Lettere (Sarpi)/Vol. II/182
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CLXXXII. — A Filippo Duplessis Mornay.1
Siccome io ho dato conto a V.S. delle mie precedenti, ho ricevuto ai tempi suoi quella dei 28 giugno e dei 15 luglio; il che le so precisamente dire, tenendo memoria scritta del dato di ciascuna sua. Non posso così dirle altrettanto di quelle che scrivo a lei, per non tener bene particolar conto. So ben questo, di non aver tralasciato da qualche tempo in qua alcun corriere senza scriverle.
Rendo molte grazie a V.S. per gli avvisi che mi dà del corso e delle buone speranze delle cose di costì, quale io aiuto con le orazioni appresso Dio. E sebbene se ne parla qui diversamente, nondimeno tengo che passino nella maniera ch’Ella scrive. Abbiamo in Parigi un ambasciatore che cerca di estenuar quanto può, e metter in cattivo credito le cose de’ Riformati, e questo acciocchè i buoni qui non piglino animo; e aggrandisce le cose de’ papisti, cosa che è di cattivo servizio: ma non si può far altro.
V.S. avrà inteso la creazione degli undici cardinali:2 nel che la Corte osserva, che sebbene alcune volte qualche pontefice ha fatto un cardinale o due fuori dei tempi del digiuno, nondimeno le promozioni intiere sono sempre state fatte in quelli, seguendo lo stile dell’antichità; eccetto che dal pontefice presente, il quale ha fatto tre promozioni nel suo pontificato, e tutte fuori delle tempora: dal che i cortigiani oziosi cavano diversi prognostici.
L’esser promosso al cardinalato il Nuncio di Spagna,3 e non quello di Francia, che tanto si affatica, non so se lo farà rallentare la sua diligenza, ovvero aumentare per farsi più degno. Ma il numero de’ cardinali è così grande, che non può sperare un’altra promozione, al più breve, fra tre anni. I soggetti promossi (da quel Fiorentino,4 ch’è fatto ad istanza della regina, in fuori) saranno tutti spagnuoli. Per l’auditore di Camera e per il tesoriere,5 la casa del papa avrà guadagnato 150 mila scudi. I prelati veneziani si sono aiutati con presenti, che sebbene ricevuti e veduti con buon occhio, non hanno avuto altro in ricompensa che speranza.
La corte romana sente grandissimo dispiacere per la risoluzione fatta in Spagna, che non siano pagate ad Italiani le pensioni sopra i benefizi ecclesiastici poste in capo degli Spagnuoli; e il papa se n’è doluto con l’ambasciatore della maestà cattolica. Ma gli Spagnuoli non fanno mai cosa per ritrattarla. Questo importerà una gran diminuzione alla corte romana; per il che si farà tanto più insopportabile agl’Italiani, volendosi rifare sopra li beneficii di questa regione di quello che si perde altrove. E perchè forse questo particolare non è noto a V.S., glielo esplicherò. Vi è legge in Spagna, che non possino avere nè beneficii nè pensione se non naturali. Soleva il papa sopra i beneficii di Spagna metter pensione applicata a qualche spagnuolo residente in corte, con obbligo a lui di risponderla ad un italiano.6 Questa sorte di artificio gli Spagnuoli adesso hanno proibito.
Nel negozio dell’interdetto di Saragozza, dopo molte trattazioni, il consiglio regio ha risoluto che le spoglie del morto arcivescovo saranno amministrate dal magistrato secolare, il quale pagherà i debiti e distribuirà il rimanente secondo le leggi di Aragona, e che l’interdetto sarà levato. L’auditore del Nuncio ha mostrato di opporsi all’esecuzione di questo, e per tale causa è stato scacciato di Spagna. Il Nunzio s’è acquietato, e ha pensato esser bene di contentarsi di quello; e non si può far altrimenti.
Oggi viene nuova di certo luogo preso dal duca di Savoia, appartenente a’ Genovesi; il che fa qualche moto, e il governatore di Milano richiama alcune genti licenziate da lui. Io non so bene che cosa sia nè maggior particolare di quello che scrivo, ma so bene ch’è cosa di momento e di conseguenza.7 Faccia Dio, che ogni cosa succeda a sua gloria!
Io feci parte a monsieur Assellineau di quanto V.S. mi scrive nella sua ultima dei 25 luglio; e feci ancora l’ambasciata al signor Molino, il quale non desidera altro che farle cosa grata.
Nella cifra io non credo che vi possa esser cosa che dia difficoltà, se non quando si separasse le dizioni che sono congiunte con l’apostrofo, le quali io pongo sempre per una.
Nella causa di Ceneda il papa delude la Repubblica con somma arte: non si può prevedere ancora se perciò debba seguir rottura. La Repubblica ha bandito il vicario episcopale di Padova, perchè teneva per scomunicate alcune monache per essere ricorse al Principe, essendogli levato un beneficio dal papa. Alcuni monaci di Padova, avendo molte baroníe tutte possedute da loro, avevano formato una giurisdizione sopra i contadini, la quale gli è stata levata, con disgusto del papa. Roma sopporta ogni cosa, ma finalmente converrà ovvero rompersi ovvero perder tutto. Il papa ha creduto far dispiacere, non facendo cardinale alcun veneto; ma i buoni l’hanno per cosa di pubblico servizio.
Sto con molto desiderio di veder l’opera di monsieur Duplessis,8 particolarmente per le Epistole al re. Delle cose di Germania abbiamo nuove tanto sinistre, che ognuno perde la speranza di veder altro che confusione. Il che Dio non voglia in quella regione così nobile e generosa! Però conviene che ogni uno s’accomodi alla divina volontà, la quale conduce a buon fine anco i cattivi disegni degli uomini. Io resto pregando la Maestà divina, che doni a V.S. ogni prosperità, e le bacio la mano.
- Di Venezia, li 30 agosto 1611.
Note
- ↑ Edita come sopra, pag. 387.
- ↑ La quale fu pubblicata a dì 17 d’agosto.
- ↑ Decio Caraffa, napoletano.
- ↑ Giovanni Bonsi.
- ↑ Pietro Paolo Crescenzio romano, e Giacomo Serra bolognese, compresi in quella promozione.
- ↑ Di questo sotterfugio bruttissimo parlasi ancora in talune tra le Lettere contenute nel Tomo I. Il sopportarlo che la Spagna insino allora avea fatto, era uno dei modi di collegare a sè la corte di Roma, e di pascere in Italia i seguaci della sua fazione. Onde, a pag. 245-6 del tomo precitato, può leggersi: “Verissimo che di Spagna si porti a Roma danaro in gran copia ec. Ma nè la rimanente Italia è priva dei regali di Spagna: presso che tutte le città hanno i pensionari di quella corona.„ Non si dànno, checchè si gridi e si scriva, non si dànno tiranníe di un sol uomo; ma le tirannidi tutte quante dipendono dalle sètte, delle quali il despota non è che il capo.
- ↑ Intorno al fatto accennato in questo paragrafo, vedasi la Lettera seguente.
- ↑ Vedasi la nota posta a pag. 148 del Tomo I.