Lettere (Sarpi)/Vol. II/126

CXXVI. — Ad Antonio Foscarini

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CXXVI. — Ad Antonio Foscarini
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CXXVI. — Ad Antonio Foscarini.1


È cosa così ordinaria nelle repubbliche, che l’essere fuori delli bisogni fa tener poco conto di chi merita, che non è da maravigliarsi che adesso che alcuni si reputano sicurissimi, soggetti più principali e più benemeriti siano stati tralasciati, et factos secutores qui sequi mirantur.2 Le cose però hanno il suo giro, e i valorosi infine superano la fortuna.

Quanto alle cose del mondo, qui si tiene che a Cleves non sarà guerra, perchè gli Austriaci non la vogliono; e V.E. considera bene, che quando una parte vuol cedere tutto, non può nascer contesa. Così pare che vogliano fare in ciò gli Spagnuoli, primi motori di questa impresa o macchina; perchè, quanto all’imperatore, i suoi mancamenti [p. 22 modifica]non comportano che sia nemmeno in conto. Affermano che non passeranno due mesi che Leopoldo sarà fuori di Giuliers; ma poichè si vede tuttavia che rimettono denari in Germania, viene interpretato che sia per fare un re de’ Romani.

Non posso tenermi dal credere che sia per riuscire qualche cosa per il disegno di tutti questi che v’hanno mano dentro. Sono tanti e così vari i fini e così contrappesate le azioni, che nessuno otterrà l’intento, e turberanno le acque per altri pescatori.3 Ma alle cose nostre familiari, nessuna cosa sarebbe più utile alla nostra Repubblica, quanto che venissero spartiti eretici e cattolici insieme in Italia, perchè accrescerebbe il valore della sua mercanzia per un terzo, acquistandola con la collazione dei benefizi, che sarà un acquisto di tanto guadagno, che niente più, e smorberebbe la famiglia di tanti inutili, rozzi e dannosi ministri. Questo è conosciuto da pochi, ed è il più essenzial punto: ma mentre che veggo a Milano nessuno averci considerazione, sapendo quanto siano cauti, non aspetto niente; ma sarà segno di dover vedere qualche cosa quando li vedrò in preparazione.

Savoia credo abbia desiderio grande di far qualche guadagno; ma non ha il capitale, nè senza Francia può far la scoperta. Francia ha i suoi capitali implicati ed in mano dello Spagnuolo; il quale, con concepirne degli altri, può sempre divertirlo da quell’inquietudine. Ma io veggo il duca di Sully4 [p. 23 modifica]ogni altro giorno alle mani col re di Francia e minacciato da lui, e temo che un giorno non succeda qualche sinistro sopra la sua persona; massime che i Gesuiti, suoi capitali nemici, saranno attenti a tutte le occasioni, e non gliela perdoneranno, se lor verrà fatto.

Quanto al cavaliere Giustiniano, egli fa differire quanto può, perchè aspetta qualche occasione d’essere inviato a Matthias in Ungheria, e con ciò essere esentato da Francia: al che converrà contentarsi. Il Contarino non farà la strada di Francia, ma di Alemagna, così resoluto; e la sua andata in Olanda sarà così prossima al partire del signor Foscarino,5 che non si vede come a lui possa essere dato ordine alcuno per quel paese sopra il negozio de’ sali. È vero che simili cose non si possono disegnare se non che ne’ tempi prossimi, perchè tante cose occorrono impensate, che rendono facile quello che prima si teneva impossibile.

Avrà V.E. per via di Roma intesa la prigionia di Fra Fulgenzio, eseguita da numero venti sbirri, avendogli levate tutte le scritture ed altro. E perchè gli hanno trovato un reliquiario fatto in forma di croce, dove nel mezzo ha una testa di Santa di bella pittura, dicono che sia il ritratto della sua favorita che ha in Venezia. Credo che gli saranno addossate cose assai: certo è che il nunzio e l’inquisitore, sabbato passato, hanno mandato molti processi [p. 24 modifica]contro di lui a Roma, non so se ricercati,6 o di propria fantasia. Dio lo favorisca a far fine tollerabile, perchè buono non si può sperare.

È ottimo il pensiero di Domenico Molino di aiutare gli offici che si fanno in Costantinopoli contro i Gesuiti,7 con trattare e far sapere alla gente del Turco, che per causa loro non ha ottenuto quello proponeva. Viene scritto che si tratta una riforma nella università di Parigi, che non piace molto ai padri Gesuiti. Se fosse cosa utile e da essere imitata nello studio di Padova, sarebbe bene avvisare, per incitar con l’esempio a qualche bene.

Di Venezia, il 16 febbraio 1610.




Note

  1. Edita in Capolago ec., pag. 204.
  2. Così la prima stampa, ma ci parrebbe da correggere: merentur.
  3. Se questo bel modo allegorico e proverbiale appartiene al linguaggio veneto, ben merita di essere accolto in quello di tutta la nazione.
  4. L’amico più costante e più coraggioso di Enrico IV; il quale se più avesse ascoltato i suoi consigli, chi sa se sarebbe morto sotto il ferro di un Ravaillac?
  5. Pare che anche al Foscarini scrivesse in quei giorni il Sarpi sotto finta direzione. Che quel Castrino, il cui nome non ci riuscì mai di trovare nei libri de’ Francesi, fosse appunto il Foscarini?
  6. La prima edizione ha qui, erroneamente: ricevuti.
  7. Queste parole troveranno schiarimento nella Lettera che segue.