Lettere (Sarpi)/Vol. II/Lettera del superiore del Convento
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Lettera del superiore del Convento dei Serviti al Doge.1
Iddio ha chiamato dalle fatiche di questo mondo al riposo del Paradiso il suo fedel servo, e mio dilettissimo, monsignor Paolo; ed a me che, col prezzo della mia vita avrei voluto essere a Vostra Serenità nuncio del suo miglioramento e sanità, conviene esserlo della sua morte: morte per me luttuosissima e colpo il più fiero e grave, che in vita ebbi ancora provato; ma per lui felicissima, perchè è stata la corona delle azioni della sua vita. Vivendo, fu sempre a tutti noi ed a tutta la religione de’ Servi un’idea di quelle eccellenti virtù, che possono adornar un’anima cristiana, e renderla grata a Dio; ed in morte c’è ammaestramento di costanza e di quel perfetto rassegnamento in Dio, che debba aver un vero servo di sua divina Maestà. Le sue ultime azioni, in numero di molte, ed in vera pietà ammirabili, non si ponno esprimere dalla mia lingua, interprete d’un animo confuso dal travaglio ed oppresso dal dolore. Dirò questo, ch’è morto felicissimo, perchè ha ottenuto quello in che erano uniti i suoi desiderii, studi, fatiche e pensieri; cioè morire nel servizio e per il servizio di Vostra Serenità. E se è vero quello che comunemente si suol dire, che la morte smaschera la vita, perchè in tutte le azioni umane, o per arte o per interesse, vi possa cadere qualche simulazione o finzione, ma la morte levi tutte le finzioni e mostri nudamente quale fosse cadauno; felicissimo il mio caro Maestro, che con due tratti soli nella sua morte ha rappresentata l’immagine della sua vita, ed un perfettissimo ritratto di quella soda pietà che dallo Spirito Santo viene commendata: Honora Deum et Principem. Perciocchè, quanto fermamente fosse colla sua mente riposta in Dio, oltre l’aver egli consegnato in mano del padre Priore tuttociò che gli era ad uso concesso, e con gran devozione ricercati li SS. Sacramenti, la confessione del suo ordinario padre spirituale, e con somma umiltà ricevuta la SS. Eucaristia per mano del suo Priore, con l’intervento di tutto il Capitolo e l’estrema unzione per mano del suo scrittore padre fra Marco, le sue ultime parole dette a me, dopo aver con sommessa voce ed altissima devozione recitate sue brevi ed usitate preci ed avermi baciato ed esortato ad andare a riposare, furono queste: — Andate a riposare, ed io ritornerò a Dio, onde sono venuto; — e con queste sigillò la sua bocca nel silenzio eterno. E qual fosse il suo fervore nel servizio di Vostra Serenità, da questo la comprenda, che in tutta la infermità una sola parola gli è uscita di bocca non coerente alle altre, e questa è stata: — Andiamo a San Marco, chè ho un gran negozio da fare. — Così era intanto al servizio di Vostra Serenità, che anco quando il discorso non reggeva più la lingua, ella per abito contratto trascorreva in quello. Non debbo tacere anco l’ultima delle sue azioni, fatta con l’assistenza di tutti li priori, che, con affettuose orazioni e copiosissime lagrime e non finte, gli assistevano: che, dopo essere stato gran pezzo colle mani immobili, fatto uno sforzo, se le incrociò al petto, e fissando gli occhi in un Crocifisso che gli stava dirimpetto, fermò la bocca in atto ridente, e ribassati gli occhi, rese lo spirito a Dio.
Ho voluto dare questo breve e confuso conto a Vostra Serenità del fine del suo fedele e leale servo, con questi pochi particolari successi in presenza di tanti Padri, stimando mio debito il farlo; acciò, se Le piacesse ordinare alcuna cosa intorno al suo funerale, prima che farle alcun principio, sappiamo la sua mente, la quale prontamente eseguiremo. Grazie.
Essendosi la Serenità Vostra, con la sua solita pietà e munificenza, degnata aiutare con l’elemosina la nostra sacrestia affine che si facesse il funerale al suo servo defunto, non hanno mancato li Padri tutti unitamente di celebrarlo con quelle dimostrazioni di pietà e religione che sono loro state possibili; e vi sono con gran prontezza, al semplice invito, intervenute le quattro religioni de’ Mendicanti, li Domenicani, Francescani, Eremitani e Carmelitani, ciascuno in copioso numero, circa ducento religiosi, oltre quelli delli nostri due monasteri; con gran concorso di popolo, con acclamazioni, che erano venuti a vedere un funerale d’un uomo santo, e del più grande intelletto che fosse mai, e con simili; con tante lagrime quasi universalmente di tutti, che si può stimare un impulso divino, che ha voluto così dar principio all’onorare anco il corpo di quell’anima santa che ha ricevuto in Cielo.2 Le quali cose essendo successe in pompa pubblica e negli occhi di tanta moltitudine, ad onore di Dio, ed a consolazione di Vostra Serenità di cui era servo, ho voluto rappresentarle; e saranno confirmate anco dall’attestazione di tutti li Padri del nostro monastero con la sottoscrizione di loro mano propria. — Grazie.
Fine
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Note
- ↑ Inedita, e novamente tratta dall’Archivio Generale de’ Frari. La data fu forse omessa, insieme colle sottoscrizioni dei frati. Quell’astro di tutta beneficenza, e certamente tra i primi di che il cielo d’Italia giammai si adornasse e onorasse, cessò di splendere a dì 14 gennaio del 1623.
- ↑ Circostanze, sin qui, per quello che da poi sappiasi, non osservate.