Giuseppe Gioachino Belli

1845 Indice:Sonetti romaneschi V.djvu sonetti letteratura Li frati (1845) Intestazione 13 dicembre 2022 75% Da definire

«Come va, Geremia?» «Sempre l'istesso» La compassion de le disgrazzie
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1845

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LI FRATI.

     Questo io vorìa sapé da st’arrabbiati,
Ch’ar monno fraterie nun ce ne vònno:
Come farebbe sto povero monno,
Si vvenissi a rrestà senza li frati.

     Chi sse snèrba1 pe’ nnoi? chi pperde er zonno
Pe’ ottenécce er perdon de li peccati?
Chi lo porta er Bambino all’ammalati?2
Chi le smartissce le sarache3 e er tonno?

     So’ cquesti eh, ggiacubbinacci cani,
Li portroni e le mmaschere? So’ cquesti
L’impostori, l’arpie, li maggnapani?

     Tutte bbusciarderie,4 tutti protesti.5
Li frati so’ bbonissimi cristiani,
Tutti servi de Ddio lésciti e onesti.6

29 maggio 1845

Note

  1. [Si dà le nerbate, la disciplina.]
  2. Il miracoloso bambino degli zoccolanti di Ara-coeli. [Che si porta in carrozza, come ultima medicina agli ammalati.]
  3. [Salacche.]
  4. [Bugiarderia.]
  5. Pretesti.
  6. [Lecito e onesto: locuzione comunissima, che s’applica tanto a cose, quanto a persone. Qui, applicata a tutti i frati senza eccezione, dovette far ridere assai chi senti il sonetto quando fu scritto; giacchè era freschissima la memoria dell’orribile fatto di Venafro. V. il sonetto: Er fattarello ecc., 31 magg. 87.]