Libro detto strega o delle illusioni del demonio/Libro primo

Dialogo detto strega o sia il primo libro delle illusioni del demonio

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Dialogo detto strega o sia il primo libro delle illusioni del demonio
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Dialogo detto strega o sia il primo libro delle illusioni del demonio, composto dallo illustre e molto dotto prencipe segnore Giovanfrancesco Pico della Mirandola, segnore e conte della Concordia, volgarizzato dal Ven. P. F. Leandro dell’Alberti bolognese dell’Ordine de’ Predicatori.


Le persone parlano
Apistio, Fronimo, Dicasto, Strega.


APISTIO
Fronimo, dimmi dove va colà così in freta, caminando per la piazza ove vendonsi l’herbe, tanta moltitudine di popolo.
FRONIMO
Non lo so, ma andiamo anche noi un puoco, acciò intendiamo la cagione di tanto concorso, conciosia che puoco danno potrà essere la perduta di puochi passi.
APISTIO
Non saranno puochi, se andaremo per insino al tempio, lo quale novamente è comenciato di fabricarsi ad honore della gloriosa vergine madre de Iddio, chiamata dalli miracoli. Conciosia che è discosto da quinci oltro di un miglio. E così mirando pare a me di vedervi costì alquanti de quelli venerandi religiosi dell’Ordine de’ Predicatori, che sono huomeni molto dotti, li quali hora sono venuti quivi ad habitare per servigio di detto tempio. Il perché io istimo che tutti vadino colà quelli vediamo.
FRONIMO
Drittamente, si come io penso, tu istimi, conciosia che, se non me inganno, ho veduto fra la moltitudine de’ fanciulli esservi anchora li servi, li quali suoleno servire allo Inquisitore, che cerca e persequita li maghi, malefici, et incantatori. E li punisce segondo le loro malvagie e rie opere. Ma pur al fine, che cosa ci puotrà nuocere, se andaremo per insin colà? Anzi penso più presto di doverne riportare commodo e guadagno, se ben non fusse di gran momento, almanco di qualche cosa che serà a noi aggradevole, perché se puotrà computare in vece di vivande nel pranso, quando ritornaremo. E forse anchora serà molto più utile cosa, che non sapiamo, intendendo qualche nuovo secreto. Conciosia che a me pare, et ragionevolmente istimo, sia presa una strega, et ivi esser dove corre, per vederla, tanta moltitudine di popolo mescolato con li fanciulli.
APISTIO
Habitano in questi luoghi le streghe? Oh, certamente non mi serebbe grave di caminare diece miglia, per vederle.
FRONIMO
Hor su, se adunque non mai vedesti veruna, forsi hora sara’ satisfatto alla tua curiosa voglia.
APISTIO
Oh se pur accadesse, che io potessi ritrovare cotesto augello, da me con tanto desiderio cerco, e non giamai ritrovato in verun luogo.
FRONIMO
Di quale augello ragioni tu?
APISTIO
Della strega.
FRONIMO
Tu giuoghi, eh, Apistio?
APISTIO
Pensa pur che quello ho detto, l’ho detto non per giuoco né per iscrizzo, ma da dovero. Conciosia che debbia esser molto aggrado a ciascun huomo, ma maggiormente alli gentili e curiosi spiriti, di conoscere quello, lo quale non ha mai conosciuto la antiquità.
FRONIMO
Dunque tu te affatichi di vuoler intendere quello, che non ha inteso veruno?
APISTIO
Dunque istimi tu che io vogliammi persuadere di conoscere quello, che non mai hanno voluto confessare de havere inteso li huomeni grandi e molto litterati, e pur se l’haveranno inteso, non appare in verun luogo?
FRONIMO
Che cosa?
APISTIO
Lo augello strega. Benché già habbia letto:
Coll’ali infame la notturna strega.
Mestitia, augurio infausto, e danno espresso
Peggio ch’el bubo annontia, porge, et lega.
Anchor pur ho veduto nell’antiche maledittioni fussi nominata la strega, ma che cosa sia quella, e di qual natura, non si conviene. Et istima Plinio che sia una favola, quello che era scritto delle streghe, cioè che asciuccaveno colle labbra le pope delli fanciulli. E così confessa di non sapere di quale generatione de uccegli sia la strega.
FRONIMO
Assai mi meraveglio, che sendo tu molto dotto nelli poeti, si come a me pare, tu non hai letto come era consuetudine nelli tempi antichi, di esser scacciato fuori delle porte et usci le streghe con una verga di spino bianco, e come hanno questa natura, che sono brammosi uccegli, con il capo grande, li occhi fermi, il becco torvo, e parte delle penne canute, con l’unghie rampinate, e per ciò così suoleno essere chiamate, perché hanno consuetudine di stridere nella spaventevole notte. Hor tu vedi il nome, la cagione di esso, la natura di quella, et anchora la figura, come egli è stata iscritta dalli antichi.
APISTIO
Ben intendo quello tu racconti, ma forsi sono di diverse maniere e generationi coteste streghe, e di differente natura, conciosia che se dice come non succiano colle labra le pope di fanciullini, ma che beveno il sangue. Il perché così disse Ovidio:
Di notte ai fanciullini vola spesso
Empiendo il petto dell’innossio sangue
Da vitiati corpi a forza egresso.
Et egli è cotesto suto osservato per infino dalli heroici tempi. Quelle cose mi moveno, che sono venuti nelli thalami e camere delli Proci, o siano delli lascivi e molto libidinosi huomeni, così dicendo Ovidio:
Proca il dimostra quale sia questo angue
Ch’al quinto giorno depuo suo natale
Delle streghe già preda, forte langue.
Puoco il vagito fanciullesco vale,
Et chieder spesso agiuto alla nodrice,
Che è lacerato da questo animale.
Assorbe il sangue la strega infelice,
Sì presto, con la lingua insatiabile,
Ch’el soccorso opportuno esser non lice.
Non paiono a te cotesti officii fra sé delle streghe, tanto diversi, e non ti dimostrano varia et anchor contraria natura e conditione? Erano ragionevolmente da esser istimati quelli augelli misericordiosi, li quali facevano l’ufficio della nudrice, ma questi sono da esser reputati grandemente nocevoli e malegni, dalli quali sono occisi li fanciullini, havendoli bevuto il sangue.
FRONIMO
Io te dirò il vero: a mi paiono più presto ciascuna di queste cose favole che altro. Ma pur se vi si ritrova qualche cosa di vero nella favola, io penso che non siano nati quelli augelli, né anchor che se ritrovano nelli versi. Perché quelli falsi titoli e versi figurano la vecchia nelli uccelli. Ma ben penso fussi fatto questo, con lo agiuto delli demonii iniqui e maledetti, cioè che li antidetti augelli hora apparevono in una forma della nodrice, et hora della insidiatrice. E questo maggiormente a me lo fa credere, perché il dimonio insegnò il giovevole rimedio contro delle incantationi e maleficii, per li quali erano ligate le menti delli huomini, con inganni e con bugie: dicendo se esser Giano, vuoleva che tre volte toccassino con l’arbuta fronda le porte et uscii, cioè con la fronda de uno albero simile al citrono, e tre volte segnando con detta fronda le pietre che sono sotto la intrata dell’uscio, bagnando la intrata con l’acqua, e commandava anchor se facessino dell’altre cose, che non erano sagre, ma anzi abominevoli sacrilegii e portenti. Benché anchor de quelle così se dica:
Se poi l’infanti per la notte oscura
Vessa, et il sangue esucca con l’esperti
Labri la strega et in tal modo se indura.
Così ne’ tempi nostri hanno consuetudine di fare le streghe, quando se narra che sono portate al giuoco di Diana. Guastano nelle cune li fanciullini nuovamente nati, che piangono, dipoi incontinenti le dano li giovevoli rimedii. Li quali, si come a me pare, sono in loro arbitrio e possanza, di doverli dare. Imperò meritamente egli è derivato questo nome. Conciosia che queste crudeli e bestiali femine, le quali commetterlo tanta scelerità, anchor da noi, così come dalli antichi, convenientemente sono chiamate streghe.
APISTIO
A mi pare tu te inganni, Fronimo, parimente insieme con molti altri, credendo esser vero quello che scioccamente dice il volgo, cioè che sono non so che feminuzze, le quali volano nella mezza notte alli conviti et alli delettevoli piaceri carnali delle Lemuri o siano delli spiriti della oscura notte; e che coteste feminuzze guastino con incanti li fanciulli.
FRONIMO
Meglio potreste parlare, Apistio. Conciosia che non mai se debbe dire che coloro errano, li quali apertamente raccontano quello che hanno con l’occhio della ragione chiaro e manifesto non puochi huomeni ben dotti et amaestrati con la continua pratica, et anchor sono ornati de buoni costumi e vertuti.
APISTIO
Io ti prometto, che non è mai stato possibile di essermi persuaso questo che tu dì, per cotal modo che l’habbia creduto.
FRONIMO
Per quale ragione, non te l’ha possuto persuader veruno?
APISTIO
Per questa: cioè che pare una cosa da ridere, come sia possibile, che fatto un cerchio et unto il corpo con non so che unguento, in un certo modo, et dette poi certe parole con un non so che mormorio, se congiungano dette femenuzze incontinente colli demonii infernali, e che cavalcano di notte sovra di uno legno detto gramita con il quale si suole rassettare il lino e la canova, overo saliscano sovra di una cavra o di uno becco o di uno montone e siano portate per aria, e che trapassino li spatii delli venti e ritrovanse alli canti e balli di Diana e di Herodiade, e che ivi giocano, mangiono, beveno, e pigliano lascivi piaceri. Pur voglio anchor aggiungere un’altra cosa, cioè che non se accozzano nel parlare, sì come ho inteso: conciosia che alcune dicono esser portate molto in alto per aria, et altre dicono appo di terra, alcune confessano di andarvi solamente con la imaginatione, e non con il corpo, e poi fermarsi sovra del lago di Benaco o sia di Garda, nelli altissimi monti. Vero è che molto mi meraveglio, che non dicano di essere fermate sovra della cima del monte Micala insieme con Thalete, overo su la cima del Mimante siano poste a caminare con Anassagora, il quale è un monte non guari discosto da Colophone da continue nevi assediato, da cui se conosce la tempesta debbe venire. Altre racontano de esser portate allo albero di Benevento detto la nuce, se ben me arricordo. Ma quale è la cagione, non si fermano più presto nel territorio di Arpino, più vicino (si come io penso) alla nostra regione, overo portate alla Querza di Mario, et anchor, se non le pare fatica di andare più discosto, perché non sono portate per infino nella Cheronea alla Querza di Alessandro? Dicesi anchora che hanno amorosi piaceri colli demonii, che non sono congiunti colli corpi, se io non erro. Ma dimmi un puoco, Fronimo, che toccamenti possono esser cotesti? Che piaceri? Over in che modo possono havere amorosi solazzi con questa vana e finta imagine le femine di carne? Ho letto, come le Larve, o siano le nuocevoli ombre della notte e dell’inferno, pigliano piaceri colli morti, et che combatteno con essi, e non con li vivi.
FRONIMO
Dimmi, Apistio, se io sciorrò tutte le tue ragioni, sì come spero, consentirai?
APISTIO
Io ti prometto di consentire.
FRONIMO
Egli è certamente cosa da huomo ragionevole e di sano intelletto, di lassarsi muovere e guidare dalle ragioni, essempii, et dalle authoritati delli antichi, le quali già sono con comun sentimento confermate, e dipoi quivi fermarsi; ma molto maggiormente è opera di colui che è di grande ingegno, e che ha longo tempo rivolto li libri delli dotti huomeni. Donque, se io colle tue ragioni ti conducerò a consentire a quello de cui hora te ne meni beffe, che farai poi?
APISTIO
Che farò? Vi metterò le mani.
FRONIMO
Penso che anchora vi metterai i piedi.
APISTIO
Ma non già nelli ceppi.
FRONIMO
Deh, non ho già mai certamente pensato cotesto. Vero è che ben grandemente desidero tu intendi questo, acciò ne venghi nella mia oppenione: colli piedi e colle mani, sì come dire si suole.
APISTIO
Io non rifiuto quello che speri e desideri, se farai quello che tu di’ et prometti.
FRONIMO
A me pare, per il ragionare havemo fatto caminando, che tu sei molto dotto nelli poeti delli gentili, et anchora assai sia ornato de philosophia.
APISTIO
Il mio Fronimo, di questo hora non mi voglio dare il vanto, cioè che ben intenda li poeti, et sia dotto nelli parlari. Conciosia che egli è molto maggiore la cognitione a dovere intendere quelli, per cotal modo che soverchia le forze de colui, lo quale arrogantemente alcuna volta se la voglia attribuire, havendo puoco studiato in essi et havendoli puoca pratica. Il perché egli è grandemente necessario a colui vuole intendere essi poeti e philosophi, di conoscere et intendere non trivialmente e grossamente la lingua Greca e Latina. Et anchor egli è bisogno di havere ben intese li secreti e sentimenti extratti fuori del secretario della philosophia: delli quali sono ornati e ben vestiti li poeti, e maggiormente Homero. De cui ho udito che fu illustrato et addobbato con grandi Conmentarii da Aristotile et anchora dalli altri philosophi della dotta schuola. Anchor ho inteso che se sforzò il Plutarcho, con uno molto grande libro, di attribuire ogni scientia, ogni arte, e finalmente ogni cosa divina et humana, a quello cieco Homero. Il perché io nego essere in me quella cognitione perfetta, sì come tu di’, ma non nego però essermi essercitato alcuna volta per piacere dell’animo mio in leggere quelli, sì come io cercassi la cognitione delle lingue, e così quasi leggermente bevendo qualchi amaestramenti giovevoli alli costumi, et anchora acciò non fussi riputato ignorante fra li amici e compagni, occurendo la occasione. Così, se non ho beuto largamente la philosophia, de cui se dice che è nascosta in detti authori, al manco (si come dire si suole) l’ho toccata e gustata con la sommità delle labra.
FRONIMO
Io credo che tu sia condutto, non dalla arrogantia, né anchor dalla simulatione, ma solamente dalla verità. La quale vertù è collocata da Aristotele nel mezzo fra questi vitii. Imperocché dimostri di non esser ignorante, né anchor tu ti vanti di sapere ogni cosa. E così quelle cose hai detto della notitia e cognitione delli poeti non son discosto dalla verità. Conciosia che Platone et Aristotele sono pieni di testimonii di Homero, di Hesiodo, di Simonide, Pindaro, Euripide, e delli altri poeti. Il perché io dubbito assai, che tu sia molto dotto nella philosophia, de cui pare non molto intendi e dimostri di non sapere. E così ho istimatione che dimostrarai molte cose che sono da te già molto tempo congregate insieme nel fine de’ nostri ragionamenti, le quali dimostri hora di non sapere.
APISTIO
Io te dirò come sono alcune cose che qualche volta ci sono suto donate dalla natura senza veruno studio o siano vertuti, overo altre cose sì come prencipii delle vertude.
FRONIMO
Non per questo sono mancato dalla mia oppenione, ma anzi hai tu posto in me maggiore dubitatione con cotesta tua risposta.
APISTIO
Che hai tu detto?
FRONIMO
Io ho detto, e dico, che ragiono con uno philosopho. Vero è che meglio allhora mi cavarò questa fantasia, pigliando prencipio imperò da quivi, cioè se vuoi promettere di respondere a quelle cose delle quali ho desiderio de interrogarti, per le quali havemo comenciato di parlare.
APISTIO
Io prometto de responderti liberamente. Horsù, addimanda.
FRONIMO
Dimmi, il mio Apistio, hai tu già mai letto in Homero che andasse Ulysse alli Cimerii?
APISTIO
Si. Et anchora ho letto in che modo andò da quella gente, che stava nell’aria caliginosa, cioè che era senza via da potervi entrare i raggi del sole.
FRONIMO
Dimme, s’el te piace, che cosa fece?
APISTIO
Oh, assai cose.
FRONIMO
Non leggiamo quelle parole di esso in greco, le quali hora le dirò in nostro volgare, così: Io fu’ quello che cavai fuora allhora allhora il coltello della coscia e cominciai di cavare con il scarpello una fossa, alla misura di un gomito, indi e quindi, in cerchio; et anchora infundei li libamini, cioè li sacrifiai, colle umbre?
APISTIO
Tu hai molto egreggiamente dechiarato il sentimento e non manco agevolmente isposte le parole.
FRONIMO
Credo habbi letto non una volta, ma sovente, li giuochi di Diana, e li balli colle compagne Nymphe.
APISTIO
Egli è vero, e tu non te inganni a punto.
FRONIMO
Anchor io penso che tu habbi rivolto quelli libri, dove sono scritti li amorosi ragionamenti et lascivi sembianti de Anchise con la impudica Venere, e come fussero generati molti baroni nelli tempi antichi di cotesti fallaci et ingannatori Dei.
APISTIO
Et anchora questo spesse volte ho letto.
FRONIMO
Tu debbi saper come questi malvagi dimonii ingannaveno con meravigliosi modi quelli huomini che erano dediti alle opere rusticali e pastorali, sicome era communamente la vita di quelli li quali furono ritrovati nelli tempi heroici. Così anchora ingannò il demonio Peleo pastore, padre de Anchise, conciosia che esso, sicome disse colui, lassò la gregge delli porci, e l’armento non guarì discosto dalle mura, in una ombrosa valle, sotto la imagine della Thetide dea marina, così istimata dalle genti. Et acciò manco se accorgesse del frodo, gli fu insegnato da uno altro frodulento demonio uno delli capitanii greci, chiamato Proteo, con il quale pigliarebbe Thete madre de Achille, la quale dimostravasi in cento figure. Ma ben vedi e considera un altro frodo con lo quale grandemente ingannò: cioè che non dimostrava di vuolere commettere il stupro, né anche lo adulterio, ma finse di vuolere contrahere il lecito matrimonio. Lo quale con suoi versi egreggiamente cantò Hesiodo, sicome se vede nelle scritture de Greci. Il perché probabilmente dicemo esser da quivi dedutto, cioè dallo essempio di Hesiodo, lo Ephithalamio di Catullo. Il che anchora dimostra il tenore del verso, chiaramente demostrando quella antica facilità; et questo dechiara il continuo e sollecito studio di Catullo in seguitare li Greci, per cotal modo che ispresse le integre elegie di Callimacho, alcuna volta rendendo il sentimento et altre volte isprimendo le parole. Anchora ingannò per cotal via il demonio facilmente Paride, sotto figura di quelle tre Dee. Il quale, sicome scrisse Colutho thebano nel libro della presa di Helena, non solamente pasceva le pecorelle del suo padre, ma anchor li tori, e per tal modo se vestiva delle vestimente che pareva un rozzo pastore et ignorante bifolco. Le quali cose, ampiamente con sue scritture quello le recita. In questo modo fece invisibile il demonio quello Lidio pastore regale, con la inversa pala dell’anello, cioè con quella parte giace sotto la gemma e pretiosa pietra, ma rivolta, con la quale stuprò e commesse il peccato con la Reina. Il perché pigliavono li demonii varie e diverse figure alcuna volta delle Dee, che erano volgate, altre volte se formaveno in effigia delle terrestre Nymphe, e sovente rapresentaveno le figure delle Dee marine. E perché era creduto che se nascondessino con il suo ingegno sotto le unde dell’acqua, acciò puotessino esser vedute et più fortemente abbruggiare li cuori delli miseri e ciechi huomeni, stavano appo delli profondi luoghi dell’acqua dove di continuo per il rivoltare di quella, ivi si ritrova la candida spuma, et ivi pareva fussero appo delle nodrici, dove erano nudrigate da quelle. Anchora apparevano colle imagini finte di nuvoli, sì come favolescamente raccontano apparesse Giunone ad Issione, de cui fingono nascessi il supposititio Centauro. Così fingono di costui, cioè che Issione per pietà di Giove fussi trasferito ne cieli, e fussi fatto secretario di quello, et per questo ufficio, havessi ardire di tentare Giunone del stupro, la quale lamentandosi con Giove, vi mandò ad Issione una nuvola a similitudine di Giunone, con la quale giacendo Issione e credendosi di pigliare amorosi piaceri con Giunone ne ebbe li Centauri. Altri demonii apparecchiaveno prestigii, cioè false demostrationi, illusioni, et incantationi, colle quali ingannavano le genti e popoli, et inescaveno con doppia frode il rozzo volgo et anchora li dotti huomeni. E così non lassava veruno colore et imagine della divinità (la quale con diverse menzogne e bugie si sforciava di usurparla, et a sé attribuirla) con la quale non costringesse il rozzo et ignorante secolo a farsi adorare, et anchora le tirava con la lascivia. Conciosia che egli è certo, che anchora egli vergognasse Diana, la quale fingeva di amare la verginità, acciò forsi tirassi a sé quelli haveano in odio la sozza libidine: il de cui gioco havemo scoperto, in disprecio del demonio. E così sotto il nome della Luna (la quale senza verun dubbio chiamavessi Diana) raccontaveno fussi svergognata da Endimione; e da Hippolyto, sicome dimostra Firmiano, sotto il nome di Diana, il quale pensava pertenese a quel luogo e il nome di Virbio, cioè di due volte huomo, e la segge molto diligentemente cercata, dove se dovesse ponere, e le mani medichevoli di Esculapio che porsino agiuto alle piaghe, debbonsi credere fussero tutte quelle cose favole et illusioni delli demonii, e pur se vi fusse qualche cosa che paresse in vero fussi stata, il tutto se debbe pensare essere fatto per arte magica del demonio. Vero è che Esculapio al fine fu poi premiato con la mercede e premio delli incantadori, che è la miserabile morte. Conciosia che egli è narrato da tutti li antichi authori, qualmente fu occiso dal fulguro, benché siano varie oppenioni, per quale cagione e per quale sacrilegio fussi così crudelmente occiso.
APISTIO
Dice Vergilio che così fussi occiso, perché resuscitò Hippolyto dalla morte. Non sai tu, che vuolendo Hippolyto fugire davanti da Theseo suo padre infuriato, lo quale cercava de ucciderlo sendoli falsamente accusato dalla madregna Phedra, et sendo salito sovra della carretta, e spaventati li cavalli per li mostri marini, sicome narra Seneca, cadendo fuori del carro per lo impito, e stracciato e morto, sendo ito nell’inferno, fu resuscitato e sanato da Esculapio? Vero è che dice Plinio, che così fussi percosso dal fulgure Esculapio per cagione di Castore e di Poluce, figliuoli di Tindare re di Oebalia.
FRONIMO
In altro modo scrissero Panaiaso, Poliantho, Phylarcho e Thelesarcho. Anchor altri dicono per altre cagioni fusse occiso dal celestiale fulgure Esculapio.
APISTIO
Deh, non ti sia grave di ramentare il tutto, imperò s’el ti piace, e tu ti ricordi.
FRONIMO
Io son contento. Furono alcuni, li quali scrissero che così spaventevolmente fusse ucciso perché resuscitò Tyndaro, e non li figliuoli. Vero è che Staphylo dice non fussi resuscitato veruno da Esculapio, ma ben è vero che fu sanato Hippolyto che fugiva da Troezene, e così per quella causa fussi percosso e morto dal fulgure. Ma Polyantho scrive che così fussi ucciso, perché liberò li figlioli di Preto dalla sciochezza. E vuole Philarcho esserli ciò intervenuto perché agiutò li figlioli di Phineo. Ma fra quelli che hanno voluto resuscitasse i morti, alcuni di loro dicono che resuscitò molti di quelli che furono uccisi nella battaglia e guerra di Troia. Et altri scriveno che resuscitasse de quelli che mancarono nella guerra de Thebani. Egli è ben vero che non ci manca Telesarcho, che dice come fusse in tal modo percosso perché si sforzava di rivocare alla vita Orione, non lo resuscitò imperò. Anchor egli è molto manifesto quello che scrive Tertulliano, cioè che fussi arso dal cielo Esculapio perché biasimevolmente havea essercitato la medicina. E così ritroviamo molto maggior varietà nella narratione di cotesta cosa che nella morte di Romolo. Ma egli è ben vero, che ciascuno di loro è stato referito e computato fra gli Dei, benché costui fusse uno ladrone e quell’altro un mago et incantatore. Vero è che molto più mi maraveglio di quello de cui hora voglio raccontare: cioè che non ben pensassi li fatti suoi quel grande huomo, il quale era sostentato e tenuto con tante ispese da un certo gran prencipe ne giorni de nostri avoli, che se ubrigava di far vedere la guerra et anchor la battaglia de Ilio e di Troia e tutti li modi del combatter ivi se fece. E così, designando il cerchio, acciò demostrasi dovi andarono e combatterono Thelamonte e Peleo figlioli di Eaco, e dove Olysse, colli altri Troiani, fu portato dal demonio, e già più non comparse in verun luogo.
APISTIO
Tu racconti meravigliose cose.
FRONIMO
Sono certamente maravigliose, et anchor vere. Dipoi quello prence mandò in diversi e vari luoghi e paesi, et anchora per insino nella Germania, et anchora diroe questo: et dove non mandò per cercare quel huomo? Hor sendo pericolato costui, venne in cotesto nostro eccellente castello uno delli suoi discepoli, che lassò li vestigii delle sue malgradevoli e diabolice opere per infino alli nostri giorni. Conciosia che designava la imagine di quello che havea fatto il furto, e dimostravela a colui a cui erano stato robbate le sue robbe, nella inchestara di acqua, osia nella amola, con certi sacrilegii e superstitioni, et ivi le faceva vedere la figura, i vestimenti, con tutti i modi erano suto servati in robbare quella cosa. Io conobbi uno da lui manifestato, il quale havea robbato le amolette, cioè alcuni remedii contro li veneficii e contro de altri mali, et occultamente l’havea portato a casa e secretamente serrati nel cophino, non lo sapendo veruna persona. E mi ricordo del tempo nel quale lasciò dette soperstitioni e rinegò l’arte magica. Se caminassimo insieme diece giorni, pare a me, non sarebbono bastevoli da isprimere e ramentare quelle cose le quali ho osservato e notato delle manifeste insidie del demonio, né ancho serebbono sufficienti di puotere narrare li modi che osserva ello per ingannare l’huomo. Il perché meritamente è chiamato Satanasso. Conciosia che sempre fu, è, et sarà nemico dell’humana generatione, così in tutte le altre cose, come in questa, de cui hoggi havemo determinato di ragionare. Quanto al modo che dimostra di pigliare carnali piaceri, io te dico che quello lo vuole negare (sì come contrario a tanti dotti e savii huomeni, li quai dicono haverlo conosciuto da quelli che l’hanno isprimentato, et animosamente testificano di haverlo udito) è riputato stolto e pazzo da santo Agostino: il quale scrive con testimonii di continua fama, nel quintodecimo libro della Città di Dio, qualmente sono stato ritrovati sovente delli Selvani e perversi Fauni fastidiosi alle donne, chiamati dal volgo Incubbi, cioè che che se sforciano di conmettere la sozza libidine insieme colle donne, et che sono ritrovati di quelli che hanno havuto il suo desiderio, pigliandone amorosi piaceri con esse. Et anchor dice che sono alcuni altri demonii, chiamati da Galli Dusii, li quali di continuo con grande importunità tentano le donne per havere lascivi piaceri, e sovente ne deveneno al contento delli loro bramati desiderii, e cotesti da noi sono detti Folleti.
APISTIO
Ti priego, seguita pur oltra.
FRONIMO
Hor quanto pertenne al viaggio fanno per aria, credo che anchor habbia udito (ecceto se tu non l’haverai letto) come ne venne Abbare nella Italia, sovra di una volante saeta, da Pythagora, per insino dallo hyperboreo tempio di Phebo.
APISTIO
Ne anche questo è da me nascosto, conciosia che l’ho ritrovato scritto da un certo philosopho platonico.
FRONIMO
Se ben tu ti ramentarai queste cose, facilmente crederai le altri. Il perché tu debbi sapere qualmente comenciasse tutta quella Necyomantia di Olysse, dal cerchio, cioè quella arte di divinare mediante li corpi morti. E così facilmente puo’ conoscere non essere cosa nuova questi figmenti e fittioni di fare li cerchi, ma anzi sono antichi prestigii e false delusioni, le quali anchora hanno cercato di seguitare li poeti latini. Conciosia che se finga Scipione cavare con il ferro la cavata terra, e tutte quelle altre cose che seguitano, ad essempio di Olysse. Quanto alli ragionamenti colle ombre o siano colli spiriti, io te dico che sono molto più antichi che fussero ritrovati da Homero. Il che facilmente quelli il posson sapere, li quali conoscono fussero ritrovati li versi di Orpheo per questa cagione, e conoscono come Homero ha seguitato quello non solamente in nominare Tyresia, ma anchora ha imparato essi nomi con gran sollecitudine, e con non menore osservatione. Il perché scrive Giustino martyre come furon composti e scritti li primi versi della Iliade, ad essempio delli primi versi di Orpheo, li quali erano intitulati di Cerere. E così con varii riti, costumi, et osservationi ogniuno desiderava e cercava di haver compagnia, familiarità, e ragionamenti colli morti, per cotal modo, che dipoi era detto come quelli scendevano giù nell’inferno. Il che narrasi intervenessi a Pythagora poi, longo tempo dopo Orpheo et Homero, e dicesi come vedesse ivi nello inferno l’anima di Hesiodo e di Homero, che eran tormentate per quelle cose haveano scritto delli Dei. E per questo se dice che fu grandemente honorato e reverito dalli Crotoniati, et anchora molto più perché raccontò di havere veduto esservi gravemente cruciati e martoriati quelli, che refiutaveno di pigliare amorosi piaceri colle sue dolci mogliere. Ma quanto a trapassare per il spazio dell’aria, io non so in che cosa dubiti, overo perché tu ti maravegli. Conciosia che, a me pare, non importa se bene misuri le penne delli venti con una saeta, o con uno scanno, overo con una cavra. Non se dice in qual modo fussi portato Pythagora o Empedocle, né in su uno carro da due rote, o da quatro, o da uno alato Pegasso, o da dragoni, o da olori, acciò seguitasse Venere, o Medea, overo fussi condotto con dui serpenti sotto il giovo, come conducevano Circe, o colli lioni a modo di Cybele, o colli lynci, ad essempio di Baccho, overo fussi trasportato in alto sovra Europe e la terra Asida secondo la consuetudine di Triptolemeo, accioché quello fussi portato lavoratore delle frutta e questo coltore della philosophia, ma in vero furono amenduoi ingannati da Pallade, cioè dalla astutia e malitia del demonio.
APISTIO
Et io mi ricordo di havere udito narrare, se non me inganno, di Simone mago, il quale ebbe ardimento di vuolere andare per aria, imperò in sua malhora. Conciosia che, desiderando di vuoler salire sovra l’aria e fingendo di vuolere ascendere nell’alto cielo, e così sendo già portato molto in alto dalli demonii, per comandamento di Santo Pietro apostolo fu lassato venire con tanta freta giù in terra da detti malegni spiriti, che rompendosi tutte l’ossa fu spente della vita.
FRONIMO
E forsi anche hai udito di non so che Ethiopi, li quali haveano in usanza di impore il freno e la briglia alli dragoni, e dipoi, seggendo sovra della loro schina, venevano in Europa. Così se dice esser narrato da Ruggeri Bacchone. Ma pur creda quello vi pare il prudente e dotto lettore di questa cosa, acciò tu non pensi voglia ramentare li voli di Dedalo, li quali, se non sono semplice menzogne, sono al manco creduti come frodi et inganni del demonio, et anchora io tacio in che modo sparve Apollonio Tyaneo, dalla presentia di Domitiano Cesare. Oltro di ciò, se tu confessi fossero appo delli antichi li spiriti incubi e succubi, cioè che si dimostraveno in forma e figura di maschi e di femine, donando amorosi e lascivi piaceri in modo di ciascuno sesso alli miseri mortali, per quale cagione non vòi credere, che siano anchora simili spiriti ne’ nostri tempi? conciosia che cotesto se conferma con tali e tanti testimonii li quali io gli rammentarò, sel ti piacerà. Quanto all’unguento, io credo lo sappi, perché diffusamente ne ha scritto il syro Luciano e l’africano Apulegio, uno in greco e l’altro in latino. E così se ha queste cose iscritte da lui. Dunque che vuole dire così quello cophinetto e quelle tante busselette e quello olio di quella donna, de cui ne è fatto puoca istima nella sua conversatione? Dipoi esso medeme authore le dichiara, dicendo: incontanente fu unta dell’unguento, fu fatta agevole da volare. E dipoi soggionge: doppo puoco spatio di tempo, non doventò altro che uno corvo da notte. E così pareva a quelli, li quali guardaveno, overo fingevano di guardare, fussi divenuto un corvo di notte. Io non mai crederei, che veruno se potesse trasformare di una specie di creatura in una altra, o sia per virtù de alcuno unguento overo per incanto magico. Nondimeno vuolevano quelle streghe esser vedute ungersi con certi unguenti, acciò apparesse a sé overo alli altri che fussero trasfigurate e converse in una altra figura, dissimile dalla prima. E benché cotesto huomo dotto fingesse di essere trasmutato, non perhò dice fussi converso in uno uccello, benché havesse usato quella medeme medicina. Ma bugiardamente narra fussi tramutato in uno asino. Anchor dice che ebbe gran cordoglio quella femina, dubitando, per lo errore havea fatto in pigliare la bussoletta, che fussi cangiato Luciano in uno asino. Il perché dimostroe non essere varia la essentia della cosa, ma sì la imagine. Et ello con questo chiaramente il confermò e confessò, che sendo divenuto asino havea retenuto la mente e l’intelletto di Lucio. Et anchora non è da istimare che gli venisse in fantasia tale sonnio, cioè di trasmutare la forma, se non fussi suta chiara fama come coteste cose erano molto in usanza appo di quelle donne di Thessalia, e come elle molto se delettaveno et essercitaveno in esse. Non lo confermò anchora questo, quello platonico Apulegio, che poi lo seguitò? fingendo di essere prima ito in Thessalia, avanti fingesse di esser vestito di una nuova forma, sendo privo della prima? Se dritamente io referisco le parole di quello così dice: piglia anchora un puoco più dell’unguento e fatte etc. Et assai altre cose scrisse, nelle quali pare con tutti i modi quasi habbia voluto seguitare il Samosateno: conciosia che ha fatto mentione dello Thessalico mormorio, dell’olio trasformava di una forma nell’altra, e delli remedii delle rose contro di quelli incanti, li quali facevano ritornare l’huomo alla prima figura.
APISTIO
Per qual cagione credi tu sia fatto mentione di quelle medicine di rose, le quali erano in agiutorio, e contra quelli incanti e frodi magice?
FRONIMO
Se gli e pur cosa vera e giovevole in queste medicine, penso sia preso da Aristotele. Nelle opere de cui ho letto, che è riposto fra le meravigliose cose come è consuetudine che muoiono facilmente li asini per lo odore delle rose. Il che sapendo Luciano e Lucio finseno di mancare dalla forma dell’asino de cui prima haveano finto esserne figurati. Overo forse egli è quivi nascosta un’altra cosa magica. Egli è da sapere come già grandemente erano infamate le donne di Thessalia e di Thressa, che facessino delli veneficii, e dell’incanti, et anchora era detto che fussi condutta la luna e menata secondo le piaceva colli versi da quelle, e chiamate le fisse stelle del cielo, il che anchora era costume delli Sabini, sicome scrive Oratio, et oltro di ciò dicevasi fussero inspirate da Baccho, et erano chiamate Mimallone, cioè seguaci di Baccho, portando le corna si come faceva ello, et anchora erano dette Adonide e furiavano colle complicate serpe fra li thyrsi con illusioni magice et incanti e prestigii. Et erano tenute in tanto honore e veneratione, che vuolsi intrare nella compagnia di quelle la reina Olympia madre del grande Alessandro. Io istimo forse che quelle cose paiono bugie, puotrebbeno haver preso prencipio da qualche similitudine e colore del vero. Pare anchor cosa più probabile che havessono qualche accrescimento da detti prodigii e meravigliose opere de’ demonii, non senza qualche vero fondamento della vera historia colorato et adombrato con molte vanitati e fittioni, che dalli sonnii: siccome è scritto da Synesio, il quale vuoleva havessono havuto le favole ante ditte, e così li altri, da essi sonnii. E certamente non sarebbe stato alcuno tanto brammoso di volgare e manifestare quelle cose che fussero havute e vedute ne sonnii, sicome vedute fuori del sonnio, colle quali fussero tanto tirati e sforzati l’huomini di meravigliarsi. O quanto sono li veneficii, maleficii, et incantationi ramentate, iscritte, e narrate così dalli Greci, come dalli Latini. Per ciò da Vergilio è detto di quella antistite e sacerdotessa della stirpe de’ Massilli, la quale prometteva di sciore le menti delli huomeni colli versi, cioè di farli fare si come le piaceva, et di fare fermare l’acqua ne’ fiumi, di fare ritornare a dietro li pianeti, e di chiamare, et fare venire a sé le notturne Mani, cioè li spiriti della notte. Anchora per questo se narrano le medicine et incanti di Circe, di Medea, di Canidia, e quelle altre generationi di veleni le quali conducono l’huomeni al pazzesco amore, chiamate da Theocrito siciliano philtre di Simetha, e così da lui scritte, lo quale seguitò Marone ne’ suoi versi. Può esser che doviamo pensare che siano tutte queste cose finte, senza verun fondamento? Vero è che mi ramento d’haver letto nel Plutarcho quella favola, con grande ingenio e sagacità ritrovata, di Aganice di Thessalia, la quale narra come conduceva a sua voglia la luna. Ma così era la verità, che quella, conoscendo la cagione che la luna hora era ritonda, hora cornuta, et hora più non se vedeva per la interpositione della ombra della terra fra essa et il Sole, con finte parole e con assai persuasioni, dava ad intendere alle donne di Thessalia, le quali non intendevano simile cosa, come le conduceva in quel tempo la luna in terra sicome le piaceva. E così dicono havessero principio l’altri favole da simili finte opere, overo da grande astutia e saggacità. Il perché fu uno greco chiamato Palephato, se ben mi ricordo, il quale se sforzò di dimostrare con grande ingegno in che modo havessono la maggiore parte delle favole fermo fondamento dalla historia, et anchora sforzosi di dimostrare come di poi fussero suto sovente ampiate in maggiore cose esse favole fondate sovra di essa verità dalla falsa fama del rozzo vuolgo. E così credo io scrivesse Vergilio quel verso:
La dotta carta teste è di Palephato.
Veramente egli è molto chiaro qualmente o che l’huomeni erano tramutati colli incanti e veneficii in diverse figure, sia come bugiardamente et anchora scioccamente parlaveno alcuni, overo che apparevono così. Il perché pare non se ne possi negare senza qualche stoltitia che almanco quelli non paressono a se o ad altri essere simile cosa. Non ti raccordi di quello che tanto chiaramente se dice delle figliuole di Preto? cioè che impirno con falsi mugiti e voci di animali li campi? et haver havuto paura dello aratro, et anchora haver cerco le corna nella leggiere fronte? Così è narrata cotesta favola: come furono tre figliuole di Preto, le quali, sendo già nel fiore della gioventù e conoscendole esser bellissime, intrando nel Tempio di Giunone, spreggiarno la Dea Giunone, riputandosi esser più belle di quella: per il che adirata la Dea vi misse tale follia in esse, che le pareva fussero divenute in forma di vacche, il perché havendo paura di portare e conducere lo aratro, fuggirono nelle selve. Così narra Vergilio, con il testimonio di Homero, ma Ovidio dice in altro modo, cioè che così divennene nel furore e pazzia, che gli pareva di esser doventate vacche, nella Isola di Chea, perché haveano consentito a quelli haveano furato alcuni animali dell’armento di Hercole. Le quali, dipoi, furono redutte a sé, et vi fu illuminata la fantasia da Melampo, sicome fu Lucio con la rosa, ma dicono alcuni altri, che furono sanate, e ritornate alla prima figura da Esculapio; sia come si voglia, così egli è narrato variamente. Vero è o che intrassino in simili furie e pazzie, o fussi per ira, o per opera del Demonio, overo per qualche corporale infirmità, ritrovò l’antichità a quelle giovevoli e diversi rimedii. Ma tu debbe sapere come hebbero li Demonii varii e diversi modi, et anchora continui, de ingannare li huomeni, in quelli tempi, nelli quali tenevano lo imperio quasi di tutto il mondo, e non solamente per li sacerdoti, et antistiti delli Tempii, e per li oracoli e resposte delli idoli et imagini, ma anchora ingannaveno per mezzo de alcune donniciuole inspirate dal falso Pithia et fraudolente Apolline. E così per cotesti modi conducevano gli huomeni a stare stupefatti e maravegliosi delle loro operationi et inviluppavono quelli nelle precipitanti rovine delle sceleritade, sotto colore della sagrata religione. E perciò pigliavono varie forme e diverse figure. Così se può vedere e considerare Protheo figliuolo dell’Oceano appo de quasi tutti i poeti, lo quale se demostrò in forma di varii simulacri e figure, sicome dice Vergilio con lo testimonio di Homero, cioè che subito fu fatto horrendo porco e furiosa Tigre, squammoso dragone, et una lionessa con la fulvante e gialda cervice, e molte altre cose ramentano a lui, che lasso per brevità. Dimostra anchora Philostrato con alquanti dialoggi, qualmente appareveno quelli eccellenti Baroni, che furono occisi ad Ilio, al Vinitore. Così anche si ramenta in che modo apparesse ad Apollonio Tianeo una fantasma overo apparente figura della Empusa, cioè di una certa generatione di Larve, o sia spaventevole imagine avvotata a Diana, che vano, sicome se finge, con uno piede, e convertonse in varie figure, et alcuna volta, incontinente che si sono rappresentate, spareno e più non se vedono. Anchora dicesi come havesse conversatione una Larva, o sia Lamia, sotto colore di honorevole matrimonio, con Menippo Cinico, ma non già con quello, il quale seguitò Varrone nelle Satire. Conciosia che quello Licio è molto più antico di cotesto altro Menippo. Benché so che tu intendi quello significa Larva, pur anche io il voglio ramentare per parere di saperlo, et anchora per ramentarlo, se così hora hora non te occorresi. Sono Larve nuocevoli ombre dello inferno, overo ispaventevole scontro della notte, e le Lamie erano chiamate alcune imagini e spiriti molti brammosi de lascivi amori e sozzi piaceri, et anche grandemente desideraveno di mangiare l’humana carne. Vedi mo che favole erano coteste. Pur dimmi Apistio mio, non paiono a te coteste cose che havemo narrato disopra molto simili a quelle delli quali longamente dicesi delle malvagie streghe della nostra etade?
APISTIO
In verità a me paiono quasi simili. Il perché hora occorrono a me quelle parole dell’antica favola, cioè Larva, Lamia, et incubi con quello verso di Ausonio:
Nota è la strega in cune de fanciulli
con quella donnesca sceleragine".
FRONIMO
Hor più oltre, ramentiamo pur dell’altre cose, acciò se possa donare egual giudicio e giusto, senza punto di menzogna. Credo che tu sappi qualmente sono scritti infiniti versi delli veneficii et incanti, delli liquori e bevande, delli pharmaci e medicine, et anchor sono cantate favolesche voci, e le nenie marsice, cioè le favole de’ Marsi. Ma tu debbe sapere come sono iscritte e cantate con una certa metaphora e similitudine quelle cose che così se leggono, cioè che l’huomeni, li quali remigaveno, grunisceno colli porci per le donnesche lusinghe, e che bruggiasse Hercole sendo unto con il sangue di Nesa, e che fussero instillati li amori colli veleni di Colcho, conciosia che chiaramente se conosce fussero significate e manifestate le scelerate compagnie e prophani modi della sozza e nefanda libidine, coll’antidette osservationi e canti. Vero è che voglio tu intenda, come non erano imperò detti incanti né anchora dette representationi sofficienti di spaventare veruno, ma solamente pigliaveno e paventaveno quelli che vuolevano. Il perché narra Homero qualmente Olisse assaltò Circe incantatrice, non con il dolce baso, ma sì con l’aguto coltello. Il quale, così come non fu preso dal cieco amore, così anchor non fu inviluppato dalli incantamenti. Li quali non nuoceno senza malegna sottilità delli demonii. Legano quelli che vuoleno; et accioché vuoleno usano varie arti e diversi modi. Pigliano il rozzo volgo con la sozza libidine, e colli dilettevoli et lascivi piaceri, e tirano a sé quelli che sono dediti alla vita civile colle ricchezze e con la dovitia, e pur anchor altri ne conducono a suoi voti, benché puochi, con le promissioni e con la esca della gloria e dell’honori, cioè quelli che se sono dati alli studii della philosophia. Ma quanto pertene alli conviti, attendi ben: se dirò, come quelli in parte sono veri et in parte imaginationi et illusioni, non però sarò discosto né disconvenevole dalli antichi scrittori. Conciosia che ritroviamo iscritto da Herodoto della Mensa del Sole, e da Solino essere istimata quella una cosa divina. Così ritroviamo nella Vita di Apollonio Tianeo, il convito della sposa di quello, la quale era riputata una dell’antidette Lamie o delle Larve o delle Lemure, e leggiamo ivi, come sparbino li vasi parevano di oro e di ariento che erano su la mensa. Et in cotal modo apparevano i demonii all’huomeni sotto varie imagini e figure, chiamate da Philostrato Empuse, e Lamie, e Mormolichie, o siano Larve. Già puoco avanti havemo dechiarato che cosa siano cotesti spiriti et ombre. Ma quanto alle Lamie, ritroviamo in Esaia propheta il luogo delle Lamie, dove fa mentione del scontro delli demonii sucubi, cioè de quelli che se dimostrano all’huomeni in figura di femmine e così dano lascivi piaceri alli maschi, et istimano costoro che siano le Lamie di humana effigia dal mezzo in sù, e dal mezzo in giù dicono come rapresentano una certa bestiale figura. Alcuni Hebrei altrimenti scriveno, dicendo come se intende per le Lamie alcune ombre e spiriti furiosi, benché sia fatta mentione nelli Treni di Geremia propheta delle mamme, overo pope, della Lamia. Ma altri istimano sia derivato cotesto nome dal laniare e spaccare, et alquanti dalla lama, che vuol dire voragine, o ispaventevole profondità. E de quindi credono sia derivato quel detto di Horatio:
Ne traggi il fanciul vivo de pasciuta
Lamia, del ventre.
Anchor narrasi fussero già condutti nel spettacolo da Probo Cesare molte Lamie. In qual modo e figura fussi quella che ingannò Menippo, non si può facilmente così da altro luogo conoscere quanto da Philostrato. Il quale narra come fu ingannato esso Cinico da quella Lamia, quando ella fingeva di pigliarlo per marito e di pigliare amorosi piaceri con quello. Parimente io istimo fussi uccellato e schernito Apollonio, quando era pregato da quella non se incrodelisse nelli tormenti. Così era ingannato, perché istimava essere le Lamie molto facile a dovere amare l’huomeni, e dipoi pensava che grandemente brammassino di havere amorosi piaceri con essi, e non manco dipoi credeva che mangiassino le carni humane. Ma, il mio Apistio, io te chiarisco qualmente non sono tirati i demonii dalle brammose voglie de amorosi piaceri, né condutti da desiderii libidinosi, ma sono condutti dalla malgradevole invidia a dimostrare coteste cose, acciò rovinino e mandano nel precipitio delli peccati l’humana generatione, et al fine la conducano nella infernale dannatione, dove essi sono confinati in perpetuo. Et acciò ben intendi, infiammano cotesti scelerati spiriti li miseri mortali, cioè quelli imperò che si lassino ingannare, con una certa fiamma occolta, ma non sono essi infiammati da quelli, il ché intese il poeta Vergilio quando disse: Inspira in essi uno occolto fuogo. Conciosia che mi arricordo che fu narrato dalla strega, che quando se appresentava il demonio alli sentimenti suoi in diverse e varie forme, havea in usanza di conoscerlo e di discernerlo dalli veri animali delli quali ello havea pigliato la forma, in questo modo: le pareva che vi intrasse nel petto un certo calore et una certa fiamma, per la quale era certificata come quello era il demonio. Anchora narrava qualmente era apparechiata alla spreveduta una fiamma di fuoco, sicome le pareva, nel giuoco dove convenivano tutti avanti la Donna, o sia avanti del Demonio che se presenta in forma di ornatissima Reina, con la quale fiamma diceva che incontinente se coccevano le carni se magnono, sendole mostrate ad essa fiamma. Non brammano li demonii il sangue humano, né anchor desiderano le carni per mangiare, ma il tutto operano e procacciano acciò conduchino l’anime e corpi delli miseri mortali nelli sempiterni tormenti. La qual cosa io so che egreggiamente intenderai, quando udirai parlare Dicasto. Il quale, se ben vedo e non me inganna l’occhio per il longo spatio, a me pare già sia alle mani, a combattere con la strega.
APISTIO
Ben ben, Fronimo. Tu me hai giunto. Benché a me paresse di disputare con uno degno e nobile cavaliere, perché io te vedo vestito con quelle civili et egreggie vestimente e cinto di una molto ornata spata, ma non credevo già di disputare con uno che intendesse tanto eccellentemente li nascosti sentimenti delli poeti, historici, philosophi, et anchora delli christiani theologi. Il perché, conoscendo io la tua sufficientia, ti priego vogli tu per tal modo adaptare in cotesta parte che ci resta del viaggio, che puossi seguitare il già comenciato ragionamento; et anchor puossi dimostrare dell’altre cose, con il secondo ditto, sicome già hai fatto quelle prime con il primo, sicome se suole dire: cioè con tanta facondia, sottilità, e dechiaratione che possono intrare in me ben digeste e dechiarate, sicome l’havesse io ben poi mastigate. Hor non perdiamo tempo, ma te priego seguita, la già comenciata disputatione.
FRONIMO
Sarebbe bisogno di molto più dotto di me, et anchor sarebbe necessario di non puoco e breve viaggio, ma di longo riposo in dovere satisfare alle tue humanissime petitioni. Nondimeno pur mi sforzarò di satisfare a te quanto potrò. Certamente sarebbe vile e privo di ogni civilità, se io non essaudisse le gratiose et anchor honeste addimande di colui de cui ho già conosciuto per le sue resposte che grandemente desidera e bramma de intendere la verità. Dunque seguirò la già comenciata disputatione, e ramentarò quelle cose paiono siano accomodate a quello avanti dicevamo, quanto imperò ci concederà il breve spatio del viaggio. Già havemo detto molte cose et hora voglio rispondere a quello tu dicesti, cioè che pare non se accozzano le streghe insieme nel narrare le cose fatte ad esse dal demonio e pare non se convieneno in referire quelle cose del loro scelerato giuoco, ma che una dice in un modo e l’altra in altro modo. Io ti rispondo che cotesto può intervenire o dalla paura o da mancamenti di memoria: perché communamente sono grosse de ingegno e contadine della villa. Anchor se può cagionare et incolpare la malitia del demonio, il qual inganna, ma non tutto in un medemo modo. E questo facilmente se può conoscere nell’antichi prestigii et illusioni. Conciosia che egli è altra generatione de incantationi nello Eussino, altra nella regione taurica, et altra maniera nella Italia. E se ben considerarai, conoscerai non esser simile totalmente quella Pharmaceutria di Theocrito a quella de cui parla Vergilio, cioè non è simile l’arte de veneficii et incantamenti una con altra. Anchor pare intervenisse il simile nelli oracoli e responsioni. Perché altre erano le resposte date per le femine inspirate dalli malegni demonii, et altre erano quelle havute per le aperture e voragini della terra, et altre anchora quelle che erano pigliate dall’huomeni per li sonnii nelli tempii. Il perché alcuni dormivano nel tempio di Pasiphea, e li medici calabresi anchora essi haveano consuetudine, con li Dauni, di riposarsi appo del sepolcro di Podalirio, il quale Podalirio fu figliuolo di Esculapio, e fu eccellente medico. Anchora è manifesto come solevano giacere assai persone nel tempio di Esculapio. Il che non solamente fu osservato nelli tempi heroici, ma anchora per insino alla età di Antonino, de cui racconta Herodiano che andò a Pergamo per l’antidetta cagione. Anchora leggiamo qualmente havevano consuetudine li oracoli di dare responsioni per il mezzo di intiere statue, et anchora per mezze statue, e mediante anchora le colombe, o fussero quelle veri augelli, o fussero femine di simile nome non lo so, ma ben so per detti modi revelaveno le cose occolte et annontiaveno quelle doveano venire. Anchora assai auttori narrano come erano fatte simili cose nella India per il mezzo dell’alberi, et in Dodone, sicome raccontò Alessandro Magno. Erano anchora altri, li quali, subitamente intrandoli sopra un certo furore, narraveno maravigliose cose. E così ritrovavonsi cotesti et altri milli modi, e diversi l’uno dall’altro, da revelare li secreti et annonciare le cose da venire. E come erano diverse specie e generationi dell’augurii, e diversi li modi del scelerato rito da manifestare le cose occolte e da annontiare le cose doveano venire, così erano diversi i sacrificii, colli quali sagrificaveno, e anchora diversi i modi di esso scelesto, prophano et essecrando sagrificio. Anchora erano diversi li incantamenti delli antichi, e non manco sono varii nella nostra età, e non manco sono fatti con altri scelerati costumi e modi, che solevano fare quelli antichi Romani. Sono narrate alcune cose dall’antico Catone nelli libri Della agricoltura di tanta sciocchezza, che retrovansi puochi le possono leggere senza gran riso et ischerno. Nondimeno furono imperò iscritte da uno huomo Romano, il quale fu censore e triomphatore. Ma quanto al moto, cioè in che modo siano portate dal demonio, e quanto al luogo dove sono fermate, tu non ti debbi meravegliare. Conciosia che quella cosa che è con il suo ingegno bugiarda, fallace, et ingannatrice, egli è quella sovente de più modi e di varia natura, ma quella che è verace se accosta alla semplicità. E cotesto è facile da vedere in quelle cose che havemo ramentate, e non manco anchora se può conoscere nelli figmenti e favole de poeti, come sono fra se varii et anchor contrarii. Et anche spesse volte questo se ritrova nelle narrate historie: il perché sovente se ritrova una cosa scritta in duoi e tre modi, et anchor qualche volta in più, uno contrario all’altro; e se pur non serano contrarii, al manco seranno diversi e varii. Il simile interviene anche nelle oppenioni de’ philosophi e nelle responsioni delli savii iureconsolti, e dottori delle leggi così pontificali come imperiali, conciosia che se ritrovano varie oppenioni circa una medema cosa. Ma non mai imperò se ritrova questa cosa nelle scritture de’ theologgi, eccetto che in quelle cose le quali sono communi così alli poeti, come alli philosophi. Ma in quelle cose, le quali propriamente pertengono ad essi theologgi, cioè nelli commandamenti de Iddio, e così nell’altre cose che pertengono alla fede catholica et alli costumi, che sono necessarii alla salute nostra, non vi si ritrova veruna dissensione, ma sono da tutti narrati e dechiarati con grande concordia e consonantia, et in uno medesimo modo. Vero è che’l demonio, malegno amico della dissensione, così come è bugiardo et ingannatore, così è vario e versipelle, acciò dica meglio: il quale vocabolo, segondo li studiosi della lingua latina, è cavato fuori da quelle favole delle quali già avanti parlassimo, per il cui inganno dicevansi esser trasmutati l’huomeni nelli lupi. E così come ingannava Pithagora, Empedocle, Apollonio, e l’altri antichi philosophi, di simile generatione, con il colore della dottrina, (il perché usava cotesti laciuoli, e cotesti modi, colli quali facilmente ve li puoteva tenere ligati) e così come anchora già tirava a sé le donneciuole con il mangiare, bevere, imbriagare, e con li lascivi e carnali piaceri, così anche hora tira similmente a sé l’huomiciuoli e donniciuole con simili piaceri, li quai, come chiaramente se vede, furono sprezzati da molti philosophi. Ma quelli philosophi conduceva con molti modi a farsi adorare, cioè o con il colore della sapientia overo con la superstitione della falsa religione. Conciosia che per havere e’ gradi della cognitione e per ottenere la dottrina, facevano essi orationi e laudevoli hinni alli oracoli overo alli tempii delli falsi Dei. Per le quali cose gli pareva de impetrare la cognitione delle cose che doveano venire, et anchor parevali di ottenire di essere portati per aria in diversi luoghi. E così sendo fatte queste cose con lo agiuto del demonio, quelli lo atribuivano ad una certa cosa divina, che pareva fussi ne’ detti huomeni. In che modo altramente haverebbono possuto vedere li discepoli di Pithagora esso suo precettore disputare hora nel Taurominio di Sicilia, et hora nel Metaponto, in così puoco spatio di tempo? Per quale via sarebbe caminato per aria Empedocle, et anchora in che modo così presto sovra della saeta sarebbe corso Abare, per il ché fu chiamato Atrobate? Colui grandemente se inganna, chi crede che Apollonio conoscesse assai delle cose doveano venire, et che lui comandasse alli demonii et quelli l’ubbidisceno per paura havessero di lui. Fengeva il demonio astuto e malvagio di essere martoriato da lui et anchora di essere sforzato, accioché, sendo quello inescato sotto colore della finta divinità, dipoi più fortemente se accostasse all’altre cose e totalmente rovinasse nelli peccati. Il che facilmente, s’el ti piace, il puotrai conoscere dal fine che seguitava. Sforzosi di fare uccidere primieramente Pithagora nella seditione, e dipoi di farlo tagliare in pezzi. Amazzò Empedocle nel vergognoso letto, lo quale havea condutto a tanta sciocchezza che credeva di havere ottenuto la divinità. Il perché ei diceva alli compagni qualmente se dovevano allegrare, conciosia che non sarebbe più huomo mortale, ma doventarebbe Dio immortale. Imperò cosi scrisse quello in greco, ma io lo voglio ramentare in volgare: remanetivi in pace, conciosia che io sono a voi Dio immortale e non più mortale. O che morisse con questa morte, overo di quella de cui scrisse Democrito Troegenio, quando diceva qualmente ello pendeva, overo se era attaccato, ad uno cornale con uno lacciuolo al collo, egli è da pensare, che’l passassi di cotesta vita per instigatione et per persuasione del demonio. Anchora non si contentoe di quello inganno et illusione, ma anche diceva come già era passata l’anima sua per diversi corpi, con queste parole grece, le quale volgarmente le dirò così: Già io fu una fanciulla, et un fanciullo. E così al fine fu condutto alla morte colle voci delli demonii, e con il spiandore delle fiaccole, sicome racconta Heraclide. Forsi anchora ne condussi Apollonio nel sempiterno supplitio con l’anima insieme con il corpo (la quale morte non pare che sia indegna alli maghi et incantatori) conciosia che variamente egli è narrata la morte di esso: perché sono alcuni che dicono come morì in Epheso, altri scriveno che morì in Creta, et alquanti altri vuoleno mancasse in Rhodo. Vero è che non era in piedi il vodo sepolcro di quello ne’ tempi di Philostrato, benché fussi adorato e reverito per dio da alcuni stolti e pazzi. Il quale scelerato costume, sicome l’altri frodi del demonio, mancò et hebbe fine fra puoco spatio di tempo. Così anchora poi lo avenimento di messer Giesù Christo, vero Imperadore di tutto il mondo, mancarono tutti li oracoli, resposte, e domestici ragionamenti delli idoli et delli falsi Dei: nelli quali era inviluppato e strettamente legato quasi tutto il mondo. E così quello, il quale apertamente e publicamente dava resposte per li oracoli, per li idoli, e per li altri modi, hora scioccamente parla per le oscure caverne, desiderando li lascivi e carnali piaceri, li quali hora sono vergognosi, che allhora alle genti erano gloriosi. Il perché fu scritto quel parlare:
Dignate, Anchisa, del Paphio coniugio.
E non solamente furono quelli lascivi piaceri gloriosi e di grande reputatione ne’ tempi heroici, ma anchor nella età di Alessandro e di Scipione: alli quali fu attribuito cotesta gloria, che erano istimati da molti figlioli di Giove. E questo molto maggiormente è manifesto per le historie che io possa con ogni diligentia raccontare, cioè che era creduto che il demonio che se faceva chiamare Giove in figura di serpente havesse havuto amorosi piaceri con la madre di Scipione, e con Olympia mogliere del re Philippo. Et erano in tanta oscurità di mente che credevono fussi Giove dio. E così in cotesti e simili modi tirava ne’ peccati quelli che erano lascivi, libidinosi, e carnali, meschiandoli imperò anchora qualche colore di superstitione. Anchor così inescava quelli li quali desideraveno e brammaveno la gloria et eccellentia delli honori mondani, li quali sendo fra li mortali et havendo pronontiati le cose da venire per la conversatione e familiarità continua haveano havuto colli demoni, anchora similmente dopo la morte pronosticaveno. Il perché favolescamente narrassi di Orpheo, come sendo vivo fu riputato profeta, et dipoi sendo morto, se dice come dava anchor resposte. E dicesse anchor qualmente, sendoli tagliato il capo dalle donne di Thracia, andò esso capo nel Leibono, et ivi habitò in una spaventevole ruppe, vaticinando e dando responsioni per li spiracoli et aperture della terra. Portaveno anchora in volta li oracoli di Amphiarai e di Amphilocho vati e divinatori, sendo anche egli vivi, et il simile fecero doppo la morte. Il che forsi grandemente desiderò Empedocle, quando vuolsi esser riputato dio immortale. Favolosamente anchor raccontano come essercitaveno la militia e la guerra li reggi dopo la morte, e facevano battaglia, e combattevano, et che andaveno a cacciare li animali e l’uccelli, et cavalcavano, sicome narraveno di Rheso re di Tracia, che cavalcava in Rhodope. Oltra di ciò dicevano, come non solamente se eccitavano et se rappresentaveno le anime de quelli, con l’opra delli cerchii e delli sagrificii ramentati da Homero, ma anchora spontaneamente, e con alcuni patti, in quel modo, sicome scrive Philostrato, se appresentassi Achille al Tianeo et al vinitore Protesilao, coll’altri capitanii fecero battaglia con Priamo. Vero è che la faccia, i volti, i costumi, e li atti, e gesti de quelli, perché sono di altra maniera, e molto diversi, e varii da quelli, che sono iscritti da Homero, e perché sono anchor dissimili da quelli che narrano l’historie di Darete phrigio e di Ditto cretese te insegnano quanto siano li inganni delli demonii, e le bugie, che hanno posto nella cognitione, et anchor ti dimostrano li nocevoli deliramenti e pazzie meschiate colli buoni costumi. Perilché, se il demonio ha uccellato e beffato, et ingannato per questi modi quegli li quali se istimaveno savii e dotti, credendo le cose contrarie e totalmente dalla ragione discoste, quale è la cagione che tanto grandemente tu ti maravegli di udire e di vedere molte cose varie, diverse, sciocche, e pazze, e contrarie l’una dell’altra, nelle streghe de nostri tempi? Ma anzi maggiormente tu ti debbi meravigliare di quella eccellente sapientia e possanza di Christo, la quale talmente ha operato, che quello havea persuaduto il demonio malegno e perverso, inanti lo avenimento di esso, a tanti reggi, oratori, e philosophi delle genti, sicome cosa eccellente e molto meravigliosa e degna d’ogni sapientia, hora a pena il possa persuadere ad alcuni huomiciuoli e donnicciuole, cioè che lo adorano, lo reveriscono, l’honorano, e faciono quelle cose che gli comanda, e così per questo modo tu ti debbe maravegliare, che quello, che già era fatto publicamente in tutto il mondo, et fra tutte le generationi, sicome cosa honorevole e gloriosa, che hora sia fatta nelli piccioli e stretti cantoni da puochi secretamente e con ignominia e vergogna. Ma voglio che tu ben consideri una cosa de divina gloria, fra le altri, cioè che gli è tanto sodo, fermo, e stabile il fondamento della triomphante fede de Christo, che non vuole il demonio perverso e malegno vi vadino alle sue scelerate congregationi e radunamenti, né anchora vuole che conversino con lui le streghe, se prima non renegano la santissima fede di Christo e spreggiano li sagramenti della sagrosanta Romana Chiesa, e conculcano colli piedi la consegrata hostia. E così, in questo modo, comanda quello scelerato nemico de Iddio a chiunque vuole entrare nella sua profana, maledetta, e perfida compagnia, che abbandonino, spreggino et ischerniscano la nostra santissima religione christiana, imperò non si può accozzare né convenire insieme la bugia e falsità con la verità, né le tenebre et oscurità con la luce, né anchor la superstitione con la religione. Io credo, il mio Apistio, che hormai tu ti sia assai certificato e chiarito, così pian pian camminando, di quello de cui havemo conferito e disputato, et anchor di quello del quale mi addomandasti. Deh, per tua fede, vedi, vedi colà la strega, che è a grandi ragionamenti con il dotto Dicasto, nel portico avanti del sagrato tempio.
APISTIO
Dio vi salvi.
DICASTO
Siate e ben venuti. Che cosa ci è di nuovo, il nostro Apistio?
APISTIO
Lo addimandamo a te. Conciosia che Fronimo nostro et io siamo venuti qui, acciò udiamo narrare le cose dell’altro mondo, alla strega, che è avanti di te; imperò s’el ti piace.
STREGA
Heimè, dove son giunta?
DICASTO
Non haver paura. Ma sta pur di buona voglia, e parla senza verun pavento. E non dubitare di me, conciosia che io ti servarò quanto ti ho promesso, cioè che non serai martoriata, se liberamente manifestarai tutte le tue malvagie opere, le quali non possono più esser nascoste, perché già ho li testimonii come tu sei in detto errore e peccato; et anchor tu l’hai confessato, sicome io grandemente desideravo.
STREGA
Deh, heimè. Già l’ho detto. Per quale cagione donque mi tormentati di volerlo anchora un’altra volta hora intendere?
DICASTO
Perché è bisogno di ritornarlo a confessare, non solamente inanti di duoi over di tre testimonii, ma anchora avanti di più, et al fine anche davanti di tutto il popolo, se desideri di schifare la pena tassata dalle leggie a voi che seti di questa maledetta compagnia, per tanti sacrilegii e tante scelerate opere che voi fatte. Vero è che già hai a me promesso di fare tutto quello che ti comandarò; et io te ho promesso, servando tu le promissioni antidette, di non consignarti nelle mani del giudice, il quale incontanente ti farebbe brugiare, così sendoli comandato dalle leggie. Hora non ti comando altro, eccetto che tu ramenti un’altra volta quelle cose che tu hai fatto colli demonii nel giuoco, o sia nel corso, come se dice volgarmente.
STREGA
O maladetto giuoco. O giuoco infelice per me. O mala sorte mia.
DICASTO
Non bisognano hora lagrime, non pianti, né anche gridi.
STREGA
Deh, per quella humanità et gentilezza che in voi se ritrova, priegovi non mi vogliate per hora più darmi fastidio. Ma siati contenti di concedermi un puoco spatio di tempo et un puoco di riposo, tanto che mi ramenti il tutto, e così dipoi vi narrarò ogni cosa che ho fatto.
DICASTO
Piacendovi, gli concederò quello che le piace et addimanda. Conciosia che poi raccontarà il tutto con megliore animo e con più agevole voce, se espettaremo ad intrare nelli ragionamenti per insino a domane. Dove haverò molto a piacere, s’el non vi serà grave, vi ritroviati presenti.
APISTIO
Non parvi grave a quelli huomeni desiderosi di dottrina di partirse de’ suoi paesi, et andar per insino a Gnoso, città di Creta, alla spelunca e tempio di Giove, per udire le leggi vane e di puoco momento di Minosse e di Licurgo, e serà a me dunque fastidio di caminare un miglio, acciò impari quelle cose le quali, se non sono vere, almanco paiono verisimili per la disputatione di Fronimo?
FRONIMO
Hora mi rallegro molto, perché ti vedo tanto istimare, non me, ma la verità, e pur anchora se ben non l’hai certa, tu fai almanco conto della similitudine di essa. Il perché non serà anchor a me grave, di ritornare qui dal nostro castello, per essercitio del corpo.
DICASTO
Così dunque retornareti da noi, et io ve aspettarò con gran disio. Andati dunque in pace. E tu, guardiano della carcere, ritorna cola strega, e tu, strega, pensa ben il tutto, acciò il possi ordinatamente e senza veruna bugia narrare.