Lettere (Sarpi)/Vol. II/234
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CCXXXIV. — A Giacomo Leschassier.1
Ricevei la lettera della S.V. degli 8 febbraio, con gli articoli cavati da Azor e Gretzer,2 e la romana censura del Becano, di cui non era arrivata a noi contezza alcuna. Mi reca sommo stupore, che per tal causa siensi adunati i cardinali il 3 di gennaio; quando nell’intramezzo dalla Natività all’Epifania del Signore sogliono interrompere ogni faccenda. Non posso indovinare perchè i Gesuiti abbiano cotanto temuto la censura della Sorbona, e preferito che il libercolo fosse condannato a Roma. Dio non voglia che quello che è da stampare, non sia più pestilenziale del riprovato! Se lasceranno condannare o colpir di censura i tre tomi di Giovanni Azor, sarà chiaro allora il perchè abbiamo tanto accanitamente difeso il Becano. Mi sorprende l’audacia e l’imprudenza del Gretzer; ma che v’è da aspettarsi di buono da chi detrae ai propri benefattori? Ben è vero che vogliono esser arbitri d’ogni cosa e comandare a tutti quanti.
Si parla di non so qual recente attentato contro il re d’Inghilterra; ma la cosa non è bene accertata, e aggiungono che il papa non l’approvi: al che però molti non credono. Gli Spagimoli hanno domandato molte cose attinenti alla collazione dei benefizi sì nel regno di Napoli e sì nella Spagna, ed ora si sta deliberando in proposito. Gli Spagnuoli, secondo loro usanza, non fanno pressa, e per ciò stesso molto ottengono, guardandosi la Curia dal negare ad essi alcun che, sul timore che rincarino il fitto. Finalmente, la Spagna sotto di questo re non si mostra ligia alla Curia romana, come a tempo del padre.
Vera la nuova che le giunse sulla pace fatta tra il Turco e il Persiano: bensì i Turchi non si preparano a guerra marittima, nè allestiscono la flotta se non come usavano negli altri anni; e in quello stato non basterebbe ad intraprese per mare. S’apparecchiano per altro a una guerra fortissima, e, a quanto dicesi, contro i Daci, chiamati oggi Transilvani e Moldo-Valacchi. Questi una volta si reggevano con proprie leggi e signoria, riconoscendo soltanto co’ tributi l’alto dominio turchesco; il quale scossero negli ultimi anni. E però credesi che i Turchi ridurranno ora que’ paesi in provincie, soggettandole a propri governatori, che chiamano Pascià: il che quando accada (tolgalo Iddio), s’ingrandirà notevolmente il loro dominio, con danno presentissimo dell’Ungheria e della Polonia. Già il sultano stesso partì il primo di gennaio da Costantinopoli, per toccare con viaggio continuato Andrinopoli, che è l’ultima parte occidentale della Tracia. Dicesi che proseguirà ancora il cammino; ma certo è che soldati affluiscono da tutte le parti, e saranno in armi prima che in Germania si deliberi sul soccorso da darsi a Cesare. Il quale chiede al papa una sovvenzione in denari; ma nè il papa può darla perchè stretto dal bisogno; nè vuole, pensandosi che quella causa non valga il carico d’una spesa.
Credo che la S.V. avrà inteso le risoluzioni del ministro del duca di Savoia contro la scomunica minacciata dal Nunzio pontificio al presidente Galeano, con intendimento di mandarla tosto ad effetto. Quel che intendano di contrapporre i romaneschi, non si sa ancora: questo solo è noto, che nè sanno nè vogliono portare in pace gli atti dei ministri del Duca. Ma a censure non ricorreranno, perchè loro non profittano in nessun luogo. Quantunque io pensi che sia giunto costà e la S.V. abbia veduto qualche esemplare di quel decreto, pure ho voluto inviarne uno, perch’Elia veda (se a caso non le è caduto fra mano) quali severi provvedimenti siensi in proposito adottati.
Ringrazio, infine, distintamente la S.V. eccellentissima per avermi inviato la censura, insieme colle particelle summentovate; e la prego a ricordarsi tuttavolta di me e de’ suoi comandi onorarmi. Supplico ancora la Maestà divina, che sempre voglia custodire la sua sanità; e le bacio le mani.
- 12 marzo, 1613.
Note
- ↑ Edita, in latino, nella raccolta delle Opere ec., p. 110.
- ↑ Giovanni Azor, gesuita spagnuolo; Giacomo Gretser, suo confratello nativo della Svevia, furono rispettivamente autori di più opere (il secondo assai più dell’altro), di cui possono vedersi i titoli presso gli eruditi, ma delle quali ognuno, anche senza di ciò, indovina i soggetti e lo scopo.