Lirica (Ariosto)/Capitoli/V. - Una fiera tempesta lo ha sorpreso...
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V
Una fiera tempesta lo ha sorpreso durante il viaggio che lo porta lungi dalla sua donna; ma piú furiosa e piú lunga la tempesta che lo aspetta al termine del faticoso cammino, per espiazione della sua imprudente partenza.
Meritamente ora punir mi veggio
del grave error che a dipartirmi feci
da la mia donna, e degno son di peggio;
ben saggio poco fui, ch’all’altrui preci,
5a cui deve’ e potei chiuder l’orecchi,
piú ch’al mio desir proprio satisfeci.
S’esser può mai che contra lei piú pecchi,
tal pena sopra me subito cada
che nel mio essempio ogni amator si specchi,
10Deh! che spero io, che per sí iniqua strada,
sí rabbiosa procella d’acque e venti,
possa esser degno che a trovar si vada?
Arroge il pensar poi da chi m’absenti,
che travaglio non è, non è periglio
15che piú mi stanchi o che piú mi spaventi.
Pentomi, e col pentir mi meraviglio
com’io potessi uscir sí di me stesso,
ch’io m’appigliasse a questo mal consiglio.
Tornar a dietro ormai non m’è concesso,
20né mirar se mi giova o se mi offende;
licito fora piú quel c’ho promesso.
Mentre ch’io parlo, il turbid’austro prende
maggior possanza, e cresce il verno e sciolto
da ruinosi balzi il liquor scende;
25di sotto il fango, e quinci e quindi il folto
bosco mi tarda; e in tanto l’aspra pioggia
acuta piú che stral mi fere il volto.
So che qui appresso non è casa o loggia
che mi ricopra e pria ch’a tetto giunga
30per lungo tratto il monte or scende or poggia.
Né piú affrettar, perch’io lo sferzi o punga,
posso il caval, ché lo sgomenta l’ira
del ciel e stanca la via alpestre e lunga.
Tutta questa acqua e ciò ch’intorno spira
35venga in me sol, che non può premer tanto
ch’uguagli al duol che dentro mi martira;
ché, se a Madonna io m’appressassi quanto
me ne dilungo e fusse speme al fine
del mio camin poi rispirarle a canto;
40e le man bianche piú che fresche brine
baciarle, e insieme questi avidi lumi
pascer de le bellezze alme e divine,
poco il mal tempo, e loti e sassi e fiumi
mi darian noia, e mi parrebbon piani,
45e piú che prati molli, erte e cacumi.
Ma quando avien che sì me ne allontani,
l’amene Tempe e del re Alcinoo li orti,
che puon se non parermi orridi e strani?
Li altri in le lor fatiche hanno conforti
50di riposarsi dopo, e questa spene
li fa a patir le aversitá piú forti.
Non piú tranquille giá né piú serene
ore attender poss’io, ma ’l fin di queste
pene e travagli, altri travagli e pene.
55Altre piogge al coperto, altre tempeste
di sospiri e di lacrime mi aspetto,
che mi sien piú continue e piú moleste.
Duro serammi piú che il sasso il letto,
e ’l cor tornar per tutta questa via
60mille volte ogni di sará costretto.
Languido il resto de la vita mia
si struggerá di stimolosi affanni,
percosso ognor da penitenzia ria.
E’ mesi, l’ore e i giorni a parer anni
65cominceranno, e diverrá si tardo,
che parrá il tempo aver tarpato i vanni;
che giá, godendo del soave sguardo,
de la invitta beltá, de l’immortale
valor, de’ bei sembianti, onde tutt’ardo,
70vedea fuggir piú che da corda strale.