Lettere (Sarpi)/Vol. II/139

CXXXIX. — Al nominato Rossi

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CXXXIX. — Al nominato Rossi
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CXXXIX. — Al nominato Rossi.1


La lettera di V.S. delli 19 mi capita in mano per favore della buona fortuna; perchè, essendo venuta fuor del luogo, se non fosse stata veduta da un amico nella moltitudine delle altre (il quale procurò che mi fosse portata) era preparato là, per quanto mi disse, chi vi aveva fatto disegno sopra.

Ho sentito con indicibile allegrezza l’unione di codesti principi e signori, e la prosperità nella quale camminano le cose del regno; e si può dir certamente, che dopo un sì funesto caso quale fu l’assassinio del re,2 non potevano le cose passare meglio: ma credo ben anche che nè in Ispagna nè in Italia si siano adoperati acciocchè fosse altrimenti. Sapendo, come savi, che non bisogna importunamente operare, cominceranno a seminare il Diacatholicon;3 [p. 73 modifica]ed avranno molto tempo, dovendo durare cinque anni la minorità del re. In questo si conoscerà il valore e la fedeltà francese, se sapranno star uniti e non lasciare prender radici alla semenza. Mi pare gran cosa che il regno e chi lo governa possa, dopo sì grave percossa, aver animo di continuare i disegni del re; i quali, riguardando i preparamenti, io credo che non fossero in Cleves, ma maggiori e forti essere in Ispagna. Ma quand’anche cotesto governo attendesse a parte e sostenesse gli amici fatti dal re, sarebbe impresa degnissima la risoluzione di volere appresso di sè gente armata. Non posso dubitare d’alcun mal incontro, e che gli uffici del papa e de’ Gesuiti non voltino il cervello alla regina;4 ma il volere in Francia un Condé, quantunque fosse per essere un contrappeso a Soissons, è cosa di gran pericolo. Già egli è infetto dell’arte di Spagna, e si può tener facilmente che non lo lasceranno partire, se non vedendo che debba riuscir a loro profitto: ragione che a me pare insolubile.

Ma V.S. mi tocca un non so che del matrimonio,5 che mi ha reso stupido, parendomi che sia cessata l’occasione di simil materia. La prego, in una parola, toccarmi la causa perchè si mette in campo questo punto, che a me non pare pertinente: e saprei volentieri se la regina favorisca Condé, e se V.S. crede ch’egli sia in augumento o in diminuzione; siccome anco se v’è speranza che i riformati acquistino maggior vantaggio nella causa di religione, perchè io qui miro sopra ogn’altra cosa, [p. 74 modifica]persuaso che questo servirebbe a far entrare l’Evangelio in Italia.

Dopo ch’è venuto qui certo avviso della deliberazione di Leopoldo di muover la guerra agli Stati, e del principio che ha dato scorrendo verso Nimega, io concludo che non possa quest’anno passar senza guerra, dove si mischi anco la Francia, la quale per nessun modo potrà abbandonare quegli Stati. Io non so già vedere come vi concorra la tregua con l’arciduca Alberto, stante la congiunzione ch’è fra loro arciduchi e con Spagna; e se con questa guerra la tregua si serbasse, io vedrei gran disavvantaggio per gli Stati, poichè sarebbero assaltati senza poter assaltare.

Quanto alle cose di qui, il papa s’è dichiarato di voler assistere alla Francia: ma tutto è simulazione per far meglio il fatto di Spagna; perchè, mostrandosi amico, manderà un cardinal legato che farà ogni male. A questo sarebbe necessario che la regina attendesse, per essere la via più facile di far il male. V.S. tenga per certo che la dichiarazione è fatta di consiglio dell’ambasciadore di Spagna.

La Repubblica è piena di sospetto contro Spagna per vederla senza contrappeso e per il disgusto del passo negato,6 e vorrebbe perciò la guerra. Il simile Parma, Mantova, piene di sospetto e corrispondenza: ma questo non si può fare senza Francia, Milano e Torino. Non restano gli ordini di far armata, ma procedono lentamente. Se adesso si tentasse guerra, senza dubbio tutta Italia sarebbe contro Spagna.7 [p. 75 modifica]

Io prego V.S. a far parte di questi avvisi al signor dell’Isle. In Costantinopoli v’è esercito potente terrestre per andare a’ confini di Persia; ma l’armata marittima non è di gran conto, non dovendo passare sessanta galere.

Venezia, l’8 giugno 1610.




Note

  1. Fra le pubblicate in Capolago ec., p. 213.
  2. “Enrico IV fu assassinato il 14 maggio 1610.„ — (Bianchi- Giovini.) Benchè di fatto sì grande e sì doloroso accenni qui l’Autore quasi freddamente e di volo, vedremo quant’egli se ne commovesse, sino a ringagliardirsene d’assai la sua latina facondia, al principio delle seguenti Lettere CXLII e CXLIII.
  3. “Soprannome che dà al re di Spagna, ed a quelli del suo partito in Europa.„ — (Bianchi-Giovini.)
  4. Si vedano le seguenti Lettere dei 22 giugno e 3 agosto.
  5. Vedi la nota posta a pag. 211 del tom. I.
  6. Vedi la Lettera precedente, pag. 70.
  7. Ma la viltà era entrata così profondamente negli animi, che nessuno profittar seppe della occasione.