Lettere al padre/1633/114
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A Siena
San Matteo, 22 ottobre 1633
Amatissimo Signor Padre.
Mercoledì passato fu qui un fratello del Priore di S. Firenze a portarmi la lettera di V. S. insieme con l’invoglietto del refe ruggine, il quale refe, rispetto alla qualità del filo che è grossetto, pare un po’ caro; ma è ben vero che la tintura, per esser molto bella, fa che il prezzo di sei crazie la matassa sia comportabile.
Suor Luisa se ne sta in letto con qualche poco di miglioramento, e oltre a lei aviamo qua parecchie altre ammalate, che se adesso ci fosse il sospetto della peste saremmo spedite. Una di queste è Suor Caterina Angela Anselmi che fu Badessa avanti a questa presente, monaca veramente veneranda e prudente, e, dopo Suor Luisa, la più cara e intrinseca amica che io avessi: questa sta assai grave, ier mattina si comunicò per viatico, e per quanto apparisce può durar pochi giorni; e similmente Suor Maria Silvia Boscoli, giovane di 22 anni, e perché V. S. se la rammemori, quella che si diceva essere la più bella che fossi stata in Firenze da 300 anni in qua: questa corre il sesto mese che sta in letto con febbre continua che adesso dicono i medici essere divenuta etica, e si è tanto consumata che non si riconosce; e con tutto ciò ha una vivacità e fierezza particolarmente nel parlare che dà stupore, mentre che d’ora in ora si sta dubitando che quel poco spirito (che par ridotto tutto nella lingua) si dilegui e s’abbandoni il già consumato corpo: è poi tanto svogliata che non si trova niente che gli gusti, o per dir meglio, che lo stomaco possa ricevere, eccetto un poco di minestra di brodo, ove siano bolliti sparagi salvatichi secchi, dei quali in questa stagione se ne trovano alcuni pochi con gran difficoltà, onde io andavo pensando se forse il brodo di starna, con quel poco di salvatico che ha, gli potesse gustare. E già che costì ve ne sono in abbondanza, come Vostra Signoria mi scrive, potrebbe mandarmene qualcuna per lei e per Suor Luisa, che, quanto al pervenirmi ben condizionate, non credo che ci fossi molta difficoltà, giacché la nostra Suor Maria Maddalena Squadrini ebbe a questi giorni alcuni tordi freschi e buoni che gli furono mandati da un suo fratello priore del Monastero degli Angeli, che è dei canonici regolari vicinissimo a Siena. Se V. S. potessi per mezzo nessuno far questo regalo, adesso che mi ha aguzzato l’appetito, mi sarebbe gratissimo.
Questa volta mi conviene essere il corvo con tante male nuove, dovendo dirle che il giorno di S. Francesco morì Goro lavoratore dei Sertini, e ha lasciato una famigliuola assai sconcia, per quanto intesi dalla moglie che fu qui ieri mattina a pregarmi che io dovessi darne parte a V. S., e di più ricordargli la promessa che V. S. fece al medesimo Goro e alla Antonia sua figliuola, cioè di donargli una gamurra nera quando ella si maritava: adesso è alle strette, e domenica, che sarà domani, dice che si dirà in Chiesa; e perché ha consumati que’ pochi danari che aveva in medicamenti e nel mortorio, dice ritrovarsi in gran necessità, e desiderar di sapere se V. S. può farle la carità: io gli ho detto che gli farò sapere quanto V. S. mi risponderà.
Non saprei come darle dimostrazione del contento che provo nel sentir ch’ella si va tuttavia conservando con sanità, se non con dirle che più godo del suo bene che del mio proprio, non solamente perché l’amo quanto me medesima, ma perché vo considerando che se io mi trovassi oppressa da infermità, oppur fossi levata dal mondo poco o nulla importerebbe, perché a poco o nulla son buona, dove che nella persona di V. S. sarebbe tutto l’opposito per moltissime ragioni, ma in particolare (oltre che giova e può giovare a molti) perché, con il grande intelletto e sapere che li ha concesso il Signor Iddio, puù servirlo ed onorarlo infinitamente più di quello che non posso io, sì che con questa considerazione io vengo ad allegrarmi e goder del suo bene più che del mio proprio.
Il Sig. Rondinelli si è lasciato rivedere adesso che le sue botti si sono quietate; rende i saluti a V. S. e similmente il sig. Ronconi.
Assicuro V. S. che l’ozio non mi dà fastidio, ma più presto la fame cagionata, credo io, non tanto dal molto esercizio che fo, quanto da freddezza di stomaco che non ha il suo conto intieramente del dormire il suo bisogno, perché non ho tempo. Fo conto che l’oximele e le pillole papaline supplischino a questo difetto. Intanto gli ho detto questo per scusarmi di questa lettera che apparisce scritta molto a caso, essendomi riconvenuto lasciare e ripigliare la penna più di una volta avanti che io l’abbia condotta, e con questo li dico addio.
sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.
Conforme a che V. S. mi impone nell’altra sua comparsami dopo che aveva scritto, scrivo alla signora Ambasciatrice. Non so se le tante occupazioni mi avranno tanto cavato dal seminato che io non abbia dato in nulla; V. S. vedrà e correggerà, e mi dica se gli manda anco il crocifisso di avorio.
Spero pur che questa settimana V. S. averà qualche risoluzione circa la sua spedizione, e sto ardendo di desiderio di esserne partecipe ancora io.