Giuseppe Gioachino Belli

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La portrona nova La novena de Natale
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1844

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LI CASOTTI1 NOVI

1.

     Er bussolotto novo a Ssant’Ustacchio,
Ch’avete fatto lei, sor archidetto,
Accusì ppoco fonno e accusì stretto
Pe’ Ppasqua-bbefania nun zerve un cacchio.

     Chiuso, abbasta de méttesce un pennacchio,
Perché ppari un giaccò2 dd’uffizzialetto;
E uperto cosa sc’è, ssia mmaledetto?
Otto bbusci da vénnesce l’abbacchio.3

     Disce: “Ma cquelli antichi ereno vecchi!.„
E nun potévio fàlli novi e ggranni?
Vedi che bber parlà da mozzorecchi!

     So’ stati bbene quelli pe’ ttant’anni;
E ppe’ la fernesia de fà vvertecchi,4
Mo vve state a pijjà ttutti st’affanni!

18 dicembre 1844


Note

  1. [“Bottegacce di legno che si elevano in mezzo alla Piazza di Sant’Eustachio, pel tempo natalizio e della Epifania, onde vendervi bamboccioli [pupazzi] da presepi e da trastullo di bambini.„ Così, altrove, lo stesso Belli. Oggi questa specie di fiera, col relativo baccano la notte dell’Epifania, si fa a Piazza Navona.]
  2. [Dagli Usseri ungheresi, che nel sec. XVII passarono al servizio della Francia, fu introdotto in francese il nome del loro cappello: shako; e dal francese poi lo prendemmo noi, sotto le forme di giacò o giaccò, le quali mancano ancora ai vocabolari.]
  3. [Agnello di latte, di cui a Roma si fa gran consumo.]
  4. [Il vertecchio, propriamente, è il “fusaiolo.„]
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LI CASOTTI NOVI

2.

     Fatt’è cche mmartedì, ssor Checco Piave,1
A la porta dell’urtimo casotto
(Che nnun zò ddì pperchè, ffra ttutt’e otto
Era rimasto sfitto e cchius’a cchiave)

     Attaccato de sott’a l’architrave
Sce fu ttrovo ’na spesce de strammotto
Da pagasse coll’ojjo der cazzotto,
E ddisceva accusì: Vvero Concrave.

     A mmé mme pare una cojjoneria.
Cosa sc’entra er Concrave ar paragone
Cór casotto de Pasqua-bbefania?

     Cqua cce so’ li pupazzi, in concrusione,
E llà li Cardinali, in compaggnia
De tant’antre bbravissime perzone.

19 dicembre 1844


Note

  1. [Francesco Maria Piave, il noto librettista. Era amico del Belli, e, ogni volta che passava di notte sotto le sue finestre, per salutarlo e farlo ridere, intonava con una nenia corale, ch’egli stesso vi aveva adattata, quattro versi, scritti da un giumento di Pindo, quando tutta Napoli si univa ai voti di Carlo III di Borbone, che desiderava ardentemente un erede del trono. Il Belli medesimo racconta il fatto in una nota a un sonetto italiano inedito, diretto al Piave nel 1838, e cita i quattro versi, che meritano di non andar perduti:

    Gennaro santo di città Pozzuoli,
    Sparso sangue, martirio in caraffella,
    Noi ti preghiamo con devoto inchiostro,
    Dà un segno-di gravidanza a Sua Maestà Carlo terzo re nostro.]

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