Lo schiavetto/Atto secondo/Scena I
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Giovan Battista Andreini - Lo schiavetto (1612)
Atto secondo - Scena I
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Orazio
- Orazio.
- O come bene disse il saggio, quando in queste voci proruppe, cioè, che solo l’amante è quegli che meglio sa misurare i giorni e l’ore d’ogni altro vivente. E io lo provo, poiché non credo che tempo alcuno sia passato, ch’io co’ miei sospiri prima non le abbia dato il moto; né ora, che prima non le abbia dato il colpo con il cuore. O felicissimo Orazio, servo fatto d’Amore, di quell’alato dio che sforza il tutto, che vince gli uomini e gli dei. Ben del tuo gran valore, o picciolo nume, segno manifesto ne danno le antiche carte e narrano come alle care fiamme delle tue facelle si rendessero ubbidienti Giove, Marte, Apollo, Mercurio, e la tua bellissima madre. E che altro vogliono dinotare l’ali tue, se non che in ogni parte tu voli, tu saetti, e tu mostri l’estranio valore delle pargolette sì, ma grandi, forze tue? Dolce fuoco, e possente, poiché nel profondo e salso mare e nelle dolci e limpide acque, le marine deitadi provano il caldo loro, o quanta allegrezza e dolcezza porgono i pesci all’acque amorosamente guizzando, quanta gioia i vaghi e dipinti augelletti, quando tra le verdi frondi, di ramo in ramo volando, riempiono l’aere d’amorosi accenti. Ecco in un olmo giocar baciandosi innamorate le semplici colombe e le caste tortorelle. Chi dir puote i cotanti beni, i cotanti vivaci effetti, che da te derivano? Chi vinto avrebbe il Toro, il Drago, Anteo, Cacco, i Centauri, Gerione, il leon Nemeo, l’Arpìe, l’erimanto Cinghiale, Acheloo, Diomede, Bussiti e altri mostri, se tu, trionfante dio, non avessi delle bellezze d’Alchemena acceso Giove, dal cui dolce congiungimento nacque il famoso e invitto Ercole, de’ mostri domatore e vincitore. In somma, in questo gran mare per trovare il lido, concludi che quanto ha la terra, il mare, e quanto nel grembo porta di bello il cielo, opra è del bellissimo Amore. Non consumar più il tempo, o Orazio, in lodare questo arciero infallibile, benché altra cagione tu ne abbia. Serba, serba il profluvio delle grazie all’ora quando goduto avrai della tua bella Prudenza, della quale ben sai che è espressa voglia, consumate le due ore, a lei ritorni. Eccoti apunto soletto, come soletto esser debbe amante, ecco spopulate le contrade, l’ora essendo, che ogn’uomo co’l cibo nudrimento a sé medesmo porga. Vedi che vuole, che agevole le sarà il dirtelo, l’importelo, poiché tale ordine di parlarti dato non l’avrebbe se di non poterti parlare ella avesse saputo. O dalla casa?