Lo schiavetto/Atto quinto/Scena I
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Giovan Battista Andreini - Lo schiavetto (1612)
Atto quinto - Scena I
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Alberto e Fulgenzio
- Alberto.
- Signor Fulgenzio diasi pace, ché in somma le cose fatte con poco fondamento in breve ruvinano; per dirgliela, mia figliola confessa il merito suo, la sua virtù, la sua nobiltà, ma non lo vuole per consorte.
- Fulgenzio.
- Ben so il perché, ma basta.
- Alberto.
- Perché, di grazia?
- Fulgenzio.
- Non lo voglio già tacere. Perché è d’Orazio amante, e ora ch’egli è morto, sprezzatrice è fatta anch’ella della vita.
- Alberto.
- Veda signor Fulgenzio, già si sa ch’io stimava di dover dar mia figlia ad un uomo ricco, sì che perciò, e vostra signoria e il signor Orazio dovevano viver lontani da questa speranza, colpa della povertà loro; e s’io mi era indotto a darla al signor Fulgenzio, questo io faceva perché il principe mi prometteva gran cose. Ma ora, che in casa se n’è lavate le mani, anch’io ritorno nel mio primo pensiero; né speri giamai d’averla. Addio signor Fulgenzio, io vado a chiamar colui che piglia in nota le denunzie de’ morti. Mi perdoni se forse la risposta le pare acerba; addolciscasi co ’l sapere che ogni padre desidera più che può il maritar bene la sua figlia.
- Fulgenzio.
- O sfortunato Fulgenzio, privo d’ogni speranza di godere quanto di bello il Cielo concede a’ mortali, che in terra goder si possa! Ma a che disperi? non sai che quando fortuna al mortale mostra minaccioso il volto, che allora pensa il modo di farlo felice? Odi l’inganno ch’ella ti narra? Non va Alberto a trovar colui che piglia in consegna i morti? Sì non impose a Prudenza che non dovesse aprire ad altri uomo che a costui, caso che senza di Alberto venuto fosse? Sì pur, celato non t’è che questo tale da veruno della casa d’Alberto è conosciuto. Or via, amante coraggioso, fingi tu con abiti e barba mentita questo tale, prima che Alberto lo trovi e seco lo guidi. Vieni a questa casa, picchia, entrane; poscia retira Prudenza in parte segreta fingendo d’essere a parte de’ suoi amori, mercè d’aver ciò dettogli Orazio, e quando colà soletta l’avrai e che altri discorreranno sopra il morto giovine, tu cogli a forza da lei l’amorosa messe, che nel campo d’amore sovente raccoglie falciatore amante e accorto. O come già mi pare d’averti nel seno, dolcissimo cuor mio! Alle fraudi, a gl’inganni, a i bei furti d’amore!