Li morti scuperti
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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1834
LI MORTI SCUPERTI
Hoh1 bbe’ vvolevo dì2 che li Curati
Fussino de scervelli accusì storti
Da permette3 l’usanza che li morti
D’or impoi se portassino4 incassati.5
Ggià un cristiano è vvergoggna che sse6 porti
Da quelli facchinacci sfrittellati:7
E ppoi li spojji se8 sò ssempre usati
Pe’ rregalìa da dà a li bbeccamorti.9
Piano: e cquanno c’un morto è in de la cassa,
Com’ha er vivo l’esempio che sse10 more?
Chi lo pò indovinà cquello che ppassa?
Disce: questo è un parlà dda mozzorecchio.11
Sarà; mma ar meno t’arifiati er core
De vede12 er morto s’è ggiovene o vvecchio.
12 giugno 1834
Note
- ↑ Interiezione che viene dall’animo soddisfatto di aver trovato un effetto conforme al suo giudizio.
- ↑ Voleva io ben dire che, ecc.
- ↑ Permettere.
- ↑ Si portassero.
- ↑ Un giusto principio di decenza e di sanità aveva persuasa al Governo l’introduzione dell’uso di mandare alla chiesa i cadaveri incassati. A questo scopo suoleva esso pagare il prezzo della cassa ai poveri. Ma posteriori viste di risparmio, ritirando queste misere largizioni, hanno fatto revocare un divieto troppo pei preti in armonia coi moderni perfezionamenti sociali. E altronde, dove il seppellire i cadaveri fuori della città e in cemeteri è creduto empietà, si può bene mostrare scoperti agli occhi degli uomini questi oggetti funesti e mortificanti.
- ↑ Si.
- ↑ Allorchè il cadavere si porta incassato, non è più a’ confrati è addossata la bara, ma a sozzi becchini inferiori, vestiti di lurido sacco, e con le sinistre facce
- ↑ {nsb|III|387|8}}
- ↑ {nsb|III|387|9}}
- ↑ {nsb|III|387|10}}
- ↑ {nsb|III|387|11}}
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