Lettere volgari/Lettera VI
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EPISTOLA
A FRANCESCO
DI MESSER ALESSANDRO DE’ BARDI
MERCATANTE FIORENTINO, DIMORANTE A GAETA
Conciossiacosachè le forze degli uomini, se aiutate non sono talvolta d’alcuno riposo, resistere non possono nè perseverare nelle fatiche continue, alle quali noi medesimi spesse volte più che non ci bisogna miseri sottentriamo, è conceduto per li savii uomini, anzi consigliato, che, interponendo a quelle talvolta alcuno onesto diletto, siccome stanche e vinte le riconfortiamo. E per questo non estimò Socrate, solennissimo e singolare investigatore ne’ giorni suoi delle divine cose e delle umane, essere sconvenevole a lui, la mente cessare dalle considerazioni de’ profondissimi secreti della natura, e con gli suoi piccoli figliuoli cavalcare sopra il cavallo della canna, come essi facevano, per la casa; perocchè quantunque fosse lo esercizio puerile, più singularmente porgeva allo affaticamento lieto riposo. E similmente Cornelio Scipione e Lelio, due singulari lumi del romano splendore, e a’ quali era, all’uno in tutto, ed all’altro in parte, la gloria d’avere con senno e con forza abbattuta la superbia de’ Cartaginesi riserbata, non si vergognarono d’essere su per lo lito di Gaeta veduti ricogliere le piccole pietre e le conche, in terra sospinte dall’onde del mare, e fanciullescamente insieme diportarsi con quelle: essendo essi magnanimi poco avanti levati dalle molte e ponderose occupazioni, intorno all’ordine delle cose opportune al felice stato della repubblica. E così ancora tu, molto giovinetto essendo, siccome sentito abbiamo da molte varie e noiose faccende or quinci e or quindi percosso, ti doverrai ritrarre, se savio sarai, ad alcuno laudevole trastullo, il quale abbia forza di recreare alquanto gli spiriti affaticati. E perocchè forse di questi così lieti riposi, cioè che te allegrino, e non offendano, non se’ costà fornito come ti bisognerebbe, uno picciolo, e nondimeno leggieri, ma pure per una volta atto a potere dare luogo agli amari pensieri, per la presente lettera te ne mandiamo: il quale ne’ termini più atti e convenevoli ti preghiamo con quello animo legghi, che noi per diporto di noi medesimi ti scriviamo.