Lettere (Sarpi)/Vol. II/232
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CCXXXII. — Al signor De l’Isle Groslot.1
Essendo venuti tanti corrieri senza lettere di V.S., ho ascritto la causa a quel che più di tutto mi dispiace e che ora veggo esser vero, cioè all’infirmità sua. Dalli tratti della lettera veggo che la mano non è intieramente sana, e mi dispiace che l’abbia affaticata, essendo questo un differir l’intiera sanità. Finalmente è necessario cedere alle necessità naturali. Non credo che V.S. averà una ricaduta così grave, come mi scrive essere stata cotesta ultima: con tutto ciò, la prego a non pigliar incomodo per scrivermi, massime quando ha bisogno di riposo per l’acquistar la sanità.
Tutte le lettere di V.S. sono state ricevute da me, essendo questa ultima de’ 4 febbraio: l’ultima mia fu della 12 dell’istesso mese, la quale spero che averà ricevuta, sì come anco la precedente delli 29 gennaio.
Ho sentito grandissimo piacere, che siano estinte le cause di turbazioni, e accomodate le cose de’ Riformati e di monsieur de Rohan; e spero che il tutto sarà inviato alla gloria di Dio e quiete del regno. Il signor Barbarigo rende grazie a V.S. per la memoria che tiene del negozio raccomandatogli, e la prega, con buone e opportune occasioni e comode o Lei, di continuare.
Il libro di Becano2 non è ancora stato veduto qua, sì come nè meno l’Ecclesiasticus di Scioppio,3 o perchè non abbiamo creduto che simili argomenti debbano esser aggraditi in questa città, o per qualche altra causa. Ma che libri di tal soggetto possino esser censurati a Roma, V.S. non lo creda mai:4 ne avranno seminato fama costì per divertire qualche censura che potesse venir da cotesta parte.
L’Italia in questi giorni non ha prodotto nulla di nuovo. Le cose di Mantova sono accomodate. La duchessa vedova si è ritirata in un castello chiamato Goito, alli confini del Bresciano, il quale castello dentro è guardato da’ suoi servitori e alle mura dai Mantovani. Ella ha avuto gran parte nell’accomodamento, con aversi dichiarata che non gustava di andarne a Milano nè appresso al padre.
In Turino è avvenuto un accidente considerabile. Il vescovato d’Asti ha alcune terre delle quali più volte è stata controversia tra il duca e li ecclesiastici, pretendendo questi che la sovranità sia del papa, e il duca, come conte, pretendendo che debbano esser riconosciute da lui. Finalmente, in questi tempi, essendosi fatta una fortificazione e reparazione, il Nuncio del pontefice ha fulminato una scomunica contra il presidente Galeani: però l’ha pubblicata solamente in scritto. Li ministri del duca, veduto questo, hanno fatto una dichiarazione di aver il decreto del Nuncio come nullo e ingiusto, comandando che, senza averli risposto, si proceda all’esazione, e sono passati anco ad usar queste parole: — che non solamente il tentativo intrapreso dal Nuncio è nullo, ma ancora quando venisse dal papa medesimo. — Si aspetterà di vedere, dove terminerà questo principio assai considerabile e che un giorno sarà fatto dalla Repubblica per Ceneda, massime che molte turbolenze sono pei confini.
Un gentiluomo di qualità in Francia, ma gran ligueur,5 m’ha affermato che il duca di Bouillon tratta di farsi papista. Io non lo credo; ma perchè la persona che lo dice non mentirebbe volontariamente, concludo almeno, che se ne parla o se ne spera.
Viene un avviso di Dalmazia, che la persona del principe de’ Turchi già sia in Andrianopoli, e che l’Agà de’ Giannizzari, con 25 mila combattenti, sia avanzato a Filippopoli. Per esser certi di questo, è necessario aspettare la confermazione. Ma io dubito bene che li Turchi saranno in campagna, e averanno fatto qualche grand’impresa prima che sieno tenute le diete in Germania. Li Austriaci fanno le provvisioni che possono, ma non sarà poco se quelle basteranno per quel rimanente di Ungaria che loro resta; che quanto alla Valachia e Transilvania, le tengo per espedite.
Prego V.S. far i miei basciamani al signor Gillot, di cui ho ricevuto il pacchetto; e non rispondo per questo spaccio, per l’angustia di tempo che il corriere ci dà. Averò carissimo che li comunichi le nuove, massime quella di Asti, dicendoli appresso, che il tempo di comunicare in confidenza sarà quando Barbarigo sarà costì. E qui facendo fine, insieme con li amici, bacio la mano di V.S., pregandole da nostro Signore ogni felicità.
- Di Venezia, il 26 febbraio 1613.
Note
- ↑ Stampata come sopra, pag. 545.
- ↑ Questo gesuita nativo del Brabante e professore di teologia in Vienna, di cui parlasi con insistenza nelle anteriori come nelle seguenti Lettere, era stato autore di una Refutatio Apologiæ Jacobi regis, e di una Refutatio Torturæ Torti, pubblicate nel 1610; ed aveva allora data in luce un’altra confutazione contro Lancellotto Andrews, col titolo: Controversia anglicana de potestate regis et pontificis (1612). È questa l’opera alla quale il Sarpi fa allusione, e che in Roma stessa fu condannata e messa all’Indice, come contenente proposizioni false, scandalezzanti e sediziose.
- ↑ Questo libro del tristissimo Gaspare Schopp era principalmente diretto contro il re d’Inghilterra; ma l’autore vi aveva mescolati oltraggi alla memoria del quarto Enrico di tanta gravezza, che il parlamento di Parigi nel novembre del 1612, ne fece ardere gli esemplari per mano del carnefice.
- ↑ Contuttociò, quel libro fu condannato in Roma, come accennasi ancora in principio della Lettera CCXXXIV.
- ↑ Cioè, partigiano della così detta Lega cattolica.