Lettere al padre/1630/56
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A Bellosguardo
4 dicembre 1630
Amatissimo Signor Padre.
La venuta di madonna Piera [succeduta alla Porzia nelle funzioni di governante di Galileo] mi fu di grandissima consolazione, poiché da lei ebbi certezza della sanità di V. S.; e in conoscer ch’ella sia donna assai prudente e discreta, trovo quella quiete d’animo che per altra non troverei; mentre considero V. S. in tempo tanto pericoloso priva d’ogni altra più cara compagnia e assistenza. Onde perciò io giorno e notte sto con il pensiero fisso in lei, e molte volte mi dolgo della sua lontananza che impedisce il poter giornalmente sentirne nuove, si come io grandemente desidererei.
Spero nondimeno che Dio benedetto, per sua misericordia, la deva liberare da ogni sinistro accidente, e di tanto con tutto il cuore lo prego. E chi sa se forse più copiosa compagnia gli fosse occasione di maggior pericolo? So ben questo, che quanto a noi succede, tutto è con particolar previdenza del Signore, e per maggior nostro bene: e con questo m’acquieto.
Questa sera abbiamo avuto comandamento da Monsignor Arcivescovo di metter in nota tutti i più stretti nostri parenti, e domani mandargliela, volendo Sua Signoria Illustrissima procurar che tutti concorrino a sovvenire il nostro Monasterio, tanto che campiamo quest’invernata così penuriosa. Io ho domandato e ottenuto licenza dalla madre Badessa di poterne far consapevole V. S., acciò non le sia improvvisa tal cosa. Non posso qui dir altro se non raccomandar il negozio al Signor Iddio, e nel resto rimettermi alla prudenza di V. S. Mi dorrebbe assai s’Ella restassi aggravata, ma dall’altra banda so ch’io non posso con buona coscienza cercar d’impedire l’aiuto e sollevamento di questa povera casa veramente desolata. Questa sola replica (per esser assai universale e nota) gli dico che potrà far a Monsignor Arcivescovo: cioè che sarebbe cosa molto utile e conveniente il cavar di mano a molti parenti di nostre monache dugento scudi che tengono delle loro sopradoti, e non solamente i dugento scudi dei capitali di ciascuna, ma molti ancora degl’interessi che gli devono da più anni. Tra i quali, ci s’intende, anco messer Benedetto Landucci debitore a Suor Chiara sua figliuola, e dubito che V. S. per essergli mallevadore, o per lo manco Vincenzio nostro, non deva esserne pagatore se non si piglia qualche termine. Con questo assegnamento, credo che s’andrebbe aiutando comodamente il Convento, e molto più di quello che potranno far i parenti, poiché sono pochi quelli abbino facoltà di poterlo fare. L’intenzione de’ superiori è bonissima, e ci aiutano quanto è possibile, ma è troppo grande il nostro bisogno. Io per me non invidio altro in questo mondo che i Padri Cappuccini, che vivono lontani da tante sollecitudini e ansietà, quante a noi monache ci conviene aver necessariamente, convenendoci non solo supplire agli offizi per il Convento e dar ogni anno e grano e danari, ma anco pensar a molte nostre necessità particolari con il nostro guadagno, il quale è così scarso che si fanno pochi rilievi. E s’io avessi a dir il vero, credo che sia più la perdita, mentre, vegliando fino a sette ore di notte per lavorare, pregiudichiamo alla sanità, e consumiamo l’olio ch’è tanto caro.
Sentendo oggi da Madonna Piera che V. S. diceva che domandassimo se avevamo bisogno di qualcosa, mi lasciai calare a domandargli qualche quattrino per pagare alcuni miei debitelli che mi danno pensiero. Che nel resto se aviamo tanto che ci possiamo sostentare, è pur assai; che questo per grazia di Dio non ci manca.
Del venirci a vedere sento che V. S. non ne tratta, e io non la importuno, perché ad ogni modo ci sarebbe poca sodisfazione, non potendosi parlare liberamente per ora. Ho avuto gran gusto di sentire che i morselletti di cedrato gli siano piaciuti; quelli fatti a forma di cotognato erano con un cedro che con molta istanza avevo provvisto; e d’intenzione di Suor Luisa confettai l’agro insieme la parte più dura di esso cedrato, chiamandola confezione di tutto cedro; gli altri gli feci del suo, al modo solito; ma perché non so quali più gli sieno gustati, metterò in opera quest’altro cedrato, se ella non me lo dice, desiderando di accomodarlo con ogni esquisitezza acciò più gli piaccia. La rassegna che desidero che V. S. faccia per la nostra bottega, di scatole, ampolle e simili cose, l’accennai alla sua serva onde non replicherò altro, se non che vi si aggiunge anco due piatti bianchi che ha di nostro. Con che gli do la buona notte, essendo 9 ore della quarta notte di dicembre 1630.
sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.
Quando V. S. sarà stata da Monsignor Arcivescovo, mi sarà grato sentir ragguaglio del seguito.