Lo schiavetto/Atto terzo/Scena VIII

Atto terzo - Scena VIII

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Atto terzo - Scena VII Atto quarto


Rondone, Schiavetto, Succiola, sonatori da pastori vestiti, Nottola, Grillo, Cicala, Alberto, Prudenza, corte, Rampino

Rondone.
Signore, questi sono sonatori della città, così da pastore vestiti, e vogliamo, Schiavetto, Succiola e io, farli un villan di spagna concertato poco fa in casa.
Nottola.
Or sù via, incominciate, ch’io in tanto apparecchio il borsone da premiarvi.
Rondone.
Sonatori, via, date principio, o buono! O che bel suono. Signore, state intento e tacete.
Nottola.
O che belle riverenze, che dite meser Alberto?
Alberto.
Bellissime.
Nottola.
O come Rondone sgambetta bene, e Succiola? Càppari, so ch’ella è su ’l menare daddovero! Figlioli, vi siete portati molto bene, ora sta a me di portarmi bene con voi altri, razza di grilli e di cavalette, poiché così bene ballando saltavate. Rampino?
Rampino.
Signore.
Nottola.
Donagli diece scudi d’oro per uno e di quelli pesati.
Succiola.
Casasego! Oh? A cotesta foggia si potrem salvare.
Schiavetto.
Rondone, questo è un liberal signore, questa è la nostra ventura.
Rondone.
Holla conosciuta, ch’è la mia buona fortuna, e però l’ho incominciata a pelare. Ma signor principe, non volete un poco sentire ancor cantare?
Nottola.
Certo sì, e chi canta?
Rondone.
Chi canta? Io, e Schiavetto.
Nottola.
Canta un poco.
Rondone.
Fa, la, la, la.
Nottola.
O questo fa la la la lela, lo so cantare anch’io, non v’è altro che te, che canti?
Rondone.
Eh? Che v’è Schiavetto, che non si può sentir meglio.
Succiola.
E mene, dove lasciate? Suona, Schiavetto. Udite un poco. Suona la calata.
Un tordo cotto con la saivia, e l’olio
val più che con il sal cento lupini;
o come d’Arno i dolci pesciolini
vaglion più che del Po que’ gran storioni.
Nottola.
O che Succiola valente, càntene un’altra tu pure, ché per ora non voglio guastarmi con altri canti il gusto.
Succiola.
Or sù, i’ mi contento, ma ad ogni duo versi, per ripresa, fatemi la sfessaina, ch’io ballandola brevemente arrecherò gusto all’occhio danzando, gusto all’orecchio cantando.
Nottola.
Succiola, tu vali un milion d’oro, ma non bisognerebbe che la Succiola avesse spine.
Succiola.
Crediatemi signore, che ve ne sono molte poche, ché ogni quindisci giorni, io me le abbruscio. Or sù sonate.
Io son donne quel Nencio pescatore,
che fu figliolo di Fruca e di Giucca;
che per pescar con voi non ha quattr’ore
ch’io giunsi a Siena e partimmi da Lucca.
E fu tanta la fretta e ’l mio furore
che mi dimenticai pigliar la zucca,
il bussatoio no, perc’ho giurato
di mai non istaccarmelo da lato.
Nottola.
Tu ha’ ballato e cantato molto bene; or entrane con Rondone e Schiavetto, che teco hanno ballato così bella bergamasca; e come torno dal giardino fa’ che apparecchino alcuna cosa bella da fare, ch’io pure anderò pensando modo d’esser loro grati.
Succiola.
Signore, se forse e’ non sa, i’ voglio ire a rasciugarmi, ché sono più molle che s’avessi fatto diesce miggia. Stia sicuro, di buona voggia, ché fra Rondone e Schiavetto, e’ sarà fatto ogni cosa.
Rondone.
Signore, addio.
Nottola.
Addio figlioli. Entrate, sonatori. State qui, voi. Oh? Di grazia, signor Alberto, la seggetta che avete in casa. Rampino, valla a tôrre.
Rampino.
Vado signore, e or ora son da lei.
Alberto.
Sono bene stato sciocco da vero a non la fare arrecar prima.
Nottola.
Signor Alberto, mandate in casa la figliola vostra, e mia signora consorte. Anzi, lasciate che fino alla porta io l’accompagni. Datemi la mano.
Prudenza.
Eccola, signore.
Nottola.
Andiamo, entri felice. Or vostra signorìa illustrissima ed eccellentissima se n’entri.
Alberto.
Illustrissima ed eccellentissima, o che gusto.
Nottola.
Ohimè son morto, ah traditori.
Alberto.
O signore, sù sù, ché l’aiuto.
Prudenza.
E io, signore.
Nottola.
Rampino, se’ morto!
Alberto.
Eh, signore.
Nottola.
Non mi tenete.
Rampino.
Signore m’ascolti, con le ginocchia a terra lo prego: s’è caduto è stato perch’ella era avanti la porta, e io (per venir presto) uscendo con le spalle a dietro da la stessa porta, l’urtai, ond’ella cadde; sì che mi scusi il desiderio di servirla tosto, e del non sapere che fusse su la porta.
Nottola.
È così? Ti sia perdonato. Apri la seggetta. Signora, entrate.
Prudenza.
Le fo riverenza, signore e consorte.
Nottola.
Addio. Sonatori, mentre entro in seggiola sonate, e sonando seguitatemi fino al giardino.
Alberto.
Sù presto, sonate. O buono.
Nottola.
Alberto, andiamo.