Lettera 88

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A Roma

San Matteo, 7 maggio 1633

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.

L’allegrezza che mi apportò l’ultima sua amorevolissima lettera fu tale, e tale alterazione mi causò, che, con questo e con l’essermi convenuto più volte leggere e rileggere la medesima lettera a queste monache, che tutte giubilavano sentendo i prosperi successi di V. S., fui soprapresa da gran dolore di testa, che mi durò dalle quattordici ore della mattina fino a notte, cosa veramente fuori del mio solito.

Ho voluto dirli questo particolare, non per rimproverarli questo poco mio patimento, ma sì bene perché Ella maggiormente possa conoscere quanto mi siano a cuore e mi premino le cose sue, poiché causano in me tali effetti; effetti che, sebbene, generalmente parlando, pare che l’amor filiale possa e deva causare in tutti i figli, in me, ardirò di dire che abbino maggior forza, come quella che mi dò vanto di avanzare di gran lunga la maggior parte degli altri nell’amare e riverire il mio carissimo Padre, siccome all’incontro chiaramente veggo che egli supera la maggior parte de’ padri in amar me sua figliuola: e tanto basti.

Rendo infinite grazie a Dio benedetto per tutte le grazie e favori che fino a qui V. S. ha ricevuti e per l’avvenire spera di ricevere, poiché tutti principalmente derivano da quella pietosa mano, siccome V. S. molto giustamente riconosce. E sebbene Ella attribuisce in gran parte questi benefizi al merito delle mie orazioni, questo veramente è poco o nulla; ma è bene assai l’affetto con il quale io li domando a Sua Divina Maestà, la quale avendo riguardo a quello, tanto benignamente prosperando V. S., mi esaudisce, e noi tanto maggiormente gli restiamo obbligati, siccome anco grandemente siamo debitori a tutte quelle persone che a V. S. sono in favore ed aiuto, e particolarmente a cotesti eccellentissimi signori suoi ospiti. E io volevo scrivere all’eccellentissima signora Ambasciatrice; ma sono restata per non la infastidire con replicarle sempre le medesime cose, cioè rendimenti di grazie e confessioni d’obblighi infiniti. V. S. supplirà per me con farle reverenza in mio nome. E veramente, carissimo signor Padre, la grazia che V. S. ha avuta del favore e della protezione di questi signori è tale ch’è bastante a mitigare, anzi annullare tutti i travagli che ha sofferti.

Mi è capitata alle mani una ricetta eccellentissima contro la peste, della quale ho fatta una copia e gliela mando, non perché io creda che costà ci sia sospezione alcuna di questo male, ma perché è buona ad ogni altra cattiva disposizione. Degl’ingredienti io ne sono tanto scarsa anzi mendica per me, che non gliene posso far parte di nessuno; ma bisogna che V. S. procuri di ottener quelli che per avventura gli mancheranno, dalla fonderia della misericordia del Signor Iddio, con il quale la lascio. Salutandola per fine in nome di tutte, e in particolare di Suor Arcangelo e Suor Luisa, la quale per adesso, quanto alla sanità, se la passa mediocremente.

figliuola Affezionatissima

S. M. Celeste.