Lirica (Ariosto)/Stanze/Frammento III

Frammento III

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III

(Esordio del XXXV del Furioso, ediz. 1516)

1
     Un non so che, ch’io non so ben se rio
nominar debb’io, o pur onesto e buono
(e se timor d’infamia o se disio
di gloria il fa, non meno in dubbio sono),
estima alcun che di quel vase uscìo
ch’all’incauto Epimeteo fu mal dono,
e fra le pesti lo racconta e mali
che turban la quiete de’ mortali.

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2
     Questo o rispetto o debito che sia,
ch’io non so a punto ritrovargli il nome,
dal voler proprio spesso l’uom devia,
e al voler d’altri il tira per le chiome;
servo lo fa che libero seria,
ed io non so bene esplicarvi come
ch’in tanti casi, in tanti vari modi
avince l’uom d’inestricabil nodi.
3
     In voi porrò, donne, l’essempio prima
che vi guastate mille bei piaceri,
che, se di questo non faceste stima,
come non fanno molte, avreste intieri.
Se fate bene o male, altri l’esprima;
vi so ben dir che appresso l’indi neri
le donne, che non han tanti rispetti,
vivon più liete in lor communi letti.
4
     Questa che forse seria meglio detta
opinion che debito o virtute,
per minima cagion fa che negletta
ha l’uom sovente la propria salute;
affinitade ed amicizia stretta
ha violate e in poco conto avute;
ed a servigio e soldo de’ tiranni
ha fatto a’ cari amici oltraggi e danni.
5
     Lascio li antiqui essempli di soldati
di Cesar, di Pompeo, d’Antonio e Bruto,
ch’a lor patria, a lor sangue erano ingrati,
dando a lor capi in le mal opre aiuto.
Quanti n’avete, o gloriosi nati
d’Ercole invitto, a questi di veduto
che vi son stati e son di cor amici
e ne li effetti poi come nemici?

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6
     L’essere o con Vinegia o col Pastore
o con altra potenzia a voi nemica,
par lor per questo universale errore
ch’obblighi piú che l’amicizia antica.
Di farvi danno a tutti scoppia il core,
e pur lo fanno, ovunque lor lo dica
questo che far il debito vien detto,
che non si lascia inanzi altro rispetto.
7
     Ma voi ch’avete cognizion del strano
stilo, ch’al mondo o ben o mal che s’usi,
ben ch’avea il luoco il cardinal toscano,
che usar mal seppe quel de li Alidusi,
né lui però né il suo fratel Giugliano
da l’amicizia vostra aveate esclusi;
li dui rampolli del ben noto Lauro,
che fe’, mentre fu verde, il secol d’auro.
8
     Se fu il duca d’Urbino ubidiente
al zio nel guerreggiarvi, non gli tolle
che del mal vostro, come buon parente,
non abbia avuto il cor di pietá molle;
né voi manco l’amate, onde sovente
con quelle maggior laudi che s’estolle
uom di valor, vi sento l’opre belle
de’ suoi verdi anni alzar piú alle stelle.
9
     Io potrei ricordare altri infiniti
che son stati e anco sono amici vostri,
ben che per tai rispetti abbian seguiti
a’ nostri danni li aversari nostri.
Discorrendo vi vo per questi riti,
acciò che di Ruggiero io vi dimostri
ch’esser può che Rinaldo onori ed ami
e che a battaglia tutta volta il chiami.

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10
     Poi che tra lor feriti ebbeno i patti
che i re fêr prima e i cavallieri poi,
e giuramenti e cerimonie ed atti
ciascun secondo i modi e riti suoi;
fu dato il segno di venire a’ fatti,
e quinci e quindi i gloriosi eroi,
con lungo passo e maestrevol giro
a far le piastre risuonar veniro.
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