Lettera 94

../93 ../95 IncludiIntestazione 22 settembre 2009 75% lettere

1633 - 93 1633 - 95

A Roma

San Matteo, 18 giugno 1633

Amatissimo Signor Padre.

Quando io scrissi a V. S. dandogli conto del male ch’era stato in questi contorni, già era cessato quasi del tutto ogni sospetto, essendo scorsi molti giorni, anzi settimane, senza sentirsi niente; e, come allora li soggiunsi, me ne dava intiera sicurtà il vedere che tutti quegli gentiluomini nostri vicini se ne stavano qua in villa, come seguitano ancora di starci tutti; e ch’è più, nella medesima città di Firenze si sentiva che il male andava tanto diminuendo che si sperava che presto dovesse restar libera del tutto. Onde, con questa sicurtà, mi mossi ad esortarla e sollecitarla per il suo ritorno, sebbene nell’ultima che gli scrissi, sentendo che le cose erano peggiorate, mutai linguaggio, come si suol dire. Perché, sebbene è verissimo che desidero grandemente di rivederla, desidero nondimeno molto più la sua conservazione e salute; e riconosco per grazia speciale del Signor Iddio l’occasione che V. S. ha avuta di trattenersi costà più lungamente di quello che lei ed io avremmo voluto. Perché, sebbene credo che gli dia travaglio il trattenersi così irresoluta, maggiore gliene darebbe forse il ritrovarsi in questi pericoli, i quali tuttavia vanno continuando e forse aumentando; e ne fo conseguenza da una ordinazione venuta al nostro Monasterio, come ad altri ancora, da parte dei Signori della Sanità, ed è che per spazio di 40 giorni dobbiamo, due monache per volta, star continuamente giorno e notte in orazione a pregare Sua Divina Maestà per la liberazione di questo flagello. Avemmo dai suddetti signori scudi 25 di elemosina, e oggi è il quarto giorno che demmo principio.

A Suor Arcangelo Landucci ho fatto intendere che V. S. gli farà il servizio che desiderava, ed ella la ringrazia infinitamente.

Per dargli avviso di tutte le cose di casa, mi farò dalla colombaia, ove fino di quaresima cominciorno a covare i colombi; e il primo paio che nacque fu mangiato una notte da qualche animale, e il colombo che li covava fu trovato dalla Piera sopra una trave mezzo mangiato, e cavatone tutte l’interiora, che per questo si giudicò che fosse stato qualche uccello di rapina; e gli altri colombi spauriti non vi tornavano, ma seguitando la Piera a dargli da mangiare si sono ravviati, e adesso ne covano due.

Gli aranci hanno avuti pochi fiori, i quali la Piera ha stillato, e mi dice averne cavato una metadella d’acqua. I capperi, quando sarà tempo, si accomoderanno. La lattuga che si seminò, secondo V. S. aveva ordinato, non è mai nata, e in quel luogo la Piera ci ha messo dei fagiuoli che dice essere assai belli, e finalmente dei ceci, dei quali la lepre ne vorrà la maggior parte, avendo già incominciato a levarli via.

Delle fave ve ne sono da seccare, e i gambi si danno per colazione alla muletta, la quale è diventata così altiera che non vuol portare nessuno, e alcune volte ha fatto far dei salti mortali al povero Geppo, ma con gentilezza, poiché non si è fatto male. Ascanio, fratello della cognata, la domandò una volta per andar di fuora, ma quando fu vicino alla porta al Prato gli convenne tornare indietro, non avendo mai avuto forza di scaponire l’ostinata mula acciò andassi innanzi, la quale forse sdegna di esser cavalcata da altri, trovandosi senza il suo vero padrone.

Ma ritornando all’orto, gli dico che le viti mostrano assai bene, non so poi se proseguiranno così, mediante il torto che ricevono d’esser custodite dalle mani della Piera, in cambio di quelle di V. S. Dei carciofi non ve ne sono stati molti, con tutto ciò se ne seccherà qualcuno.

In cantina le cose passano bene, andandosi il vino conservando buono. In cucina non manco di somministrare quel poco che fa bisogno per la servitù, eccetto che nel tempo che ci viene il signor Rondinelli, che allora ci vuol pensar lui, anzi che in questa settimana volle che una mattina noi stessimo in parlatorio a desinar da lui. Questi sono tutti gli avvisi che mi pare di potergli dare.

L’Achilia desidera che V. S. di costì, dov’è abbondanza di buoni maestri di musica, li provegga qualche bella cosa da suonar sull’organo. Suor Luisa avrebbe caro di sapere se V. S. ha poi visto il signor Giovanni Mancini ch’è mercante, per conto del negozio del nostro vecchino, e similmente Suor Isabella desidera di sapere se la lettera che gli mandò per il signor Francesco Cavalcanti, abbia avuto ricapito, desiderando pur di sapere da cotesto gentiluomo se un fratello ch’ha costì sia morto o vivo. Finisco per riserbar qualche cosa da dirgli quest’altra volta che gli scriverò, ma mi sovviene che devo salutarla da parte di Suor Barbera, e dirgli così, ch’ella non va più fuora se non tanto quanto entrare in chiesa dal primo usciolino per parare e sparare. Tutte l’altre amiche la salutano, e io da Dio benedetto gli prego ogni vero bene.

figliuola Affezionatissima

S. M. Celeste.