordine cronologico, un impegno cui la mancanza di data di più di una carta impone di assolvere ricorrendo a qualche supposizione, i documenti dell'archivio bolognese suggeriscono la prima constatazione di rilievo imponendo di riconoscere che l'agitazione si apre prima che la Liberazione sia compiuta. Il primo della serie è costituito dalla copia di una lettera di disposizioni sindacali emanate da un comando clandestino mentre nessuno è in grado di prevedere quando un sindacato potrà essere ricostituito:
"Copia
Comitato di Liberazione Nazionale
Egregio Signore,
In seguito Vs/ lettera Vi comunichiamo le decisioni prese in merito alla Vostra situazione particolare. I fittavoli ritengono Voi il solo responsabile che da diversi mesi essi non sono più a contatto con la proprietà. Vi invitiamo perciò: ad affrettare la corresponsione a detti fittavoli come da patto colonico da Voi ricevuto, agendo eventualmente anche di Vostra iniziativa. Il Comitato di liberazione nazionale, unico e legittimo organo di Governo, Vi autorizza, qualora la proprietà non si dimostri propensa a soddisfare le esigenze dei fittavoli, a vendere od ipotecare i fondi pur di soddisfare a dette necessità.
14 aprile 1945
Il Comitato di Liberazione Nazionale
timbro C L N San Pietro in Casale"
In calce si leggono alcune annotazioni:
"-Hanno preteso restituzione affitti
-Restituiti.
-Agente fiduciario Ardizzone Alessandro per la signora Traebwell Elsa Fornasini in Marzari, Mirabello Ferrara
Propr. S Pietro in Casale, Galliera, S. Lazzaro Savena ettari 158"
Il 14 aprile le truppe tedesche resistono ancora con tenacia, nelle campagne emiliane, alle armate americane che premono dall'alto degli Appennini e dalla Romagna, e se è dato supporre che la loro resistenza non possa protrarsi, per la differenza dei mezzi, indefinitamente, nessuno può prevedere che essa si dissolverà entro una settimana. La lettera al fattore della signora Fornasini Marzari prova, peraltro, che una trattativa tra le due parti è in corso da tempo, probabilmente, date le difficoltà di comunicazione, da mesi, che, sotto gli obici, i responsabili del Cln del borgo bolognese si sentono tanto sicuri nell'imporre la propria soluzione da dettare condizioni ultimative, fino all'ordine di vendere i poderi, suggellando l'imposizione con l'uso di un timbro che, fosse conosciuto dalle autorità tedesche, determinerebbe conseguenze mortali.
La constatazione è in contrasto, si deve rilevare, col tenore del memoriale modenese, che sostiene che al compimento della Liberazione i proprietari di poderi mezzadrili non prevedessero la tempesta incombente. La divaricazione non è facilmente comprensibile, salvo supporre che nelle campagne bolognesi sia stata sperimentata, negli ultimi mesi della lotta clandestina, una strategia che la fruttuosità dei risultati avrebbe suggerito di estendere a tutta l'Emilia mezzadrile, un'ipotesi che solo lo studio, oggi improbabile, dei documenti più riservati della Direzione comunista dell'epoca consentirebbe di confermare o di accantonare. Il secondo elemento di precipuo interesse della prima prova documentale dell'agitazione mezzadrile in provincia di Bologna è l'entità delle rivendicazioni: chi le ha definite non chiede aggiustamenti del contratto, non discute di clausole e appendici, decreta la restituzione dei canoni versati, e pur di ottenere quanto pretende comanda di vendere o ipotecare i fondi. L'entità delle richieste sarà il carattere peculiare dell'agitazione, opera di strateghi che paiono mirare ad alimentare il convincimento che non esistono limiti a quanto il sindacato è in grado di assicurare agli iscritti, una direttrice che sarà abbandonata solo dopo l'insediamento di un potere capace di assicurare l'ordine con l'impiego della forza, inducendo i mezzadri a non porre a repentaglio quanto avranno ottenuto. Fino a quel giorno il sindacato non chiede di ridiscutere qualche clausola del contratto mezzadrile, pretende di ristabilirne la sostanza secondo il proprio disegno di riassetto degli equilibri di classe: il connotato di uno scontro politico, non di una vertenza sindacale, quel connotato che spiega perché l'agitazione sia innescata dai dirigenti politici della lotta clandestina, non dai funzionari di un sindacato che non si è ancora formalmente ricostituito.
I mezzadri sono, secondo la dottrina leninista cui si ispirano i dirigenti comunisti dell'epoca, quei "contadini ricchi" con cui è vantaggioso stabilire alleanze che consentano di schierarli a fianco del partito, alleanze da dissolvere, il giorno della Rivoluzione, trattando i temporanei alleati come meritano esponenti della piccola borghesia di cui la dottrina marxista predica l'estirpazione. Nelle richieste della Federterra durante la dura vertenza è difficile non vedere la volontà di appagare un ceto che si reputa insaziabile di vantaggi economici, di cui domani sarà giusto frustrare l'avidità. Quando le condizioni della lotta diverranno meno propizie, i mezzadri rifiuteranno di porre a repentaglio i vantaggi conquistati: constatato che il ceto che hanno condotto alla lotta è meno insaziabile di quanto avessero supposto, e che i benefici conseguiti lo inducono all'acquiescenza, i dirigenti comunisti riconosceranno che lo scontro non potrebbe protrarsi. Lucidamente, esalteranno come successo, allora, quanto sarà vantaggioso per il ceto che hanno guidato alla lotta, ma astronomicamente lontano dagli obiettivi iniziali, corrispondenti, nella sostanza, alla radicale eversione della proprietà borghese della terra. Ma il ceto che è sceso in guerra non accetterebbe di combattere ancora, proporsi mete più ambiziose sarebbe vano, l'agitazione deve concludersi, consolidando la riconoscenza dei beneficiari, da utilizzare in battaglie future. Paradossalmente, divenuti piccoli possidenti, i mezzadri emiliani resteranno solido supporto rurale di un Partito comunista che si evolverà, felicemente, accettando sempre più integralmente i canoni della democrazia borghese.
Seguendo l'ordine cronologico, il secondo documento dell'archivio bolognese è la copia di una lettera indirizzata, seppure manchi l'indicazione del destinatario, all'Associazione, in risposta, palesemente, all'invito di comunicare le ragioni dell'accoglimento delle pretese mezzadrili senza espletare la resistenza che l'Associazione chiede di opporre, incondizionatamente, alle rivendicazioni sindacali. "In merito all'avvenuta liquidazione dei conti colonici tra me e il colono Nanni Otello effettuata per l'anno 1943-44 in base alle rivendicazioni clandestine faccio presente quanto segue:
La sera del 27 o 28 aprile mio fratello Romeo si vide comparire il colono Nanni Otello che reclamò a nome suo, di "Cesarino" e di "Mario" la liquidazione dei conti colonici 1943-44 in base alle rivendicazioni così dette "clandestine".
Il Nanni...disse che se i conti non venivano regolati entro il giorno successivo per mio fratello si sarebbe creata una grave situazione e che l'avvertimento proveniva dai capi comunisti di Conselice "Cesarino" e "Mario". Subito dopo fu bussato alla porta e a mio fratello si presentarono due ragazzi armati di mitra e pistola con un elenco di quattro nomi, fra i quali quello di mio nonno. Dissero che mio nonno doveva seguirli fino a Portonovo per chiarimenti politici, ma rilevata l'età (85 anni) e le condizioni fisiche... se ne andarono senza effettuare il prelevamento Da notare che mentre i due arrivati hanno voluto i dati e i chiarimenti a carico di mio nonno e mio fratello, hanno nello stesso tempo perfettamente ignorato la presenza del Nanni.
Dopo quella sera il Nanni fece nuove pressioni a mio fratello finché ... io...in data del giugno mi decisi ad accedere alle insistenze del colono, anche perché altri fatti intimidatori verificatisi nella zona a carico di altre proprietà mi convinsero della impossibilità di resistere alle pressioni ricevute senza pericolo per l'incolumità fisica dei membri della mia famiglia. Bollini Otello" Il testo presenta due elementi preminenti di interesse. Il primo è costituito dalla data dell'evento riferito, il 27 aprile, sei giorni dopo la Liberazione, che a Bologna si compie il 21: la conferma che gli obiettivi della vertenza sono stati decisi, dalla dirigenza clandestina del Partito comunista, prima che la Federterra abbia riorganizzato il proprio apparato, e che l'oggetto della rivendicazione sia stato proposto, discusso e approvato dai mezzadri riuniti in assemblea, la peculiarità di un'agitazione politica, non di una vertenza sindacale. Conferma la deduzione la definizione delle rivendicazioni, identificate come clandestine, un termine che non potrebbe sancire in modo più trasparente pretese avanzate, unilateralmente, prima della possibilità di ogni confronto sindacale, quando è ancora in corso la lotta insurrezionale. Se, peraltro, le prime rivendicazioni, precedenti il 21 aprile, erano "clandestine", quelle successive sono illegali, siccome le autorità alleate hanno sancito, per riportare la tranquillità nelle regioni in cui si è consumato l'ultimo atto del conflitto, il "congelamento" di tutti i rapporti contrattuali. I dirigenti comunisti che muovono i mezzadri all'agitazione sanno di sfidare le autorità alleate. E' difficile accettare il dubbio che la sfida non sia intenzionale.
Il secondo dato significativo è la prova del ricorso al prelevamento, il termine con cui nell'Emilia mezzadrile si designa, dall'alba della Liberazione, il sequestro di un avversario da parte di una banda armata, come mezzo per chiudere i conti mezzadrili, una prova di quel nesso che i memorialisti comunisti cercano, comprensibilmente, di esorcizzare. Implicitamente, la lettera di Otello Bollini all'Associazione smentisce ogni pretesa che il sindacato fosse estraneo ai contratti sottoscritti sotto minaccia di morte: la squadra armata visita il possidente iscritto nell'elenco dopo che il mezzadro ha minacciato l'intervento delle autorità clandestine, e conferma la minaccia in presenza del mezzadro. La lettera con cui l'Associazione chiedeva le ragioni dell'accoglimento delle rivendicazioni, una circolare prestampata, veniva inviata, si deve aggiungere, ai proprietari la cui accettazione fosse stata pubblicata sulla stampa comunista: il nome dei fretelli Bollini è apparso, quindi, su un foglio di partito, la prova che l'appoggio al mezzadro Nanni di "Cesarino" e "Mario" non costituiva millantazione, siccome i dirigenti clandestini si sono premurati di trasmettere la notizia della sottoscrizione appena il loro intervento ha ottenuto l'esito atteso.
Il terzo documento della serie è uno dei primi tra le decine di profili di possidenti assassinati:
"Sigora Laura Emiliani Ved. Costa fu Luigi, nata a Bologna, prelevata ad Asia (San Pietro in Casale) il 7 maggio 1945 alle ore 21 con macchina con targa coperta.
Non é mai stata repubblicana e si è sempre occupata esclusivamente della gestione delle sue aziende condotte a mezzadria.
Aveva avuto richiesta di liquidare i conti ai propri coloni in base alle richieste fatte da un comitato di coloni."
E' uno dei primi assassinii successivi alla Liberazione. L'elemento significativo è, di nuovo, la connessione tra la morte e l'intimazione di saldare i conti secondo i canoni sanciti dai coloni, che non possono, per elementari ragioni cronologiche, avere ricevuto istruzioni da un libero sindacato, che, seppure si sia ricostituito, tempestivamente, da due o tre giorni, non ha avuto il tempo di discutere, in assemblee democratiche, quali rivendicazioni indirizzare ai concedenti. L'ordine di saldare i conti, e le modalità contabili, non possono essere state impartite che da un comando armato, in grado di punire, con la condanna a morte, chi opponga resistenza. Il profilo precisa che la signora assassinata non ha avuto rapporti con le forze di Salò, un'espressione dello sforzo di chi raccolse le carte dell'archivio bolognese di distinguere i delitti collegati alla vertenza agraria da quelli di matrice politica o costituenti la mera conseguenza di estorsioni. Proseguendo l'esame cronologico dei documenti troviamo la copia della lettera all'Associazione appena costituita di un possidente, Giuseppe Aristide Serra, che riferisce delle minacce con le quali il mezzadro gli ha intimato di saldare i conti diffidandolo dal rimettere piede sul podere, che ormai, dichiara, gli appartiene:
"Alla Associazione Provinciale degli Agricoltori di Bologna Informo codesta Associazione che sabato 9 Giugno alle ore 15 trovandomi davanti alla mia abitazione sita Lame di Fiegnano (Casal Fiumanese) si presentò il mio colono Carboni Augusto residente alla Cameruzza (Casalfiumanese) il quale mi si avvicinò pronunciando in dialetto le seguenti parole "O crumiraccio, è ora di finirla, paga stasera le opere come ho detto io e il fieno invece lo vendo per conto mio. Non importa che tu venga alla Cameruzza perché il fondo è mio e io me ne sto a letto al mattino fino alle 8 o alle 9 come fanno i signori, dicono che io sia un pistolone! Ma il fondo ti ripeto che è mio e se tu vieni ti ammazzo."
Nella serata è ripassato e io lo invitai in casa dove avemmo un breve colloquio che però finì senza alcuna giustificazione con il pronunciamento di quanto segue: "Insomma è ora di finirla perché io ti ammazzo e dopo morto ti sparo quattro revolverate nello stomaco.
Serra Giuseppe Aristide"
Il documento successivo consiste nella denuncia dell'occupazione abusiva di un podere, inoltrata alle autorità alleate, l'esempio di una richiesta di intervento che dovette conoscere centinaia di repliche:
"Al Colonnello Bowman
Headquarter E. R.
Signore,
nella proprietà terriera della Signora Laura Mongardi De Ballmoos (sita a Sasso Morello d'Imola) il mezzadro morì il 15 Aprile 1945 (come sembra) proprio il giorno della liberazione...Così essa scelse, come successore del contadino morto, un altro mezzadro che accettò...
Ma quando la proprietaria arrivò al podere trovò che una cooperativa di operai, senza avere dato notizia a nessuno, neppure a lei stessa, aveva preso il posto del mezzadro. Essi stabilirono che dovevano restare là perché avevano fissato la loro abitazione nella casa del contadino ed avevano eseguito alcuni lavori, che peraltro nessuno li aveva richiesti di eseguire. In tal modo impedivano al nuovo mezzadro di entrare in casa e cominciare il suo lavoro... Essa, perciò, si appella a Voi perché l'assistiate nel liberare la proprietà dagli attuali arbitrari occupanti che impediscono al nuovo contadino di entrare nella casa assegnatagli e di intraprendere il suo lavoro..."
A identificare il significato della lettera si deve sottolineare che la denuncia non riguarda tanto l'occupazione dell'abitazione, che, date le distruzioni che si sono verificate attorno alla via Emilia, giustificherebbe lo stato di necessità, ma l'occupazione del podere, con la pretesa di intraprenderne la conduzione in forma di cooperativa, una pretesa che dimostra, ancora, il convincimento di mezzadri e braccianti di potersi trasformare, al termine del conflitto, in proprietari, un convincimento che si deve supporre gli attivisti comunisti si peritino di ravvivare contro i bandi militari che, per riportare la tranquillità, hanno sancito la cristallizzazione di tutte le situazioni giuridiche fino al ripristino del potere amministrativo e giudiziario delle autorità italiane.
Il 19 giugno si svolge la prima assemblea dell'Associazione degli agricoltori. E'presente l'avvocato Donini, segretario generale della Confida, la confederazione dell'agricoltura ricostituita a Roma nel 1944. Presiede i lavori l'avvocato Lalatta, che riferisce che le trattative avviate con la Federterra per fissare le tariffe bracciantili per la trebbiatura, che iniziate, dobbiamo supporre, nei giorni successivi la costituzione, si sono interrotte per il rifiuto del sindacato di discutere di tariffe se non si risolva, preliminarmente, la questione mezzadrile secondo le proprie pretese. E' una circostanza, ancora, in contrasto con le scelte che il medesimo sindacato ha assunto a Modena, dove concorda le tariffe delle "squadre d'aia" senza porre pregiudiziali connesse ai patti mezzadrili. Il confronto si accenderà, a Modena, sulle aie, dove le rivendicazioni mezzadrili interverranno ad alterare una divisione del prodotto che, concordate le tariffe, non proporrebbe ragioni di controversia, una successione di eventi che indurrebbe a ritenere che l'ordine di accentuare l'agitazione mezzadrile giunga, a Modena, dopo la verifica dei risultati del conflitto a Bologna. I presenti votano un ordine del giorno che ribadisce che i rapporti mezzadrili sono stati prorogati dal decreto di Gullo, il ministro, comunista, dell'agricoltura del governo Badoglio e del governo Parri, del 5 aprile, fino ad un anno dalla cessazione dello stato di guerra, che quindi "...l'Assemblea dichiara non potersi far luogo a trattativa che miri a infirmare l'essenza della mezzadria, mentre potranno discutersi tutte quelle richieste che non incidono le basi del rapporto, ma si riferiscono a particolari contingenze create dagli eventi bellici."
Nella nuova “legalità”, il volto pubblico della Federterra
E' il 30 giugno quando la Federterra, con la propria circolare numero 2, impartisce alle leghe comunali le disposizioni per la conduzione della vertenza. Propone l'elemento capitale del documento, combinandosi con la menzione di un convegno, la sua data, che prova che l'oggetto dell'agitazione è stato definito, nella forma democratica di un dibattito, rudimentale quanto si possa supporre, solo il 27 giugno. Il dato impone un'alternativa inequivocabile, costringendo a giudicare le rivendicazioni precedenti o manifestazioni spontanee o espressione di disposizioni di autorità clandestine: siccome la prima ipotesi è smentita dalla omogeneità delle pretese avanzate, precedentemente, da singoli mezzadri, per esclusione risulta confermata la seconda ipotesi.
"Federazione Provinciale Lavoratori della terra. Bologna
Bologna, 30 giugno 1945
Circolare n° II
A tutte le Leghe mezzadri
Loro sedi
Oggetto: ripartizione grano e altri prodotti
La ricostruzione agraria ed industriale è completamente basata sullo sforzo produttivo dei lavoratori; è quindi necessario che ad essi siano dati miglioramenti economici e finanziari al fine di raggiungere nel minor tempo possibile la completa ricostruzione del Paese.
L'ostinata resistenza dei proprietari terrieri a non voler concedere le giuste richieste dei coloni, per una più equa ripartizione dei prodotti ha evidentemente lo scopo di fiaccare lo spirito di lotta dei contadini e di impedire la marcia dei lavoratori verso nuove mete, per un miglioramento radicale delle condizioni di vita e di lavoro.
E' necessario dunque che i coloni abbiano ora la prova concreta che quelle forme di schiavitù, imposte dai fascisti, non sono che un triste ricordo e che nuovi patti di lavoro più corrispondenti alle necessità siano concessi.
Ora cominciano i raccolti e quindi la ripartizione deve basarsi sul 60% per il grano e il 65% degli altri prodotti.
Il convegno del 27/6/ u. s. ha deliberato che dette ripartizioni avvengano come segue:
Per coloro che ancora devono regolare il conto dell'annata 1944:
50% di grano a favore del colono.
30% " del proprietario.
20% " in sospeso presso il granaio del popolo a favore del contadino fino a vertenza risolta.
Per coloro che hanno già regolato il conto dell'anno agrario 1944 e che devono ripartire solo il prodotto 1945:
60% del grano a favore del colono
40% " del proprietario.
Per la compartecipazione..."
Il sindacato denuncia l'ostinata resistenza dei proprietari: quale resistenza sarebbe stata possibile se, come vorrebbe dimostrare la circolare, le richieste mezzadrili fossero state definite, in un dibattito democratico, tre giorni prima, è assolutamente impossibile immaginare.
Porta una data successiva di soli 9 giorni il primo egli elenchi di agricoltori assassinati custodito nell'archivio bolognese. L'elenco è preceduto da una nota che intende precisarne il significato:
"9 luglio 1945
Elenco degli agricoltori che furono assassinati in provincia di Bologna dall'inizio dell'attuale conflitto agrario (autunno 1944) all'8 luglio 1945 in seguito a minaccia aperta o clandestina esercitate sugli agricoltori allo scopo di estorcere l'adesione ai capitolati di lavoro, stabiliti unilateralmente e promossi da taluni elementi incontrollati perturbatori della pace e dell'ordine nelle campagne...
Avvertenze:
1°) I nominativi del presente elenco furono desunti da informazioni richieste qualche tempo fa da questa Associazione nei 61 Comuni della Provincia. Da molti Comuni, specialmente di zona collinare e montana, date le difficoltà delle comunicazioni, le informazioni non sono ancora pervenute;
2°) sono compresi nell'elenco soltanto i nominativi di coloro che, per sicura indagine, furono uccisi per moventi strettamente inerenti l'attuale conflitto agrario. Furono esclusi i nomi di quegli agricoltori la cui uccisione lasciava anche soltanto qualche sospetto, di un movente, sia pure indiretto, avente riflessi politici e che poteva mettere in dubbio il movente agrario come causa determinante;
3°) per le suesposte ragioni è da ritenersi che, pervenute tutte le informazioni e tenuto conto dei criteri di prudenza (che il dubbio induce a tradurre in eccessiva obiettività) adottati nel compilare l'elenco, questo dovrebbe estendersi a un numero di vittime almeno doppio se non triplo di quello che viene trasmesso."
Seguono i nomi di centosette persone, corredati dalla sola annotazione del comune in cui l'assassinio è stato perpetrato. Quattordici nomi sono cancellati a mano: più di uno ricompare in un secondo Elenco di altri agricoltori scomparsi per i quali potevano sussistere altre cause, con quella agraria, quali moventi del delitto, comprendente cinquantasei nomi, indubbiamente successivo, espressione di un impegnativo sforzo per identificare i delitti di cui si dovesse escludere ogni movente diverso dalle rivendicazioni agrarie. Il rilievo della località, che accompagna anche i nomi del secondo elenco, consente di collocare l'epicentro del sommovimento tra Sala Bolognese, Galliera, Bentivoglio, Baricella e Medicina. I problemi che propone la coppia di documenti sono ingenti, e in gran parte, insolubili, siccome la loro soluzione equivarrebbe a pronunciare un giudizio definitivo sugli anni di violenza che seguono la Liberazione, un giudizio non ancora tentato dalla storiografia, per definire il quale il materiale dell'archivio bolognese fornisce una molteplicità di elementi, conferma le immense difficoltà. Il primo di quei problemi corrisponde agli interrogativi sulla matrice degli omicidi perpetrati nei mesi precedenti e in quelli successivi la Liberazione, in tutta l'Emilia un numero imponente se, solo a Modena, dove Fantozzi ha operato il computo più scrupoloso che fosse possibile, risultano circa ottocento gli assassinii precedenti il 22 aprile, quasi novecento quelli successivi. Vendette personali, esecuzioni militari, manifestazioni di giustizia sommaria in corrispondenza alla conclusione della guerra civile? La storiografia, tuttora alquanto parca, non ha saputo scegliere, ondeggiando tra le tre risposte alternative. Senza fornire alcuna risposta definitiva, ai quesiti sussistenti il duplice elenco bolognese aggiunge un'ipotesi significativa. E' stato redatto, infatti, con lo scopo precipuo di contare gli assassinii conseguenti la vertenza agraria. Nelle sommarie schede presenti tra le carte dell'archivio, impiegate, verosimilmente, nella compilazione, più di una sottolinea che il possidente ucciso, "non è stato fascista" o "non è stato repubblicano", un rilievo che obbliga ad escludere tanto l'ipotesi del delitto politico quanto quella della giustizia sommaria popolare.
Resta, delle spiegazioni tradizionali, quella fondata sulla vendetta privata, ma che a tanto impressionante dilagare casi di vendette private si colleghi, sistematicamente, la pretesa di sottoscrizione dei "capitolati imposti unilateralemente"appare circostanza inspiegabile: quantomeno per una parte delle esecuzioni, accanto alle ipotesi diverse si impone, perciò, quella di una strategia eversiva che mobilita i mezzadri in cambio della promessa della terra, la tesi che, con il memoriale di Modena, asseverano, concordi, i documenti dell'archivio bolognese. Che avvalorano, complessivamente, l'ipotesi di quel nesso univoco tra vertenza mezzadrile e azione militare dell'apparato che ha condotto la guerra partigiana che, se è avventato ritenere dimostrato sulla sola base dell'archivio dell'Associazione bolognese, quell'archivio impone di considerare come spiegazione verosimile, sostenuta da una molteplicità prove indiziali, quindi da verificare con ogni mezzo di indagine diverso, ricercando, innanzitutto, l'esistenza di documenti relativi alla genesi dell'agitazione emiliana nell'archivio di quello che è stato il Partito comunista italiano.
La moltiplicazione delle pretese
Ad avallare l'ipotesi della corrispondenza dell'agitazione emiliana ad una strategia eversiva la vicenda presenta una peculiarità che è difficile considerare elemento di prassi sindacale: l'entità e il carattere ultimativo delle pretese mezzadrili. I capilega della Federterra non avanzano richieste per intavolare un negoziato, dettano imperativi tali da sovvertire il contratto, e proclamano che quelle richieste non sono oggetto di trattativa. Più che ad una trattativa, pare mirino a costringere la controparte al rigetto delle pretese che avanzano, per mantenere rovente il clima dell'agitazione ed estendere la mobilitazione contadina.
Evitano il negoziato con l'organizzazione dei proprietari, una scelta trasparente a Modena, inequivocabile a Bologna, additando nella controparte, l'Associazione, un covo di fascisti con cui sarebbe superfluo misurarsi, e affidano le proprie rivendicazioni alla trattativa individuale, che si sviluppa con lunghi assedi delle ville dei proprietari da parte di folle vocianti, seguiti, quando l'assediato accoglie una delegazione, da trattative defatiganti accompagnate, crescendo la tensione, da insulti e minacce. In luogo di un negoziato tra rappresentanti sindacali, cento e cento confronti diretti, che entrambe le parti vivono come prolungamento delle coazioni esercitate, prima della Liberazione, in forma clandestina e violenta, esasperando ogni rancore precedente, che, in un clima di sangue, non può, se anche la violenza non fosse correlato delle rivendicazioni, non indurre chi conserva le armi a farne uso.
Dove un possidente accolga, per paura, l'ingiunzione, la stampa comunista pubblica la notizia proclamando che in un'amichevole trattativa il proprietario ha liberamente accolto le giuste richieste sindacali, ma chi ha apposto una firma ai conti col mezzadro non si è posto al riparo da rivendicazioni ulteriori, siccome domani gli sarà chiesto di assumere braccianti a discrezione del capolega locale: secondo i canoni leninisti, l'agitazione non deve concedere tregua né alla "massa" mobilitata né ai suoi nemici. Nell'archivio bolognese le prove di pretese assolutamente arbitrarie, tali da varcare, spesso, il confine con l'estorsione, che i gruppi partigiani hanno praticato, durante la lotta clandestina, per rifornirsi di denaro, che le squadre di armati perpetuano dopo la Liberazione, non è dato sapere quanto obbedendo ad ordini quanto per mero arbitrio, sono oltremodo significative:
"Comune - Comitato di Liberazione Nazionale
Castel Guelfo di Bologna
Oggetto: ripristino danni di guerra ai terreni
Non risultando che siate intervenuta alla riunione svoltasi in questa Residenza Comunale il 15 luglio u. s. per accordi in ordine all'argomento in oggetto, ci peritiamo portarvi a conoscenza delle decisioni adottate e degli impegni assunti dagli intervenuti che rappresentano la grande maggioranza dei poderi del Comune.
Premesso che i lavori da eseguirsi (colmatura delle buche prodotte da bombe aeree, demolizione delle postazioni militari e sistemazione terreno antistante, sistemazione dei fossi collettori con esclusione di quelli di competenza dei Consorzi di bonfica) sono stati preventivati dalla apposita commissione paritetica, nominata nella precedente riunione del 29 giugno u. s. in L 690.000.
Gli intervenuti, a conclusione di una cordiale proficua discussione, hanno deliberato e sottoscritto il seguente impegno:
"I sottoscritti proprietari terrieri del Comune di Castel Guelfo intervenuti alla riunione indetta dal Sindaco di Castel Guelfo in accordo col locale Comitato di Liberazione Nazionale allo scopo di ripristinare e bonificare i fondi danneggiati dalla guerra, nonché eliminare la disoccupazione operaia, in relazione ai deliberati della riunione stessa si impegnano di versare la somma di L. 60 (sessanta) per ogni tornatura di terreno posseduta nel Comune da devolversi al fondo per il ripristino dei danni di guerra ai poderi, amministrato dalla Commissione paritetica designata nella riunione.
Il versamento verrà effettuato in due rate scadenti il 1° agosto e il 1° settembre 1945.
seguono le firme"
Dobbiamo pertanto invitarvi ad aderire agli accordi di cui sopra presentandovi per la firma dell'impegno in un giorno di lunedì, mercoledì o venerdì o inviando separata adesione, facendo comunque presente che sarete compreso nel ruolo che sarà predisposto per la riscossione dei contributi deliberati.
Considerando che gli accordi di cui sopra sono la prova della volontà di tutti di ricostruire e produrre e l'espressione di operante solidarietà, degli agricoltori meno colpiti nei confronti di quelli che lo sono stati di più e di tutti verso gli operai che hanno diritto al lavoro ed al pane, confidiamo nella sollecita spontanea vostra adesione.
Castel Guelfo, li 20 Luglio, 1945
Il Presidente C N L * Il Sindaco"
Un testo che ne rappresenta tanti analoghi, espressione della medesima scuola politica: si propongono due finalità di indiscutibile rilievo civile, la bonifica dei terreni e la lotta alla disoccupazione, si dichiara che a quegli obiettivi ha già aderito, in una libera assemblea, la maggioranza dei proprietari, si invita l'assente a sottoscrivere, garantendo che la cifra che verserà sarà amministrata da una commissione paritetica. Le forme della democrazia sono pienamente rispettate: costituisce solo un incidente che alla riunione fossero presenti, come può desumersi da tutte le vicende analoghe, cinque o sei proprietari, costretti a partecipare con la minaccia, che non vi sia stata alcuna discussione, ma che le decisioni siano state enunciate dal presidente, comunista, del Cln, che nessuna commissione paritetica sia stata riunita, ma che un perito di parte, geometra o capomastro, abbia stabilito una cifra, sulla base della quale viene suggellato il ruolo imposto a tutti i proprietari del comune. Gli obiettivi di una società solidale, le forme della democrazia, i mezzi della coercizione: sono i caposaldi della strategia leninista, quella strategia che nell'agitazione bolognese i responsabili politici applicano con adamantina fedeltà, all'unisono con i dirigenti del sindacato, secondo la dottrina di Vladimir Il'ic Ulianov efficiente "cinghia di trasmissione" delle direttive politiche nella sfera sociale.
Se, però, il possidente convocato non si presenta nel termine che gli è cortesemente suggerito, il tono delle missive dei dirigenti del Comitato di liberazione muta radicalmente, l'invito diventa intimazione, e dietro l'intimazione prende forma l'ombra della squadra armata che potrebbe eseguire il "prelevamento" del renitente. Valgono, come prova, le comunicazioni successive ad un proprietario di Monteveglio che ha mancato, verosimilmente, di partecipare, ad una "cordiale e proficua discussione":
"Comune di Monteveglio
Provincia di Bologna
Comitato di Liberazione Nazionale
Sezione di Monteveglio
Monteveglio 13 9 1945
Al sig Moliterni Piquillo siete pregato di presentarvi a questo Comitato di L. N. il giorno 17 9 1945 per urgenti affari che vi riguardano dalle ore 8 alle 12 o dalle 15 alle 18,30.
Si prega di non mancare.
Il Presidente
timbro C L N Sezione di Monteveglio"
L'invito, che l'interessato ha evaso, è seguito, in data che il testo non riporta, dalla minaccia:
"Comune di Monteveglio
Comitato di Liberazione Nazionale
Sezione di Monteveglio
Sig PIQUILLO, ripetiamo l'invito a presentarvi a questo comitato di Monteveglio, colla speranza che adempiate ai vostri doveri, per non costringerci a ricorrere a dei provvedimenti coercitivi.
Siete atteso per il giorno subito, dalle ore 15 alle 18. Non ammettiamo scuse.
Il Presidente
timbro C L N Sezione di Monteveglio"
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